venerdì 8 dicembre 2017

SOSPENSIONE ATTIVITA' DEL BLOG


Questo blog è nato, quasi un anno fa, come riflessione sul territorio pistoiese anche in accompagnamento all'esperienza elettorale, pur senza un impegno diretto e mantenendo un profilo critico e indipendente.

Quasi subito, però, i temi locali si sono affiancati ed intrecciati a quelli globali e generali.

Ora l'esigenza è, senza dimenticare il territorio, quella di allargare lo sguardo, affrontare un mondo senza bussola, cercare le esperienze che propongono realmente un cambio di paradigma.

Per fare ciò occorre prendersi lo spazio di recuperare il fiato e le energie ed è il motivo che, a tempo indeterminato, l'aggiornamento di questo blog è sospeso.

Francesco

sabato 18 novembre 2017

LA GALLERIA, FRATELLI D'ITALIA, LE STOFFE E I CINESI.


Oggi, con mio figlio Jacopo, dopo un po' di tempo in cui, forse anche inconsciamente, avevo deciso di girare alla larga, sono passato, a Pistoia, dalla Galleria. All'angolo, quella che avrebbe dovuto essere la casa delle tante associazioni promotrici di un nuovo modello di sviluppo era desolatamente non solo chiusa, ma, direi, idealmente, murata. Proprio a fianco, aperto e con molti giovani dentro, invece, un altro fondo sfitto riprendeva vita e brusio. Non ho visto bene cosa raffigurassero quadri e poster (forse è meglio così...), ma avevo di fronte la nuova sede pistoiese di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, architrave della nuova maggioranza ora al governo dell'ex roccaforte rossa. Io e Jacopo eravamo di passaggio: la nostra meta era un affascinante quanto retrò piccolo, stracolmo, negozio di stoffe, proprio dietro la Galleria. Dovevamo acquistare un pezzo di tessuto per sistemare creativamente un giacchetto invernale usato che ci era stato donato per Jacopo. Una chiacchierata con il proprietario, pistoiese, sulla sessantina, mentre Jacopo tentava con metodo l'impossibile conta delle infinite diverse stoffe presenti nel negozio. Sono stato travolto dal lamento e dall'accusa: avevo osato chiedere dove fosse esattamente la vicina sartoria cinese. Il proprietario mi ha guardato, scandendo: "Io sono contro la globalizzazione. Distrugge i nostri standard di qualità della vita." Un negozio, aperto da 49 anni, nello stesso posto dalla sua famiglia, combatte l'impari lotta contro la logica dell''usa e getta, contro la digitalizzazione, contro la pervasiva concorrenza, appunto cinese. E' chiaro che lo sguardo è limitato e un po' semplificatorio. Però le persone sono arrabbiate, non capiscono, reagiscono con rabbia e disprezzo, non riescono a darsi una spiegazione d'insieme. A dir la verità, questa sera, fatico anche io. Non possiamo rinchiuderci nelle piccole patrie, nelle comunità escludenti, nè pensare che sia un delitto acquistare una stoffa su internet, rinunciando magari a toccarla con mano e a farci consigliare da una persona in carne ed ossa. Però, io sono certo che quel negozio, quel piccolo negozio di provincia raccoglie tante storie della città, tanta umile sapienza artigiana che nel nostro tempo turboveloce facciamo davvero fatica, ancora, ad apprezzare, a vedere. Poi, in realtà, da sempre, le stoffe sono anche simbolo di commerci e di incontri. Magari romantici e inaspettati. Di contaminazione. Di una cosa sono certo: alla rabbia della paura e dei nuovi nazionalismi non dobbiamo rispondere con la distanza dei giudizi: ma con la profondità di uno sguardo che si interroga come traghettare la poesia di quel negozio retrò, nelle innovazioni e nell'interdipendenza che non si può fermare, ma nemmeno rinunciare a governare. Dal basso e credendo davvero che un mondo diverso sia possibile e necessario. Senza annullare tradizioni e identità aperte, ma con la consapevolezza che senza il noi e il con, qualunque io è destinato, prima o poi, a soccombere. A Pistoia come, un tempo, a Samarcanda.
Francesco Lauria

lunedì 13 novembre 2017

Ernest Simoni: dai lavori forzati all’abbraccio di Papa Francesco e della città di Pistoia

di Francesco Lauria

Pubblicato  su: http://www.reportpistoia.com/pistoia/item/53560-ernest-simoni-dai-lavori-forzati-all-abbraccio-di-papa-francesco-e-della-citta-di-pistoia.html



PISTOIA - Un abbraccio lunghissimo quello tra don Ernest Simoni e Papa Francesco, a Tirana, il 21 settembre 2014.
Un gesto che sorprese anche i giornalisti che accompagnavano il Papa: Francesco pianse a lungo e di fronte a tutti nella cattedrale di Tirana, incontrando Don Ernest.
Una situazione inconsueta per il Papa venuto dalla fine del mondo, di fronte a questo semplice prete che aveva vissuto per 28 anni nelle carceri albanesi del dittatore Henver Oxha, pur di non rinnegare la fede cristiana nel paese che aveva imposto l’ateismo di Stato.
Un carcere durissimo, quello politico di Durazzo, dove i detenuti politici/religiosi erano condannati ai lavori forzati, sottoposti ad atroci torture, a turni massacranti nelle miniere con anche sessanta gradi di escursione termica e con privazioni costanti del sonno.
Don Simoni ha ricevuto un altro forte abbraccio, il 12 novembre 2017.
Quello di Pistoia al “suo cardinale”, in occasione del conferimento al sacerdote albanese nella Basilica della Madonna dell’Umiltà a Pistoia, del premio internazionale per la Pace dedicato a Giorgio La Pira
Un premio destinato al Cardinal Ernest Simoni. Due anni dopo il primo abbraccio, Papa Francesco ha infatti ordinato cardinale questo uomo semplice ed umile, interessato a testimoniare non solo la propria incredibile vicenda personale, ma soprattutto la sofferenza collettiva, troppo spesso sottovalutata, del popolo albanese sotto la dittatura comunista.

