martedì 28 febbraio 2017

Il Cappellaio Matto:
uno spazio per aiutare i bimbi 

(e non solo...) 
a vivere liberi e creativi

Francesca Pellegrini è una di quelle persone che quando incontri ti lasciano un segno.Circa un anno fa, raccontai su Report, la sua grande scommessa di libertà nella realizzazione di una ludoteca (Il cappellaio matto) in spazi che per anni erano stati chiusi e abbandonati in Porta al Borgo. Forte era la mia curiosità nel varcare i locali de "Il cappellaio Matto".

Per tre anni avevo abitato di fronte al fondo, vuoto come altri nella zona, che, tra via Gora e Barbatole e Porta al Borgo, ospitava un tempo un oleificio.
La ludoteca aveva aperto giusto un mese dopo il mio trasferimento, ma, ogni volta che ripassavo per il quartiere, i colori della targa e i disegni dei bambini appesi alle finestre davano un senso di allegria nuova a questa zona così significativa di Pistoia.

Quando entrai nella ludoteca per intervistare Francesca stava per iniziare un laboratorio di musica e lettura: i bambini, con qualche genitore, erano seduti intorno ad un arpa. Anche se il silenzio non era proprio quello di una sala da concerto, le parole e le note cominciarono subito a regalare la loro mai finita magia.


Francesca Pellegrini (nella foto  insieme a Dania Ballati), fondatrice e coordinatrice della ludoteca, era, come sempre, un fiume in piena.
Educatrice da quasi vent’anni, sempre nel privato sociale, mi ha raccontato la sua passione per la pedagogia, che l’ha portata ad occuparsi a lungo di bambini con handicap psico-fisici anche molto gravi, nell’ambito dei centri socio-educativi e di riabilitazione convenzionati con la Asl di Pistoia.

“Di lì, raccontava Francesca – ho iniziato l’esperienza nelle scuole dell’infanzia, in particolare nel mondo dei bambini da zero tre anni. Ho sempre teso – mi diceva - ad occuparmi dei bambini non solo dal punto di vista della struttura in cui mi trovavo, ma nella loro totalità. Per questo l’esperienza nella scuola, pur se gratificante, cominciava a starmi stretta, con i suoi orari, i suoi riti, le sue procedure convenzionali. Sentivo venire meno la mia componente creativa, libera, ludica”.

Per trovare spazio ed idee innovative Francesca si è spinta in Emilia, a Modena, dove, come in gran parte della Regione Emilia Romagna, esiste una tradizione molto strutturata di ludoteche che spesso operano in sinergia con istituzioni e servizi pubblici.

“Mi è piaciuta molto questa realtà e ho cominciato ad entrarci dentro. A Pistoia e in buona parte della Toscana, non esistono esperienze simili, sembrava quindi un azzardo provare ad imbarcarmi in questa avventura.
Insieme a Dania Ballati , che ha un percorso professionale simile al mio e con cui da sempre siamo state in grande sintonia, abbiamo deciso di provarci e abbiamo stilato insieme un progetto educativo e pedagogico, pur nel vuoto normativo e di regolamentazione della Regione Toscana e del Comune di Pistoia.
Ludoteca è un temine molto abusato, proprio per questo abbiamo scelto di collaborare con l’associazione nazionale delle ludoteche italiane (Ali – Per giocare) e ci siamo attenuti alla loro carta nazionale.".

“La ludoteca – mi spiegava Francesca – dovrebbe essere un servizio integrativo all’infanzia, ma a Pistoia non è riconosciuta a differenza del Comune di Firenze dove, grazie anche al coinvolgimento dell’Istituto Innocenti, c’è, da tempo, una collaborazione molto strutturata e proficua tra ludoteche e amministrazione comunale.”

“E’ chiaro – continuava – che noi non lavoriamo sulla continuità educativa: il bambino viene liberamente, quando la famiglia ha bisogno, approfittando di flessibilità negli orari e nei servizi offerti.
Non ci sono i rituali e i tempi di una classe, ma l’immersione nel gioco: libero, simbolico, sociale, creativo”.


Il Cappellaio Matto è diventato da sogno a realtà, grazie anche al supporto del Microcredito Pistoiese che ha permesso l’apertura di un mutuo tramite la Fondazione Un raggio di luce e il Centro di ascolto della Misericordia di Pistoia.”

“Abbiamo cercato un luogo centrale e bello, come meritano i bambini, non volevamo solo riempire uno spazio e un tempo, creare un “baby parking. Anche l’arredamento è stato realizzato apposta per noi, a misura di bambino: i piccoli non hanno bisogno degli adulti per scegliersi cosa fare o come giocare.
I bambini devono poter osservare e sperimentare, quasi mi ammonisce Francesca, noi adulti non possiamo decidere tutto, frustrando desiderio di autonomia e capacità di osservazione. Non possiamo continuamente tradurre, non sempre, peraltro, siamo in grado”.

Oltre alle attività di gioco, la ludoteca organizza laboratori concentrati soprattutto nella giornata di sabato.
Dai percorsi di lettura, fino alla costruzione di giochi, una delle collaborazioni più forti è stata stabilita con l’associazione Tea (Teatro Educativa Animazione) di Pistoia, con l’allestimento di percorsi brevi, di 45 minuti, proposti ai bambini e alle famiglie.

La ludoteca, mi spiegavano Dania e Francesca, è uno spazio aperto, i genitori possono entrare infatti in qualsiasi momento, non solo in orari precisi, come in altre situazioni.

Alcuni genitori sono anche entrati a far parte dell’associazione: “Il Bianconiglio”, che affianca le attività del “Cappellaio Matto”.

Ma come è stato l’inserimento in Porta al Borgo?
“All’inizio, mi rispondevano le educatrici, c’era una moderata curiosità. La svolta è arrivata a giugno luglio con il centro estivo. I disegni alle finestre e il movimento ci hanno reso visibili nel quartiere, abbiamo anche iniziato a collaborare con i commercianti della zona.
Il 25 aprile, la ludoteca viene aperta, in occasione del tradizionale pranzo in strada, organizzato dal circolo Ho chi Min, in occasione della Festa della Liberazione.”
Certo, come per tutte le novità qualche problema non è mancato, anche per la difficoltà di parcheggio.

Al Cappellaio Matto, volutamente, non c’è nulla di tecnologico.
Mi viene spiegata la scelta di far sperimentare ai bambini da zero a dodici anni, uno spazio ed un tempo che, spesso, con la tecnologia viene rubato.
“Il gioco elettronico isola il bambino dal gruppo e dall’ambiente. Nella giusta misura possono essere utili, ma non vogliamo alimentarne l’utilizzo”
Ma cosa si nota - chiedevo - in questi bambini ipermoderni, nativi digitali?
“Ai bambini – rispondeva Francesca, va spiegato dove sono, perché ci sono. Spesso vengono presi e portati nelle situazioni, non si risponde ai loro bisogni reali. Bisogna parlare con i bimbi, più sono consapevoli, più sono sereni”.
Discorriamo di mancanza di relazione e comunicazione. Rimane il dubbio se tutto ciò sia dovuto alla mancanza di tempo degli adulti o alla loro paura.


Ho chiesto a Francesca come Pistoia ha reagito alla novità della ludoteca.

“Credo sia stato apprezzato che il nostro ambiente non sia per nulla commerciale, certo la nostra è una città quasi terrorizzata dalle novità. Stiamo piano piano facendoci conoscere. Penso all’organizzazione dei compleanni che noi viviamo con i soli bambini, come celebrazione della nascita. Da loro è molto apprezzato e tornano volentieri”.

Sono state stipulate alcune convenzioni mentre le principali comunicazioni viaggiano attraverso la pagina Facebook.