Padre Simoni, quando trova qualche difficoltà ad esprimersi in italiano, parla in latino e ce lo spiega: “Durante la prigionia ho celebrato la messa in latino a memoria, così come ho confessato e distribuito la comunione di nascosto”.
Nei primi anni di lavoro forzato, Simoni, doveva spaccare pietre con una mazza di ferro pesante quasi venti chili.
Ma Ernest Simoni, il “cardinale albanese” è , appunto, soprattutto per la comunità albanese, anche il “cardinale di Pistoia”.
E’ insediata, infatti, nella nostra città e provincia una fortissima comunità albanese che ha avuto in don Simoni uno tra i propri padri spirituali, poiché il sacerdote è stato, per molti anni, punto di riferimento e accompagnatore di questa comunità, così come di quella di Prato. Don Simoni ha poi accompagnato le comunità della diaspora albanese anche in altri stati, come il Belgio e gli Stati Uniti.
“Ho sempre detto ai miei concittadini migranti, allora tutti poveri, di credere nella speranza della Fede – ci racconta Don Simoni nella basilica della Madonna dell’Umiltà, subito prima che inizi la cerimonia di premiazione promossa dal Centro Studi Donati.
“Ho avuto, in questi lunghi anni, la grazia speciale della salute, per continuare a stare a fianco del mio popolo, per trasformare, ogni giorno, anche il più duro in un giorno di Pace.”
“E’ un grazia – ha continuato Simoni – continuare ad amare tutti i poveri, farlo nel nome di ciò che Gesù Cristo ci ha insegnato. L’immagine di Cristo e delle sue sofferenze mi ha aiutato anche di fronte alle torture più disumane.”
Passando all’oggi, il cardinale, con il suo sguardo gentile, ha continuato: “L’Italia, la Toscana, Pistoia sono state terre di accoglienza per tantissimi albanesi: qui molte famiglie hanno trovato casa, lavoro, luce, speranza.”
Un tema quello dell’integrazione troppo spesso dimenticato per fare posto alla retorica dell’emergenza e della paura.
A fianco del cardinale c’è don Elia Matija, parroco a San Baronto, fiero delle sue origini, da poco, ha ricevuto, dal sindaco di Pistoia Tomasi, anche la cittadinanza italiana.
Don Elia è la dimostrazione concreta delle parole di Ernest Simoni: è arrivato in Italia da bambino, sui gommoni e, racconta, insieme a tanti piccoli, c’erano anche droga e armi, in quel viaggio, insieme, della disperazione e della speranza.
Nel momento della consegna del premio rimane il tempo, per il cardinale ultranovantenne, di ringraziare la città di Pistoia con un ricordo storico.
Don Simoni cita il vertice del 1944, sul finire della seconda guerra mondiale, tra Stalin Churchill e Truman in cui Stalin non volle includere Papa Pacelli, perché “non aveva divisioni armate”.
Il Papa, racconta Simoni, aveva dalla sua una sola arma: l’insegnamento di Gesù: “ama i tuoi nemici”.
Un’arma nonviolenta che è alla base della storia, incredibile e bellissima, di questo straordinario e coraggioso testimone di Pace.

giovedì 9 novembre 2017

GIORGIO LA PIRA E I GIOVANI
A 40 dalla scomparsa, Pistoia premia l’associazione ispirata all’ex sindaco di Firenze
di Francesco Lauria 




PISTOIA - Solo pochi giorni fa è stato celebrato il quarantesimo anniversario della morte di Giorgio La Pira, il sindaco “santo” di Firenze, terziario domenicano e padre costituente della Repubblica.
Pensieri ed opere del professore siciliano trapiantato in Toscana sono state ricordate, ma non va dimenticata una delle eredità tuttora “vive” di La Pira: l’associazione impegnata nella formazione dei giovani da lui ispirata già in vita e che oggi ne porta orgogliosamente il nome.
L’Opera La Pira per i giovani quest’anno verrà premiata, a Pistoia, con il premio internazionale dedicato al sindaco di Firenze.
Opera La Pira è un’associazione giovanile che, fin dalle origini, si è radicata in due grande strutture di formazione: i villaggi “La Vela” di Castiglione della Pescaia, e “Il Cimone” di Pian degli Ontani in provincia di Pistoia, cui si è affiancata, più recentemente, la “Casa Alpina Firenze” di Rhêmes Notre-Dame in Valle D’Aosta.
In questi tre centri si svolgono i campi scuola estivi, elemento centrale di tutta l'attività educativa dell’associazione.
La sede dell’Opera è a Firenze, in via Gino Capponi, dove lo stesso Giorgio La Pira ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.
Ha sottolineato Giancarlo Niccolai, presidente del Centro Donati, da sempre organizzatore del premio: “l’idea di assegnare all’Opera il premio La Pira per la Pace, in un anno così significativo per chi si ispira alla figura del sindaco di Firenze, è stata “naturale”, soprattutto nell’ottica di una memoria che non si spegne, ma si trasmette alle nuove generazioni”.
Ma che cosa è e come agisce l’Opera La Pira?
Fondatore dell’Opera fu un’altra figura molto significativa del cattolicesimo sociale fiorentino: Pino Arpioni, che ne è stato presidente fino alla sua morte avvenuta il 3 dicembre 2003.
Arpioni decise di dedicarsi interamente alla formazione dei giovani durante i due anni passati in vari campi di prigionia tedeschi durante la guerra: “mi sono reso conto – dichiarò alcuni anni prima di morire - che la mia formazione religiosa era valida e mi ha aiutato a superare quei due anni di prigionia. Ma mi sono reso anche conto che alla mia formazione mancava l’aspetto sociale e politico; ho capito che forse il mondo cattolico, nel periodo fascista, non aveva operato come avrebbe dovuto affinché non si arrivasse alla guerra. Quindi è maturata in me l’idea che la formazione dei giovani deve tenere conto di questi due aspetti, quello religioso e quello politico - sociale”.
Questa sua attenzione si consolidò negli anni ‘50, quando fu Assessore nella Giunta Comunale di Firenze nelle amministrazioni guidate da La Pira (1951 - 1965) e quando – dopo diverse esperienze di campi giovanili “mobili” – iniziò nel 1954 la costruzione di un villaggio “fisso” proprio nella montagna pistoiese, a Pian degli Ontani.
Oggi, l’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira – Onlus è un’associazione coordinata da un nutrito gruppo di volontari: in più di 60 anni di attività sono stati oltre cinquantamila i ragazzi e le ragazze coinvolti.
Quando era in vita la presenza di Giorgio La Pira tra i giovani ha esercitato una notevole influenza nell’allargare l’orizzonte della loro formazione nel campo della solidarietà internazionale.