C’è tempo per un ultimo tema importante.
“Da quando abbiamo aperto, visti i nostri originari passioni e profili professionali, abbiamo fortemente voluto che Il cappellaio matto, fosse un luogo anche per i bambini con difficoltà e bisogni speciali. Ci stiamo riuscendo a poco a poco, con pazienza, determinazione e continua messa in discussione”.
I bimbi con problematiche e handicap giocano e interagiscono insieme agli altri, anche di fronte a me.
La sperimentazione dell’integrazione è tangibile, quanto apparentemente quasi invisibile.
I bambini tra loro riescono a superare molte barriere e questo è davvero una fonte immensa di gioia e di insegnamento, non solo per Francesca e Dania, ma anche per Caterina, Diletta, Irene, giovani educatrici che collaborano presso la ludoteca.

L'ultima domanda che ho fatto a Francesca, un anno fa era, quasi ingenua, dato tutti gli ostacoli che sono arrivati dopo dall'amministrazione comunale e che nemmeno potevo lontanamente immaginarmi.

Quali sinergie . chiedevo - ci sono con l’amministrazione comunale?
Il sorriso, devo ammetterlo, - scrivevo su Report -un po’ si spegne. Senza polemica mi dicono che dal comune la risposta è stata quella di non interesse. 
Un po’ deludente, forse ciò che non è normato, “catalogato”, non ha rilevanza.

I canti dei bambini ci sommergono e questa, scrivevo, "è la cosa più importante".

Ora, però, un anno dopo, la riflessione non può che essere questa: se Pistoia, come si scrive e si pubblicizza ovunque, ambisce ad essere una città e una comunità educante, a partire dai più piccoli, come è possibile che non si riesca a costruire, nella progettualità condivisa, un rapporto positivo tra pubblico e privato sociale nell'interesse dei bambini e delle famiglie, a partire dai più fragili?

A questa domanda, occorre, senza alcun dubbio, provare a dare una piena risposta.

Francesco Lauria


venerdì 24 febbraio 2017


P come Provincia, D come discriminazioni, C come Capitale sociale perduto.



Ricordo molto bene la prima volta che mi recai a Pistoia in vita mia.

Erano i primissimi mesi del 2006.

Come ricercatore precario del Cesos, Centro Studi Economici Sociali e Sindacali, avevo iniziato la ricerca di "buone prassi" in Toscana e in Vento per il Progetto Leader: "Lavoro e occupazione: senza discriminazioni etniche e religiose".
Ricordo quel mio primo progetto, con grande affetto, fu il primo progetto nazionale e transnazionale di ricerca in cui fui coinvolto.

Al di là dell'ambito di studio, uno degli aspetti concreti del progetto, che coinvolgeva, nella sua dimensione nazionale e internazionale, istituti e realtà importanti, come l'IMED, l'Ires Cgil, l'Arci nazionale, l'Anolf Cisl, era quello di promuovere le RITA: Reti di iniziativa territoriale contro le discriminazioni
.
Erano gli anni in cui l'UNAR, l'istituto promosso dalla Presidenza del Consiglio, in questi giorni nell'occhio del ciclone, muoveva i primi passi: se ne scorgevano già allora tutti i limiti.

Nella ricerca delle buone prassi mi imbattei in realtà significative: in Toscana, ricordo fra tutte l'esperienza di Villaggio La Brocchi a Borgo San Lorenzo. ( http://www.progettoaccoglienza.org/index.php?id_text=220 )

Quella di Villaggio La Brocchi era un'esperienza davvero innovativa e singolare, figlia degli insegnamenti di Don Lorenzo Milani, applicati al tema delle migrazioni e dei rifugiati.

Tornando a Pistoia, mi fu segnalato, come esperienza istituzionale di rilievo, il Centro Antidiscriminazioni della Provincia.

Ricordo il viaggio in treno e il mio arrivo in questa città.
Ero in anticipo ed ebbi il tempo di ammirare il Duomo e il Battistero e di fermarmi ad acquistare, per mio padre, un bottiglia di vino locale, inteso come pistoiese, non solo toscano.
Ricordo perfettamente il pensiero: "non mi dispiacerebbe tornare a vivere in una piccola città come questa", ed ero solo al termine del primo dei quasi sette anni, poi vissuti nella capitale.