Qualche esempio: dopo una serie di scambi con giovani inglesi della Chiesa anglicana, particolare rilievo hanno assunto gli incontri tra i giovani italiani e russi, in tempi in cui era ancora forte il potere sovietico.
Nel 1984 l’Opera prese infatti l’iniziativa di celebrare il 25esimo anniversario del primo viaggio in Russia di La Pira recandosi a Mosca, Zagorsk e Leningrado con un gruppo di cento giovani, dopo aver definito con le autorità dell’URSS un nutrito programma di incontri a livello politico, sociale e religioso. L’iniziativa ha poi consentito il perfezionarsi di un vero rapporto di scambio, con un viaggio di giovani italiani a Mosca e a S.Pietroburgo e il reciproco viaggio dei giovani russi – di Mosca e di San Pietroburgo – in Italia, ospiti del Villaggio La Vela per l’ormai consolidata esperienza del “Campo internazionale”, riservata agli universitari.
Il desiderio di conoscere meglio e assimilare le “ipotesi di lavoro” di La Pira ha poi spinto l’Opera ad incentrare i propri sforzi sul dialogo multireligioso in Medio Oriente.
L’Associazione si è impegnata e tuttora si adopera sulla scia del “sentiero di Isaia”, la Pace di Gerusalemme tra la “triplice famiglia di Abramo”: Ebrei, Cristiani, Musulmani.
In questa prospettiva partecipano ormai da molti anni al Campo internazionale, oltre ai giovani italiani, russi e da alcuni paesi dell'Africa, anche giovani ebrei e arabi, cristiani e musulmani, provenienti da Israele e dalla Palestina.
Elemento qualificante della metodologia dell’associazione è proprio quello del campo-scuola della durata dai 10 ai 15 giorni: nell’esperienza di vita comunitaria è proposto un percorso di formazione “integrale” attraverso la riflessione, lo studio e la preghiera, anche multireligiosa, insieme ad attività ricreative.
I più disponibili vengono poi invitati a partecipare a degli incontri di formazione specifici, durante tutto l’arco dell’anno, in modo da prepararsi con un cammino costante e approfondito di animazione socio-culturale. Ogni estate l’attività educativa coinvolge circa mille ragazzi ed è animata da circa centocinquanta volontari, un terzo di questi nel territorio pistoiese.

Abbiamo incontrato l’attuale presidente dell’Opera Gabriele Pecchioli (a destra) che sarà a Pistoia, il prossimo 12 novembre alla Basilica della Madonna per ritirare il Premio Internazionale La Pira per la pace. 



Quali sono le prospettive e i prossimi progetti dell’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira ad oltre sessanta anni dalla Fondazione?
L'Opera intende continuare ed intensificare il servizio educativo che svolge dando sempre maggiore attenzione alle esigenze formative dei giovani, che cambiano rapidamente: un “accompagnamento” fraterno dei giovani che partecipano alle attività formative e che, secondo il suo metodo, li aiuti, pur davanti a sfide sempre nuove, a crescere come donne e uomini liberi, responsabili e attenti alla vita della comunità in cui sono inseriti. In questo è fondamentale la prospettiva del dialogo ecumenico, interreligioso e tra culture sperimentato da anni (fin dalla fine degli anni settanta, quando questo appariva molto ardito) e che trova nell'annuale Campo Internazionale la sua manifestazione più evidente. L'idea è quella di sviluppare questa singolare esperienza di “dialogo comunitario”, ispirato ai “ponti di unità e pace” pensati da La Pira, aprendo anche nuove piste di dialogo. Allo stesso tempo appare sempre più evidente la necessità di riprendere, con maggiore decisione, il filo mai interrotto della formazione sociale e politica, di cui è sempre più evidente l'urgenza. 
Il premio ottenuto quest’anno testimonia un legame forte con il territorio pistoiese. Come vivete questo rapporto con un territorio apparentemente “periferico” visto da una realtà inevitabilmente legata al contesto cittadino del capoluogo fiorentino?
Il legame con il territorio pistoiese è molto forte e nasce dal fatto che uno dei nostri centri, il villaggio “Il Cimone” si trova sulla montagna pistoiese a Pian degli Ontani. La storia del Villaggio (la “colonia” per i più anziani del posto) è intrecciata con la vita di quella comunità: un rapporto di scambio fecondo che ha visto coinvolti, fin dalla costruzione del Villaggio, moltissimi abitanti di Pian degli Ontani. Il Villaggio, in cui sono stati ospitati migliaia di giovani (fiorentini e toscani, essendo messo a disposizione anche di altre realtà associative cattoliche della nostra regione), non è per noi periferia, anzi: è il luogo “centrale”, soprattutto in inverno, della nostra riflessione e della formazione dei giovani educatori. 
Alcuni libri e articoli usciti in occasione di questo anniversario “lapiriano” hanno cercato di mettere in discussione una certa memoria, a loro parere, “ingiustamente consolidata” di Giorgio La Pira. Come vede questa contesa sull’eredità e sull’interpretazione del vostro padre ispiratore?
Non voglio entrare in polemiche. L'eredità di La Pira appartiene a tutti gli uomini di buona volontà e, soprattutto, alle nuove generazioni: “i giovani sono come le rondini, volano verso la primavera” amava dire il professore. Il pensiero di La Pira riveste una grande attualità: non si tratta, credo, di reclamarsi eredi quanto di lasciarsi interrogare dal suo pensiero. Ricordando, come è stato più volte ribadito, che nulla dell’azione di La Pira è comprensibile ignorando il piano della fede.

sabato 4 novembre 2017

Un amore bandito: lo spettacolo dei detenuti di Rebibbia a Pistoia con il Ceis

di Francesco Lauria
Pistoia - La compagnia “Stabile Assai” è il più antico gruppo teatrale italiano che opera nelle carceri.
Martedì 7 novembre alle ore 21 sarà a Pistoia, al teatro Manzoni, nell’ambito delle iniziative di Pistoia capitale italiana della cultura.
Lo spettacolo che verrà rappresentato: “Un amore bandito” narra la storia d’amore tra Michelina Di Cesare e Franceschino Guerra, due giovani briganti, morti a soli 24 anni, con particolare riferimento alle loro ultime ore. Attraverso i loro ricordi viene ripercorsa la storia dell’Italia postunitaria.
L’allestimento è realizzato in collaborazione con il Ceis di Pistoia, il Centro di Solidarietà presieduto da Franco Burchietti. (http://reportpistoia.com/pistoia/item/42205-ceis-35-anni-di-lotta-alla-droga-a-pistoia-fragilita-e-solidarieta-sulla-scia-di-suor-gertrude.html)
La storia del brigantaggio è rievocata con attenzione al ruolo delle donne, ai sentimenti di odio e compassione, al ruolo della Chiesa, alla complessità di un mondo in cui sono state commesse atrocità raccontate con l’occhio triste di un capitano piemontese.
“Un amore bandito” racconta la voglia di vivere di uomini e donne della Lucania, della Campania e di tutto il Sud, attraverso uno spettacolo che la compagnia “Stabile Assai” definisce come una “riduzione in chiave di drammaturgia penitenziaria”.
L’evento nasce in occasione del trentacinquesimo anniversario del Ceis di Pistoia, l’associazione, fondata da suor Gertrude, da sempre impegnata nella lotta alle dipendenze e nei percorsi di riabilitazione.
Il legame tra il Ceis e la compagnia “Stabile Assai” nasce - come spiega il Presidente Franco Burchietti - proprio dall’importanza dei laboratori teatrali in tutte le tre comunità dell’associazione: tra i minori, le madri e gli adulti. Il teatro, infatti, - spiega il Presidente del Ceis - ha grandi potenzialità di recupero e di espressività: è per noi davvero importante”.
Molte le storie peculiari degli attori/detenuti, della compagnia “Stabile Assai”: come Salvo Buccafusca, appartenente alla famiglia mafiosa di Pippo Calò, poi laureatosi in sociologia in carcere e oggi imprenditore edile, Francesco Rallo, detenuto ergastolano appartenente al clan mafioso di Partanna, Cosimo Rega detenuto ergastolano, noto per aver vinto con la regia dei Fratelli Taviani l’orso d’oro di Berlino nel 2012 (era il Cassio di “Cesare deve morire”), Giovanni Arcuri (il Cesare dell’omonima opera teatrale), noto narcotrafficante ed oggi imprenditore, sono tra i protagonisti dell’opera. Da evidenziare, la partecipazione di Rocco Duca, unico agente penitenziario in Italia a recitare con i detenuti.
La scrittura drammaturgica è affidata ad Antonio Turco, il fondatore (nel lontano 1982) della Compagnia, funzionario pedagogico della Casa di reclusione di Rebibbia e della teatro terapeuta Patrizia Spagnoli.
Ma che cos’è e cosa rappresenta la compagnia “Stabile Assai”?
Nata nella Casa di Reclusione Rebibbia di Roma è, come detto, il più antico gruppo teatrale operante all’interno del contesto penitenziario italiano: il suo esordio, come detto, risale al luglio 1982.
La compagnia si è caratterizzata per la stesura di testi del tutto inediti, dedicati ai grandi temi dell’emarginazione, come l’ergastolo (“Fine pena mai”), la follia (“Nella testa un campanello”), la questione meridionale (“Carmine Crocco”), l’integrazione interetnica (“Nessun fiore a Bamako”).
Una realtà, quella che si esibirà al Teatro Manzoni a Pistoia martedì prossimo, che è anche stata insignita della medaglia del Capo dello Stato per la valenza sociale della sua attività artistica.
Per informazioni e prenotazioni sullo spettacolo: segreteria Ceis: 0573368701 segreteria@ceispt.org oppure presso la biglietteria del Teatro Manzoni.
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mercoledì 1 novembre 2017

MICHELE GESUALDI e la LETTERA SUL FINE VITA.

Ho conosciuto Michele Gesualdi non direttamente, se non attraverso le sue opere.
Ieri, ad esempio, mi trovavo allo stupendo Villaggio La Brocchi a Borgo San Lorenzo che ebbe la luce, circa oltre venti anni fa, anche grazie al suo impulso decisivo mentre era Presidente della Provincia di Firenze e che ancora oggi ci mostra un modello innovativo e di successo di integrazione socio-lavorativa di migranti e rifugiati nel territorio.
L'emozione che mi hanno regalato il suo ultimo libro sulla figura di Don Lorenzo Milani e l'esperienza condivisa di Barbiana e l'incontro con la figlia Sandra e la moglie, oltre alle tante attività che continua a portare avanti, nonostante la Sla che avanza inesorabile, mi danno il segno di quanto lui ami la Vita, non solo la sua.
La sua lettera sul testamento biologico non mi ha, quindi, lasciato indifferente.
I termini della questione sono spiegati molto bene: da un caso concreto si può capire molto di più che da mille libri.
Per questo condivido il suo pensiero con voi, ora che è stato rilanciato da Repubblica e Corriere della Sera, in realtà dopo alcuni mesi che la sua lettera sul fine vita è stata scritta.
Non sarò mai favorevole all'eutanasia, solo, comprendo, come il testamento biologico sia qualcosa di profondamente diverso e che non ci può lasciare indifferenti e inerti.
Anche di questo dobbiamo essere grati a Michele
Firenze, l'allievo di don Milani sul testamento biologico: "Fate presto ho la Sla, non voglio essere torturato".
L'appello di Michele Gesualdi per la legge sul fine vita: "Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciarmi libero di scegliere"
“E’ stato un atto di lotta civile”, spiega la figlia Sandra. Un atto condensato in una lettera-appello inviata ai presidenti di Camera e Senato per chiedere l’urgente approvazione della legge sul “fine vita”. A dettarla Michele Gesualdi, profondamente cattolico, uno dei primi sei allievi di don Lorenzo Milani nella scuola di Barbiana, poi dirigente Cisl e presidente della Provincia di Firenze subito prima di Matteo Renzi. Gesualdi ha avvertito i primi sintoni di Sla circa tre anni fa e oggi non si muove più, se non a piccoli passettini, quasi non riesce a parlare. Ma non è per questo come che si è deciso a scrivere la lettera.
Lo ha fatto, come spiega lui stesso, perché in caso di grave crisi respiratoria si può prevedere un intervento di tracheotomia e in caso di ulteriore difficoltà a deglutire si può ricorrere alla gastrotomia endoscopia percutanea. In pratica, dice di sé Gesualdi “mi ritroverei uno scheletro di gesso con due tubi”, uno nella gola e uno nello stomaco. Una prospettiva che l’ex allievo di don Milani ha già deciso di rifiutare. Ma che succede se di fronte ad una crisi respiratoria i familiari chiamano il 118? O se venisse portato al pronto soccorso?
E’ qui che si avverte l’assenza della legge sul “fine vita”, avverte drammaticamente Gesualdi nella lettera. I sanitari sarebbero obbligati ad “interventi invasivi”. Proprio quelli che Gesualdi non vuole. E che giustificano la richiesta di approvare in via definitiva la legge sul testamento biologico: “Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciare libero l’interessato, lucido, cosciente e consapevole, di essere giunto alla tappa finale, di scegliere di non essere inutilmente torturato”. In pratica, con la legge sul “fine vita” si dovrebbe perciò legittimare la volontà dell’interessato, attraversa una dichiarazione formale e la nomina di un tutore, in genere un familiare, che garantisca il rispetto della scelta anche di fronte ai medici del Pronto soccorso.
Gesualdi ha scritto la lettera nello scorso marzo, anche se è stata rilanciata da pochi giorni da Radio Radicale. Da allora un testo è stato approvato alla Camera in aprile: “Si tratta di un testo equilibrato, che non ha niente a che fare con l’eutanasia”, dice il deputato del Pd Federico Gelli, uno degli estensori degli articoli. “E contiamo ancora di approvarla in via definitiva anche al Senato prima della fine della legislatura”, aggiunge Gelli.
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Fine vita, appello da Barbiana
«Non voglio più essere torturato»
Michele Gesualdi, allievo di don Milani e malato di Sla, scrive ai presidenti di Camera e Senato: fate presto ad approvare la legge sul testamento biologico
Da tre anni la Sclerosi laterale amiotrofica lo consuma, lo «tortura», lo ha trasformato «in un scheletro rigido come se fosse stato immerso in una colata di cemento». Ma la sua mente, i suoi occhi, sono sempre gli stessi. Così, Michele Gesualdi, ha deciso di scrivere ai presidenti della Camera e del Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso, e a tutti i presidenti dei gruppi parlamentari, per implorarli ad accelerare l’approvazione della legge sul testamento biologico (qui la lettera). Due volte presidente della Provincia di Firenze, storico sindacalista Cisl, Gesualdi è stato uno dei primi sei allievi della scuola di don Milani, a Barbiana. Fu il prediletto di Don Lorenzo, ancora oggi presidente della Fondazione che ne porta testimonianza. «Mio babbo è un cattolico di ferro — spiega la figlia Sandra — aveva scritto la lettera da mesi ma non l’aveva voluta spedire perché aveva paura di creare compassione e soprattutto paura di essere strumentalizzato. Per lui volontà e dignità della persona devono essere al centro di tutto. Ma la sua lettera non è nel modo più assoluto un’apertura all’eutanasia». Michele Gesualdi, nella lettera, racconta il suo dolore e quello dei suoi famigliari. Ripete più volte la parola «tortura».
«Rifiutare trattamenti invasivi non è un’offesa a Dio»
E chiede una legge che non renda più rapida la sua fine, ma che gli permetta di alleviare la sua sofferenza: «Accettare il martirio del corpo della persona malata quando non c’è nessuna speranza né di guarigione né di miglioramento, può essere percepita come una sfida a Dio», scrive. Un ribaltamento di prospettiva per un militante cattolico. Rifiutare trattamenti invasivi, come l’alimentazione o la ventilazione forzate, non è «un’offesa a Dio che ci ha donato la vita». Gesualdi incalza: «Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciare libero l’interessato, lucido cosciente e consapevole, (…) di scegliere di non essere inutilmente torturato». Chiede quindi il diritto a rifiutare trattamenti come la tracheotomia, ma anche la certezza di poter accedere alle cure palliative che gli consentano di spegnersi senza soffrire. Secondo la legge italiana è già possibile rifiutare terapie come la tracheotomia, e in teoria si può accedere alle cure palliative che permettano di non morire tra atroci sofferenze dovute all’insufficienza respiratoria. Ma, si chiede Gesualdi, se la crisi arriva di notte, quando il medico che ha in cura il malato non c’è, cosa può fare un famigliare? Chiamare il 118 e rischiare che gli operatori rifiutino (e possono farlo) di mettere in atto le disposizioni del malato? O non chiamare nessuno, e lasciar morire il proprio caro mentre soffre?
L’incontro con il Papa nel giugno scorso
Il testo mette così a nudo le lacune della legislazione italiana, l’assenza di norme coerenti che tutelino la volontà e la dignità del malato. Gesualdi chiede al legislatore di consentire a lui, e a chi vive come lui di poter scegliere di non essere inutilmente torturato. La lettera, spedita soltanto ora, era stata scritta lo scorso marzo. Il 20 giugno Gesualdi era salito a Barbiana per la storica visita del Papa. Francesco e Michele si erano incontrati, da soli, nella vecchia cucina accanto alla scuola di don Lorenzo, in un dialogo silenzioso, fatto di sguardi, di carezze. Gesualdi aveva consegnato una lettera al Pontefice: «Barbiana resti povera e austera». Sembrava il suo testamento. Invece, dice la figlia Sandra «la malattia è l’ennesimo insegnamento di Michele. La Sla è lenta, devastante, mina lui e tutti noi che gli stiamo intorno. Però il babbo non poteva che reagire così, mettendo questa sua situazione gravosa a disposizione degli altri. Spera che questo suo piccolo, ultimo contributo possa servire a rendere un po’ migliore il mondo in cui viviamo».