La Provincia di Pistoia aveva promosso un Centro Antidiscriminazioni innovativo e positivo: un'iniziativa istituzionale sostenuta però con il pieno coinvolgimento del mondo dell'associazionismo, dei centri per l'impiego, dei sindacati.

Non si trattava, ovviamente, di grandi numeri.
Ma l'intervento, solo per fare un esempio, nella montagna pistoiese per favorire l'integrazione di una famiglia di rifugiati, in un contesto provenuto e ostile, terminato con un pieno successo, da entrambe le parti, mi sembrò un'esperienza interessante da cui partire e la cui eco, mi fa riflettere oggi, di fronte alle promesse di sollevazione contro l'eccesso di rifugiati, in contesto come quello di Marliana.

A quel tempo era in pieno svolgimento l'azione per il riconoscimento di status di rifugiato per un cittadino albanese omosessuale che aveva subito, nel suo paese, pesanti discriminazioni, anche lavorative.
Fu un altro piccolo, grande successo che portò, per qualche istante, il Centro Antidiscriminazione agli onori della cronaca nazionale.

Oggi, con la crisi delle Provincie, l'attività del Centro è sostanzialmente svanita, il patrimonio di esperienze e relazioni tristemente disperso.

Ovviamente anche in quegli anni le attività si reggevano su precari finanziamenti regionali ed europei, ma erano comunque un segno di un'azione positiva delle istituzioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà, verticale ed orizzontale, per sostenere i più deboli e per lavorare ad un'integrazione positiva, anche nei contesti più fragili e sperduti del territorio.

Portammo l'esperienza di Pistoia al convegno finale del Progetto a Roma, anche come esempio da trasmettere ai colleghi francese e spagnoli.
Successivamente il Centro Antidiscriminazione, vinse anche il Premio "Dire & Fare" del concorso: Città Ideale. (vedi foto)


Probabilmente è grazie a queste esperienza che sono stato sempre convintamente contrario all'abolizione delle Provincie.

Quella della Provincia, se non è artefatta, è, infatti, la dimensione ideale, a mio parere, per lo sviluppo di alcune politiche di coesione territoriale, a partire dalla tutela della persone e delle aree territoriali più deboli e fragili.

Oggi, se si cerca di visitare le pagine del Centro Antidiscriminazione di Pistoia sul sito del'ente appare un mesto: "fase di ristrutturazione".

Rispetto ad undici anni fa, senza alcun dubbio, anche alla luce del rigetto nazionalista e xenofobo che sta penetrando nel profondo della nostra società, la mission e la forza di questa piccola positiva realtà pistoiese avrebbe dovuto essere potenziata ed arricchita e non dispersa.
Il Centro Andisicriminazioni è stato vittima incolpevole di scelte populiste di governo, che continuano a fare danni, nonostante siano state sonoramente bocciate dalla volontà popolare.

Francesco Lauria

(Pubblicato su Report Pistoia, il 25 febbraio 2017:  http://www.reportpistoia.com/agora/item/45690-p-come-provincia-d-come-discriminazioni-c-come-capitale-sociale-perduto.html )


domenica 19 febbraio 2017

Le Ville Sbertoli e la città: un appello accorato, 8 anni dopo.




Esattamente otto anni fa, il 18 febbraio 2009, la giunta del comune di Pistoia, guidata dal sindaco Renzo Berti, ascoltata la relazione dell’assessore Silvia Giannini, dette il via, coerentemente con la legge regionale 69/2007, al percorso di partecipazione intitolato: “Le Ville Sbertoli e la città”.
Il Comune di Pistoia, stanziando a tal fine 34.000 euro, attraverso contributi regionali, approvava questo percorso partecipativo finalizzato a definire: con il contributo di cittadini comuni, Associazioni che operano a livello locale, ordini professionali e categorie economiche, ipotesi reali di recupero e valorizzazione dell’area denominata Ville Sbertoli, in concerto con la ASL 3, proprietaria di tale area”.
Se il percorso partecipativo ebbe il merito di permettere una riflessione aperta sul futuro di questo complesso storicamente e socialmente così importante per il territorio pistoiese e non solo, gli esiti non sono mai stati, nemmeno in parte, concretizzati.