Il link alla lettera:
Student Film-Festival - L'uomo planetario.   A Pistoia.

Una bellissima iniziativa (e non solo perchè c'è My name is Adil !)
Anche il titolo della rassegna, che ci ricorda Ernesto Balducci, è davvero azzeccato.

 
Mabuse Cinema, gestore dei cinema Globo e Roma di Pistoia, e l’Assemblea Antirazzista Antifascista – Vicofaro (Pistoia), organizzano a Pistoia una rassegna cinematografica per gli studenti, denominata “Student Film Festival – L’uomo planetario”.
Il ciclo di film, che va da novembre ...
2017 a febbraio 2018, affronta l’analisi del fenomeno dell’immigrazione e del rispetto dei diritti umani, mettendo in luce aspetti poco conosciuti e riflessioni su un tema di estrema attualità.
I film proposti sono:

· L’ordine delle cose, regista Andrea Segre, Italia, 2017
la proiezione si terrà il giorno 4 dicembre 2017, alle ore 9,00 (prenotazioni entro il 22 novembre 2017)
Se la legge e il senso comune contrastano tra loro, è possibile sovvertire L'ordine delle cose? Un interrogativo universale: tentare di cambiare gli squilibri inaccettabili della società o salvaguardare egoisticamente i propri privilegi?

· Human Flow, regista Ai WeiWei, Germania-Usa, 2017
la proiezione si terrà il giorno 16 gennaio 2018, alle ore 9,00 (prenotazioni entro il 22 dicembre 2017)
Il documentario di Weiwei testimonia il senso di smarrimento che accomuna la moltitudine di quelli che definisce i "dislocati" piuttosto che i migranti, mettendo poi l'accento sulla mancanza di (umana) accoglienza loro riservata da un mondo che, invece di creare più corridoi umanitari, alza steccati ed erige sempre nuove barriere, creando confini moltiplicatisi esponenzialmente rispetto all'epoca della caduta del muro di Berlino.

· My name is Adil, regista Adil Azzab, Italia-Marocco 2017
la proiezione si terrà il giorno 21 febbraio, ore 9,00 (prenotazioni entro il 9 febbraio 2018)
A Milano, Adil, elettricista, grazie all’incontro con un Centro di aggregazione giovanile, aveva, infatti, scoperto la passione per il cinema e la fotografia. Grazie a un gruppo di sostenitori che hanno partecipato a un crowdfunding per la realizzazione del progetto, e con pochissimi mezzi, Imagine Factory, associazione da lui fondata, ha realizzato “My name is Adil”.

Le proiezioni si terranno se sarà raggiunto il numero minimo di 100 spettatori, presso il Cinema Globo (via dei Buti) o il Cinema Roma d'Essai (via Laudesi) in base alle prenotazioni pervenute che possono essere comunicate alla seguente email: assembleaantirazzistavicofaro@gmail.com. Il prezzo del biglietto è di 5 €.

sabato 28 ottobre 2017

ASTROLABIO DEL SOCIALE

PREMIO PER STUDENTI E GIOVANI RICERCATORI

E' stato prorogato al 31 gennaio 2018 il termine per l'invio dei contributi del Premio Astrolabio del Sociale: premio per favorire tra i giovani l'interesse verso la ricerca in campo lavoristico, sociale e delle relazioni industriali.

Il premio è ispirato e sostenuto da un gruppo di studiosi, ricercatori e sindacalisti, tra cui: Pierre Carniti, Mario Colombo, Raffaele Morese e dalla Cisl n.le.

Per ogni ulteriore informazione:
www.astrolabiosociale.it
Pagina fb: Astrolabiodelsociale
Info: Francesco Lauria - francesco.lauria@cisl.it (segreteria organizzativa del premio).

Il premio


Il monte premi, di € 10.000, è suddiviso in
2 contributi di 5.000 euro ciascuno

I concorrenti dovranno presentare un saggio, di lunghezza compresa  tra le  75.000 e le 125.000 battute (escluse tabelle, note e bibliografia), attinenti ad una delle seguenti tematiche:

 IL LAVORO,  FRAMMENTATO E SVALUTATO, VA UNIFICATO E RAPPRESENTATO
Alle soglie di una diffusione sempre più massiccia dell’economia digitale, si analizzi l’esigenza della rivisitazione di regole, garanzie, diritti attualmente divisi tra lavoro autonomo e dipendente e anche all’interno di quest’ultimo. Riflettere, inoltre, sulla sottovalutazione economica, culturale e politica del lavoro, sull’indebolimento delle forme di rappresentanza e, di conseguenza, sul loro necessario rinnovamento e rafforzamento .

LE DISUGUAGLIANZE DI UN SISTEMA FISCALE SCHIZOFRENICO
Nella lunga crisi di questo inizio di secolo, come in tutti i Paesi occidentali a capitalismo evoluto, sono aumentate le disuguaglianze sociali in Italia. In particolare quelle fiscali, che gravano pesantemente sui redditi da lavoro, creando una contraddizione tra principi (articolo 53 della Costituzione) e pratica (chi è vincolato al prelievo fiscale alla fonte e chi invece non lo è). Indicare soluzioni possibili che favoriscano la riduzione delle disuguaglianze.

Requisiti e modalità di partecipazione/premiazione.

Preambolo
Per  favorire gli studi sulle trasformazioni del lavoro, delle relazioni industriali e del welfare, “Astrolabio del sociale” ha deliberato di istituire un PREMIO al fine di  favorire tra i giovani l’interesse verso la ricerca in campo lavoristico, sociale e delle relazioni industriali.

 1 – Partecipanti. Possono concorrere al conseguimento del PREMIO:
1.1. gli studenti universitari, italiani e non, iscritti, con regolare frequenza, a qualsiasi università italiana corsi di laurea triennale o magistrale;
1.2. i laureati e i frequentanti di corsi di dottorato o di corsi postlaurea;
1.3. Tutti coloro che, a prescindere dal titolo di studio, non abbiano compiuto il 36° anno di età  al momento della pubblicazione del bando.

2 – Premi.
2.1. Il monte premi, di € 10.000, è suddiviso in 2 contributi di 5.000 euro ciascuno.
2.2. E’ prevista l’eventuale pubblicazione con Edizioni lavoro dei  saggi ritenuti particolarmente meritevoli di  diffusione a stampa dalla Commissione esaminatrice.

3 – Elaborati e tematiche. I concorrenti dovranno presentare un saggio, di lunghezza compresa tra le 75.000 e le 125.000 battute (escluse tabelle, note e bibliografia), attinenti ad una delle seguenti tematiche proposte (si veda testo delle tracce).

4 – Modalità di consegna.
4.1. Ogni concorrente deve inviare il proprio elaborato inedito in versione italiana e firmato con uno pseudonimo a scelta,  in forma cartacea (raccomandata r.t.) e facoltativamente in forma digitale (posta certificata).
4.2. Su foglio a parte, in busta chiusa, acclusa al plico, devono essere indicati: cognome, nome, indirizzo dell’autore, curriculum vitae, email di riferimento.
4.3. Il plico, indirizzato a “Premio Astrolabio del Sociale”, c/o Centro Studi Cisl, Via della Piazzola n. 71. 50123 Firenze,  dovrà pervenire a mezzo posta entro e non oltre la mezzanotte del giorno 31 gennaio 2018 (farà fede il timbro postale).
4.4. Gli elaborati inviati rimarranno a disposizione presso il “Premio Astrolabio del Sociale” e non saranno restituiti per nessuna ragione.

5 – Valutazione e premiazione.
5.1. L’operato della giuria, i cui componenti saranno resi noti solo all’atto della premiazione, è insindacabile, compresa l’eventuale decisione di non assegnare il premio, qualora non siano stati prodotti elaborati ritenuti soddisfacenti e di devolvere il premio non assegnato all’incremento dei premi degli anni successivi.
5.2. Entro il 30 marzo 2018 a tutti i concorrenti saranno comunicati i vincitori e la data della premiazione che avrà luogo in occasione di una iniziativa pubblica.

PARTECIPATE!


martedì 24 ottobre 2017

My name is Adil: gli occhi migranti di un bambino e un lungo viaggio che ci parla

di Francesco Lauria


Un film indipendente, prodotto attraverso il crowfunding, con attori non professionisti.

Una storia vera, quella di Adil, un bambino che vive nella campagna del Marocco, in una delle zone più povere del paese, con la madre, i fratelli e il nonno capo-famiglia.

E’ un mondo povero, duro, dove fin da piccoli si lavora per ore nei pascoli, gli adulti possono essere rudi, studiare un privilegio per pochi.

Gli occhi fanciulli amano la propria terra, ma vedono i propri compagni invecchiare precocemente, tra le greggi.

El Mati è il padre di Adil.

Come centinaia di migliaia di altri marocchini è, da anni, emigrato in Italia, a Milano.

All’epoca non esistevano telefoni satellitari, la voce di un padre giunge da lontano, nell’unico telefono del paese, di tanto in tanto.

Adil vuole un futuro diverso e, tra mille difficoltà, con un viaggio complesso, riesce a raggiungere il genitore e ad allontanarsi da uno zio patrigno che sfrutta lui e i suoi fratelli senza amore e senza rispetto.

Migrare è una grande scommessa verso il futuro, è la speranza di un incontro e di un riscatto, ma è anche una frattura, una separazione dolorosa dalla propria storia, dal proprio “io” e, insieme, dal proprio “noi”.