Sappiamo tutti che le Ville Sbertoli sono ormai da molto tempo nell’elenco dei beni in vendita della Asl  e che l’immobilismo non può che portare a nuovo degrado, nuovi crolli, un sempre più difficile e costoso percorso di recupero.
Entrare alle Ville Sbertoli è oggi, in particolare dopo il crollo nelle settimane scorse del muro di cinta, assolutamente agevole, tanto che, complice l’avvicinarsi della primavera, foto-amatori da tutta la Toscana le popolano, in grandi quantità, in particolare nei week end, alla ricerca del “fascino decadente” del “manicomio” abbandonato.
Basta costeggiare l’ex biblioteca per accorgersi che la pioggia sta portandosi via riviste mediche internazionali risalenti addirittura agli anni venti del novecento, continuare a costeggiare altre ville per osservare scene degne delle città vicine a Chernobyl, abbandonate dopo la nube nucleare del 1986: anche qui, infatti, ci sono grandi quantità di computer, stampanti, materiali di ufficio abbandonati, risalenti a quell’epoca.


Basta, infine, sbirciare, attraversi i vetri rotti delle costruzioni per osservare faldoni di delibere e cartelle cliniche abbandonate come ci fosse stato un terremoto e non un lento, progressivo e degradante abbandono, operato da autorità pubbliche irresponsabili e dissennate.
Ma non dobbiamo parlare solo dei muri: è necessario ritornare all’idea progettuale, alla base della nascita delle Ville, fin da quando, nel 1868, un giovane fiorentino di 29 anni, vi entrò, come primo paziente, accolto dal Professor Agostino Sbertoli.

Il Villaggio verde delle Ville Sbertoli nasceva, infatti, in contrapposizione al “manicomio caserma”, con un approccio alla neuropsichiatria, certo non rivoluzionario, ma indubbiamente innovativo.
Altre due date da ricordare sono il 1950, anno del definitivo passaggio dalla gestione privata a quella pubblica, con l’acquisto del complesso da parte della Provincia di Pistoia e il 1984 a cui risale il passaggio alla gestione regionale che, in sincerità, ne ha sancito il progressivo declino.
Oggi, piuttosto alla chetichella, si assiste ad un ping pong di delibere comunali e regionali che aprono la strada ad una lottizzazione parziale delle Ville stesse, con la previsione della costruzione di cinquanta appartamenti.


I principi proposti dall’Amministrazione comunale appaiono, ad una lettura superficiale, quasi di buon senso : recupero architettonico delle nove ville principali e mantenimento della loro destinazione d’uso pubblica (quale?), fruizione pubblica e recupero integrale del parco delle Ville, sostanziale equivalenza del demolito e del costruito, almeno dal punto di vista delle cubature.
Di fatto, invece, assistiamo all’abbandono della destinazione socio-sanitaria anche parziale e alla ricerca di imprecisati e, ad oggi, del tutto virtuali investitori internazionali per la realizzazione di strutture di formazione private (un’Università americana?) che dovrebbero dare l’impulso decisivo per l’avvio delle nuove Ville Sbertoli (Spa?).
Pistoia Capitale della Cultura 2017 dovrebbe rappresentare “l’insostituibile vetrina” per proporre ai fantomatici investitori internazionali, l’intervento sull’area.

C’è chi, nell’opposizione cittadina, si è già dichiarato perplesso poiché vorrebbe un’edificazione privata addirittura superiore, timoroso che il “mercato” valuti non sufficiente l’apertura all’edilizia residenziale operata dall’amministrazione comunale di concerto con l’Asl e con la giunta regionale.
Ciò che sembra totalmente non considerata è la città.
Sembra evidente la rinuncia a ricostruire, almeno parzialmente, la memoria sociale del luogo, a prospettare un ponte con l’intervento contemporaneo verso i disagi della psiche, in un’ottica non “concentrazionaria”, ma di recupero terapeutico e relazionale, sembra palese l’idea, al di là di quanto viene affermato, della rassegnazione ad un recupero per “lotti”, senza un vero e proprio disegno unitario, privo di progetto e di spessore culturale.