A tredici anni Adil scopre un nuovo mondo. L’Italia, Milano non sono il sogno sognato, almeno all’inizio non il luogo della favolosa “svolta”. Piano si può permettere di studiare, crescere, amare, costruire nuovi legami. L’Italia, non senza dolore, entra nell’io e nel noi.

Il film ci accompagna in dieci anni di costruzione di questa nuova idenità mista: di un bambino divenuto ragazzo e poi giovane adulto.

Ci accompagna anche nel viaggio di un (temporaneo) ritorno.

Dopo dieci anni di assenza dal Marocco, Adil, ritorna, infatti, nel suo paese, intraprendendo un viaggio di ricerca e di riscoperta delle proprie radici, che lo aiuti a intrecciare i fili della sua storia e della sua identità, perché: “solo se conosci da dove vieni, puoi sapere chi sei”.

Questo film è stato proiettato nelle scuole, nelle carceri, nei consolati, nelle sedi sindacali, nei festival indipendenti di mezzo mondo.

Un viaggio di parole, immagini, poesia, silenzi, lacrime e sogni, realizzato senza finanziamenti e in modo indipendente.

My name is Adil ha accompagnato, in oltre un anno di passaparola, il tema della migrazione nelle nostre città, attraverso una storia che raccoglie infinite altre storie: la migrazione e l’identità culturale molteplice affrontate dal punto di vista dei bambini e dei ragazzi.

Oltre ogni percepita “emergenza”.

Ma come nasce il film?

“Sarebbe la prima volta che un ragazzo che non sa niente di cinema arriva in un altro paese, impara a fare un film e racconta la sua storia”. Tre anni prima dell’uscita del film, quando tutto quanto era poco più di una scommessa, Gabriele Salvatores aveva commentato così il progetto di Adil Azzab, oggi educatore in una comunità per minori, di raccontare la propria storia attraverso il cinema.

A Milano, Adil, elettricista, grazie all’incontro con un Centro di aggregazione giovanile, aveva, infatti, scoperto la passione per il cinema e la fotografia. Grazie a un gruppo di sostenitori che hanno partecipato a un crowdfunding per la realizzazione del progetto, e con pochissimi mezzi, Imagine Factory, assocazione da lui fondata, ha realizzato “My name is Adil”.

Il film, che il 24, 25, 26 ottobre, arriva nelle sale  italiane, ha vinto numerosi premi e riconoscimenti in tutto il mondo, l’ultimo al festival del cinema indipendente di Tangeri.

Questo film realizza una magia: parla a tutti. Ci racconta non solo una storia, ma un viaggio che ci porta di fronte, come avrebbe detto Kapucinski, all’altro. “Per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri: gli altri sono lo specchio in cui ci vediamo riflessi, commenterebbe Richard Kapucinski. Adil ci racconta come ha conosciuto l’Italia attraverso i suoi occhi di bambino proveniente dal Marocco e come ha riconosciuto il Marocco, attraverso il suo nuovo sguardo, la sua nuova vita, da giovane adulto.

Con questo film, girato per lo più in arabo, con sottotitoli in italiano, tutti noi, italiani, migranti, “molteplici”, abbiamo la possibilità di riconoscere meglio noi stessi. Proprio negli occhi dell’altro, senza fuggire: guardando di fronte e dentro di noi.

Senza edulcorare alcunchè, vivendo, tentando di controllarla e trasformarla, anche la rabbia che portiamo dentro, il senso di ingiustizia, la paura dell’abbandono.

Consapevoli che è con l’incontro che questa rabbia si può trasformare in opportunità e progetto, in uno sguardo non uniforme, ma condiviso e più profondo. Che cura le ferite e ci fa ascoltare la musica, a volte allegra, a volte triste, di un viaggio che chiamiamo semplicemente vita.

Pubblicato suhttp://www.reportcult.it/cinema/item/1463-my-name-is-adil-gli-occhi-migranti-di-un-bambino-e-un-lungo-viaggio-che-ci-parla.html

In sala in Toscana:
FIRENZE – Cinema Stensen: 24 ottobre 2017 - Ore 16/ 20/ 21.30; 25 ottobre 2017 - Ore 17/ 20/ 21.30
26 ottobre 2017 – Ore 19.30
FIRENZE – Cinema Adriano: 24 ottobre 2017 - Ore 21,30
CERTALDO – Multisala Boccaccio cinema teatro: 25 ottobre 2017 - Ore 20
PISA - Cinema Caffé Lanteri: 24 ottobre 2017 - Ore: 18; 25 ottobre 2017 - Ore: 20.
PRATO – Multiplex Omnia Center: 24 ottobre 2017 – Ore 21; 25 ottobre 2017 - Ore: 21; 26 ottobre 2017 - orario da definire
COLLE DI VAL D’ELSA – Cinema teatro Sat'Agostino: 25 ottobre 2017 - Ore 21,15
POGGIBONSI - Cinema Garibaldi Poggibonsi: 24 ottobre 2017 - Ore 20; 25 ottobre 2017 - Ore 20




sabato 21 ottobre 2017

MY NAME IS ADIL:
una storia migrante,
un'emozione che ci parla
(AL CINEMA!)



My name is Adil.

A FIRENZE: Cinema Stensen- Viale Don Minzoni
24 ottobre 2017 - Ore 16.00 / 20.00 / 21.30
25 ottobre 2017 - Ore 17.00 / 20.00 / 21.30
26 ottobre 2017 - Orari da definire



Vedi il trailer:[ https://www.youtube.com/watch?v=HxivnOL7bwM ]

Elenco sale:
[http://www.unisonacinema.it/mynameisadil/


Altre sale in Toscana:
  1. FIRENZE - CINEMA ADRIANO
    24 ottobre 2017 - Ore 21,30
  2. CERTALDO - MultisalaBoccaccio Cinema Teatro
    25 ottobre 2017 - Ore 20,00
  3. PISA - Cinema Caffé Lanteri
    24 ottobre 2017 - Ore: 18,00
    25 ottobre 2017 - Ore: 20,00
  4. PRATO - MULTIPLEX OMNIA CENTER DI PRATO
    24 ottobre 2017 - Ore: 21,00
    25 ottobre 2017 - Ore: 21,00
    26 ottobre 2017 - orario da definire
  5. COLLE DI VAL D’ELSA - CINEMA TEATRO SANT'AGOSTINO
    25 ottobre 2017 - Ore 21,15
  6. POGGIBONSI - Cinema Garibaldi Poggibonsi
    24 ottobre 2017 - Ore 20,00
    25 ottobre 2017 - Ore 20,00

lunedì 16 ottobre 2017

Integralisti fuori dal tempo o custodi controcorrente della tradizione? Viaggio nel cattolicesimo tradizionalista pistoiese
Pubblicato su: http://www.reportpistoia.com/pistoia/item/52610-integralisti-fuori-dal-tempo-o-custodi-controcorrente-della-tradizione-viaggio-nel-cattolicesimo-tradizionalista-pistoiese.html



Sono passati esattamente dieci anni da quando Papa Benedetto XVI° promulgò il motu proprio: “Summorum pontificum” che ridiede slancio e piena legittimità alla cosiddetta Messa tridentina, più precisamente la messa celebrata in latino, secondo il Messale Romano preconciliare.

Il motu proprio era stato promulgato dall’attuale Papa emerito anche nel tentativo (in gran parte fallito, tra mille polemiche) di recuperare nella Chiesa romana la fraternità di San Pio X e i seguaci del cardinal Le Febvre, il prelato francese ribelle, ultratradizionalista, che mai aveva accettato le riforme del Concilio Vaticano II°, realizzando, ai tempi di Giovanni Paolo II°, un vero e proprio “mini scisma”.

Papa Benedetto aveva lasciato ai vescovi la possibilità di individuare una o più parrocchie personali (senza giurisdizione territoriale) per i gruppi di fedeli che desiderassero celebrare la liturgia tridentina, non senza causare opposizione e disorientamento, come denunciò con forza, quasi immediatamente, dalle colonne de “Il sole 24 ore”, il cardinal Carlo Maria Martini.

A Pistoia, il vescovo mons. Fausto Tardelli ha, da qualche tempo, scelto la Chiesa di S. Vitale, in pieno centro e incaricato, non il parroco, don Timoteo, ma il sacerdote ultratradizionalista polacco don Cristoforo Dabrowski, parroco di Tobbiana e Fognano, di celebrare, il sabato pomeriggio (la sera nei mesi estivi) la messa nell’antico rito preconciliare.



Don Dabrowski era stato coinvolto alla fine dello scorso inverno in una bufera di polemiche, anche a livello nazionale, per un questionario molto invasivo distribuito alle famiglie della sua parrocchia, in occasione delle imminenti benedizioni pasquali.

Il sacerdote polacco, da poco insediato nella parrocchia stessa, era arrivato, fra l’altro, a chiedere, nel questionario distribuito in tutte le case, se gli abitanti del suo territorio erano giunti a “scelte politiche anticristiane”, suscitando un vespaio di polemiche, peraltro affrontate con un certo piglio (“Se ho suscitato reazioni, vuol dire che ho fatto centro, non è un ritorno al Medioevo, ma alla parola di Gesù Cristo”).

Tornando ai fedeli tradizionalisti, essi sono riuniti a Pistoia, sotto le insegne di una combattiva associazione: “Associazione Madonna dell’Umiltà” che raccoglie un “gruppo di fedeli cattolici promotori dell’applicazione del motu proprio: Summorum Pontificum nella Diocesi di Pistoia”.

L’associazione, collegata ad altre realtà simili regionali e nazionali, si esprime, oltre che attraverso la celebrazione preconciliare nella Chiesa di S. Vitale, e ad altre iniziative di sensibilizzazione, con un blog frequentemente aggiornato: www.associazionemadonnaumiltapistoia.blogspot.it .

Vi troviamo articoli di vario tipo: dalla appassionata difesa della preghiera dei fedeli polacchi ai confini dello stato (nell’anniversario della battaglia di Lepanto), alla promozione del Rosario a catena del 13 ottobre per: “chiedere alla Madonna di salvare l’Italia e l’Europa dal nichilismo islamista e dal rinnegamento della fede cristiana”, ad accuse, indirette, ma nemmeno troppo velate, all’attuale pontificato di avere promosso un “cristianesimo senza Dio, ridotto a solo umanesimo”.

Non è difficile cogliere l’eco della lettera di fine settembre scorso in cui 62 firmatari, studiosi e sacerdoti cattolici, tra cui il banchiere, ex presidente dell’IOR Ettore Gotti Tedeschi, hanno accusato papa Francesco di tendere verso sette eresie, in particolare per aver aperto la possibilità di accedere ai sacramenti alle persone divorziate.

Secondo i firmatari della lettera, mediante "parole, atti e omissioni" Papa Francesco avrebbe: "causato grande e imminente pericolo per le anime".

Ma chi sono i cattolici tradizionalisti pistoiesi?

Come si rapportano con il resto della comunità e della cittadinanza?

Incontrarli non è semplice.

In questo periodo la messa secondo il rito romano, per impegni del sacerdote, è temporaneamente sospesa, mentre il numero di cellulare segnalato sul blog, appartenente all’ex presidente, risulta disabilitato.

L’associazione, al momento, si esprime soprattutto e un po’ paradossalmente con uno strumento tutt’altro che tradizionale, il blog appunto.

Uno dei coordinatori dell’associazione “Madonna dell’Umiltà” è un parrocchiano della chiesa di Vicofaro. Certamente agli estremi opposti rispetto alla associazione che, ad esempio si scaglia contro il neo arcivescovo “ progressista” di Milano Mario Delpini, colpevole, secondo ciò che leggiamo sul blog, di aver invocato “meno Eucarestia e più Parola” assecondando una grave “deriva neoluterana”.

In uno dei vari appostamenti a vuoto realizzati per incontrare i membri dell’associazione è capitato, quasi per caso, di incontrare, nei pressi della Chiesa di S. Vitale, il parroco titolare, Don Timoteo.

Il sacerdote, di fronte a un giornalista, non si è sbottonato più di tanto. “Non li conosco bene, non mi sento di giudicare”. Traspariva, però, un po’ di preoccupazione scioltasi solo dopo aver compreso di aver di fronte solo un cronista, non un supporter del rito preconciliare.

Il sacerdote, informatosi sul nome di chi lo interpellava, ha risposto, regalando un sorriso: “Ti chiami Francesco, allora prega per il tuo Francesco, che il Signore lo conservi, per carità”.

Alla fine, consultando con attenzione il blog dei “custodi della tradizione pistoiesi”, si scorge, sempre in latino, una preghiera per il Papa attuale (probabilmente nella speranza di favorire un suo cambio di rotta), certamente da loro meno amato del suo predecessore Benedetto XVI°, ora emerito.

Il quesito, antico come la Chiesa, cresciuta, fin dall’inizio, nonostante scismi e divisioni, è se anime così apparentemente inconciliabili come, ad esempio, questa associazione e la pastorale di Vicofaro, da cui diversi componenti provengono, possano tenersi insieme.

La tensione e il distacco, a volte anche manifesti, sono evidenti, anche a Pistoia, ma realtà come questa, sembrano preferire ignorarsi. Salvo episodi singolari, come il “controllo di cattolicità”, promosso dai militanti di Forza Nuova (che nulla sembra avere a che fare con l’associazione tradizionalista) nei confronti del funambolico parroco di Vicofaro, Don Massimo Biancalani.

Francesco Lauria