Per le Ville i criteri di fondo dovrebbero essere, al contrario, quelli prospettati nel percorso partecipativo del 2009, colpevolmente lasciato inattuato: un recupero unitario, in cui si intreccino funzioni pubbliche molteplici: dalla formazione, alla terapia, anche attraverso l’arte e il contatto con la natura, con destinazioni socio-sanitarie innovative. Si pensi, solo per fare un esempio, a funzioni abitative comunitarie volte al recupero dell’autonomia in particolare di gruppi di anziani, parzialmente non autosufficienti, come alternativa alle classiche case di riposo.

Pistoia non può rinunciare all’apertura di un parco come patrimonio dell’intera città, sostenuto anche con la predisposizione di spazi per associazioni, start up, luoghi di aggregazione giovanile e non solo, percorsi formativi, piccole botteghe artigiane, commercio di prossimità, ovviamente compatibili con l’ubicazione decentrata del luogo rispetto al centro urbano.

Le Ville Sbertoli potrebbero rappresentare l’esempio della scelta di un nuovo modello di sviluppo legato al ricreare legami comunitari e sociali, non un’ennesima cattedrale nel deserto, frutto di cubature residenziali invendute e non sostenibili, come ci insegna, ad esempio, l’area ex Breda.
La perdita di memoria e di progettualità sociale del progetto che, senza alcun condivisione con la città, si sta portando avanti è evidente. Essa è frutto probabilmente di pressioni esterne legate ad una proprietà regionale, interessata solo a fare cassa, e che sembra aver smarrito il senso della propria funzione e missione, fattore testimoniato, già da tempo, con l’abbandono progressivo dell’area.
Pistoia deve proporsi uno scatto d’orgoglio, riappropriarsi di un’area che fa parte della propria storia di innovazione, apertura verso il mondo, contrasto alla marginalità. Lo deve fare imparando a pensare di poter “cambiare”, dal basso e senza timore.

Il 2017 non può diventare la scusa per qualsiasi cosa. Non c’è bisogno di “vetrine”, ma di politiche che mettano insieme responsabilità, partecipazione, progetto.
A chi ammonisce che tutto ciò è “antieconomico”, si può rispondere con le parole di Tiziano Terzani, nel testo: Un altro giro di giostra: “l’economia con la sua pretesa di scientificità si sta mangiando la nostra civiltà e sta creando intorno a noi un deserto dal quale nessuno sa come uscire”.

La mancanza di progettualità alternativa ha ridotto un gioiello come le Ville Sbertoli al disastro di oggi.
Non è continuando sulla stessa strada, o peggiorandola, che quella collina potrà rinascere.

 Francesco Lauria

(Pubblicato su http://reportpistoia.com il 19 febbraio 2017)





giovedì 16 febbraio 2017

Orsigna, il cammino e l’albero con gli occhi. Non siamo soli, nel mondo.

Ricordo abbastanza bene la prima volta che vidi immagini di Orsigna.
Era tarda sera, quasi notte, ed ero seduto sonnecchiante sul divano della casa dei miei genitori, a Parma.
Probabilmente si trattava di un venerdì sera ed ero arrivato così stanco da Roma, città in cui vivevo e lavoravo, da non riuscire ad uscire con i miei amici.
A poco tempo dalla scomparsa veniva trasmesso un documentario su Tiziano Terzani, in particolare sull’ultimo periodo della sua vita, accompagnato dal male, trascorso proprio sulla montagna pistoiese.
Orsigna è la meta finale, nel film “la Fine è il mio inizio”, in cui il figlio Folco parte da New York in aereo, arriva poi al treno ad alta velocità, prende la ferrovia Porrettana ed infine la corriera per l’Orsigna.

Scriveva Terzani, nel libro omonimo, a proposito della sua giovinezza nel borgo: « A quel tempo l'Orsigna era ancora piena di gente. La guerra era appena finita e gli uomini facevano i boscaioli nelle montagne di là del fiume. Facevano cose incredibili! Legavano un cavo di ferro nella montagna di fronte, poi a spalla, attraversando il fiume, lo portavano da questa parte, lo legavano in piazza, lo mettevano in tensione e dall'altro versante facevano partire i carichi di legna attaccati ad un uncino. Arrivavano a velocità spaventosa ed andavano a sbattere contro un copertone. A volte quei pazzi ci si legavano loro stessi. Lo ricordo come se fosse ora. (...) una volta uno si distrasse fra un carico e l'altro e finì schiacciato in piazza. »

Una volta trasferitomi a Pistoia Orsigna è stato uno dei posti che ho voluto vedere per primo, anche se un po’ di sfuggita e di fretta e, soprattutto, una prima volta, con la macchina.
Così, l’estate scorsa, non privo di compagnia nel viaggio e nel cammino, ho approfittato di una giornata libera per percorrere il cosiddetto percorso verso l“albero con gli occhi”, un sentiero di circa un’ora e mezzo che si incunea tra panorami stupendi e profondi.


Superato il Molino di Berto ed entrati nella vegetazione è capitato, a metà del cammino, di incontrare un “vecchio” residente, scambiare alcune parole e ascoltare la genesi del borgo di poche case incontrato tra un frammento di bosco e l’altro: Case Moretto, una bellissima frazione risalente a pochi anni dopo l’unità d’Italia, in cui le abitazioni avevano seguito gli spartani rifugi dei pastori.
Ad un certo punto inizia il c.d. “sentiero di Tiziano” che conduce al ciliegio che è il famoso “albero con gli occhi”, una pianta cui Terzani aveva attaccato degli occhi di vetro per mostrare al nipotino come vi fosse “vita” anche nella vegetazione.

Sull’albero sono incastonati tanti messaggi di carta, come di pietra: poiché non vi sono solo le frasi a raccontare le emozioni di chi è passato di qui, ma anche tante improvvisate piccole sculture di sassi.
Orsigna è la frazione del Comune di Pistoia più distante dal capoluogo, ad un passo dalla mia Emilia e deve, probabilmente, il proprio nome agli orsi che fino al ‘600 abitavano queste terre, L’orso, il micco, in pistoiese, è tutt’ora il simbolo della città e del suo controverso palio.
Lo sguardo si allarga sulla valle e sul mondo, ritorna alla città.


Credo sia difficile comprendere Pistoia, senza la sua anima collinare e montana, senza le sue strade che portavano verso Modena e Bologna, senza gli antichi mestieri e le radici di tanti abitanti scesi a valle.
Non è facile continuare a vivere qui, sulla montagna, per tutto l’anno.
Per molti è “antieconomico”, per altri, più comprensibilmente, semplicemente duro.
Ma come scriveva Terzani in “Un altro giro di giostra”: “l’economia con la sua pretesa di scientificità si sta mangiando la nostra civiltà e sta creando intorno a noi un deserto dal quale nessuno sa come uscire”.
Ma, continuava Terzani: “Il mondo c’è!”.
E, nel “palcoscenico del mondo”, come ci stiamo accorgendo, volenti o nolenti, non ci siamo solo noi occidentali, ci sono anche gli “altri”.

Non dobbiamo averne paura, ma coscienza: in fin dei conti, significa, soprattutto che, nel mondo, non siamo soli.

Francesco Lauria

domenica 12 febbraio 2017


Quella P di casa mia: Pistoia, ma soprattutto Permaflex.



Voglio cominciare il mio racconto su Pistoia da una porta.

Non vado molto lontano, si tratta della porta di...

...casa mia.

Certo, non la porta principale, ma un'apertura laterale di quello che dovrebbe diventare, prima a poi, il giardino di casa.

Osservatela bene.

Per i non giovanissimi si tratta di un marchio un tempo molto, molto conosciuto.

Una P. Quella che si accompagnava a "Brando", l'omino col pigiama che per generazioni ha rappresentato, in Italia e nel mondo, la vendita di famosi materassi.

La Permaflex.

Si perché da quasi due anni vivo, con la mia famiglia, mio figlio Jacopo e mia moglie Serena, in un'area che ospitava un tempo abitazioni, uffici e spazi espositivi, aree produttive, legati a quella che, insieme alla Breda, era la fabbrica più famosa di Pistoia: la Permaflex appunto.

In realtà, magie del capitalismo del brand, dopo il fallimento definitivo, a cavallo di anni novanta e duemila, e di vari passaggi di mano, che hanno coinvolto anche società off shore, il marchio è ancora attivo, anche se la nuova società non ha nulla a che fare con quella storica, pur ricordando, nel proprio sito, l'anno di nascita della Permaflex: il 1953.

Un marchio che, inevitabilmente, ricorda anche il ruolo avuto nell'azienda da Licio Gelli, il venerabile della loggia P2, recentemente scomparso e i cui funerali, non a caso, si sono svolti a Pistoia, città natale.

L'area, tra insediamenti abitativi e produttivi, è un esempio di come non si gestisce una crisi industriale da un punto di vista urbanistico e non solo.

Non c'è visione d'insieme, non c'è un progetto pubblico-privato per ridare ossigeno alle poche attività che resistono.

Ovviamente la crisi non ha aiutato (anche se il crollo della Permaflex è di molto precedente), ma essa è una spiegazione solo parziale.

Incredibilmente, nonostante si parli tanto di lotta al consumo di suolo, non si riesce a concedere la destinazione abitativa, per un mero cavillo, alle unità abitative, a fianco della mia, che sono, da un punto di vista urbanistico, assolutamente simili e probabilmente parzialmente abitazioni da circa un secolo.

Tutto il processo di ristrutturazione e bonifica è rimasto a metà.

Quello che si dovrebbe ripensare è una funzione non speculativa, ma abitativa, commerciale, artigianale, dell'area nel contesto della zona Nord di Pistoia, vicina allo svincolo della superstrada e alle pendici della strada che porta verso la montagna: "la via Vecchia Montanina di Gello".

Altrimenti, il rischio è che rimanga solo la ruggine e di un nome glorioso, pur se controverso, si perda anche la memoria.

Francesco Lauria

giovedì 9 febbraio 2017




Perchè questo blog...




Vivo a Pistoia ormai da cinque anni.

Ne sono rimasto affascinato fin da subito: sia nel suo cuore (Duomo e Battistero) sia nelle sue periferie, in particolare nella zona Nord quella che guarda alla mia Emilia, attraverso le due direttrici che si dipanano da Capostrada proseguendo verso Bologna e verso Modena.

Amo i corsi d'acqua che si avvicinano alla mia casa, il Vincio e l'Ombrone, e il pensare che sono alle pendici dei monti e non troppo lontano dal mare.

Si, lo ammetto, mi sento ancora un po' straniero, la vorrei più aperta, accogliente, capace di contaminazione positiva.

La vorrei meno orgogliosamente celata da una nebbia che non sta sopra le case, ma dentro e rende difficile l'aprirsi naturale di una comunità.

Mi incuriosiscono le sue aree abbandonate, la zona verso il Legno Rosso, come le Ville Sbertoli. In quei luoghi c'è ancora, sfumata, l'anima di ieri, c'è, in potenza, la possibilità di trasformarsi in futuro.

Vorrei provare a raccontare qualcosa di questa città diffusa, dei suoi rilievi, come dei suoi vicoli, dal mio punto di vista.

Per questo uno spazio privato, diventa pubblico, per condividere emozioni, racconti e incontri.

Senza pensare di trovare chissà quali risposte, ma camminando con chi non si stanca di porsi e porre delle domande.






mercoledì 8 febbraio 2017



La città infelice contiene una città felice
                    che nemmeno sa di esistere
                 I. Calvino, Le città invisibili