venerdì 31 marzo 2017

Publiacqua, le bollette "infedeli" e il kit di autodifesa del cittadino.



Oggi, con il titolo di: "A proposito di Publiacqua: controllate attentamente le bollette" ho pubblicato su Report Pistoia (vedi link) questa riflessione...
http://www.reportpistoia.com/agora/item/46781-a-proposito-di-publiacqua-controllate-attentamente-le-bollette.html

Pensavo che il bell'articolo di Rosanna Crocini, pubblicato recentemente da Report Pistoia (c'è chi piò e chi non può, i gestori idrici possono tutto) avesse fornito una spiegazione più che esaustiva della situazione paradossale che ci troviamo a vivere in Italia, in Toscana e a Pistoia dopo il tradimento del referendum popolare che aveva sancito l'acqua come bene pubblico e comune.
Riporto qui il link al testo..
http://www.reportpistoia.com/agora/item/46705-c-e-chi-puo-e-chi-non-puo-i-gestori-idrici-possono-tutto.html

Casualmente, proprio a pochi giorni dalla celebrazione della giornata mondiale dell'acqua, ho ricevuto una bolletta astronomica di conguaglia da Publiacqua.

Recatomi alla sede di Viale Adua, condivisa con Publiambiente e la defunta e regionalizzata "Publicontrolli" ormai tappezzata da cartelli provvisori della nuova megaholding regionale "Alia" ho chiesto spiegazioni.

L'addetto, molto gentile e disponibile mi ha consigliato prima di controllare il contatore e poi di verificare la presenza di una perdita.

Aggiungendo: "da quando siamo sempre più privati, lontani dal territorio e orientati al business si è perso il senso del nostro lavoro".

Ho ancora negli occhi il suo sguardo.

Ho quindi controllato i contatori e chiamato Publiacqua.

Il livello del contatore, a un mese dal primo rilevamento, era inspiegabilmente più basso di quello riportato in bolletta.

Da una loro verifica hanno appurato che il letturista aveva controllato non il mio contatore, ma un altro e peraltro nessuno dei contatori del mio condominio...

La mia bolletta è stata annullata e mi è stato promesso l'invio dell'importo corretto in bolletta.

Mi chiedo però, in quanti pagano, senza saperlo, cifre più alte del dovuto?

Chi mi risarcisce del tanto tempo perso? (io lavoro a Firenze, per tutto questo ho impiegato una mezza giornata).

Il mio è un caso isolato? 

Tre insegnamenti: 

- Controllare sempre le bollette di Publiacqua di conguaglio.

- Distribuire, anche alla luce dell'articolo di Rosanna Crocini, che reinvito a leggere, un kit di autodifesa del cittadino, per evitare i soprusi di gestori idrici sempre più orientati al profitto e non al servizio, continuando a sostenere l'Alleanza dei Beni Comuni nelle sue sacrosante attività

- Non prendersela con i dipendenti di Publiacqua. Almeno due su tre, nel mio caso, sono stati ineccepibili e hanno contribuito a limitare il danno aziendale.

Francesco Lauria

(Pubblicato su Report Pistoia, il 1° aprile 2017)

http://www.reportpistoia.com/agora/item/46781-a-proposito-di-publiacqua-controllate-attentamente-le-bollette.html

martedì 28 marzo 2017

Scuola La Girandola di Monteoliveto: paradigma di una città non più a misura di bambino



Finalmente, dopo otto (dicasi otto) rinvii, saranno discusse nel Consiglio Comune di Pistoia le varie interpellanze relative ai continui rinvii dei lavori di adeguamento della Scuola d'infanzia: "La Girandola" di Monteoliveto.

Fra poco più di un'ora, maggioranza e opposizione, chiederanno conto alla giunta di quattro anni di ritardi, fatti di errori nella predisposizione dei bandi di gara, di ritardi nella pubblicazione degli stessi, di cifre mal calibrate che hanno causato due bandi a vuoto, di continui rinvii nella realizzazione dei lavori, che perdurano ancora oggi.

Chi volesse seguire la seduta del Consiglio Comunale può farlo qui:
http://www.comune.pistoia.it/1666/diretta-web-consiglio-comunale-pistoia

Quello che più fa sorridere è l'effetto annuncio verificabile anche grazie a google con un Comune di Pistoia che più volte annunciava, in pompa magna, lo svolgimento e il proseguimento dei lavori stessi.

Sicuramente oggi il sindaco Bertinelli e/o l'Assessore Becheri si produrranno in una lunga catena di scuse e giustificazioni (manca solo la Brexit...) fatto sta che hanno perso la sfida lanciata da oltre centoventi genitori (di qualunque estrazione politica) che si erano questi un'anno fa se sarebbe stata inaugurata prima la tanto vituperata autostrada Salerno Reggio Calabria o la scuola d'infanzia La Girandola.

Sarebbe bene anche fare il punto sulle responsabilità legate a questi incredibili, reiterati cicloscopici ritardi che hanno causato disagi a tante famiglie e tanti bambini.

Una riflessione ulteriore può essere aggiornata: il vuoto di questi anni nell'area della scuola ha contribuito al degrado progressivo del parco pubblico di Monteoliveto, sempre più in abbandono anche a causa della chiusura del bar - chiosco che aveva un'importante funzione di presidio della zona.

C'è poco da dire oltre: Pistoia è sempre meno una città a misura di bambino e di famiglia.

Qui si possono trovare solo alcuni dei tanti articoli, pubblicati nel corso degli anni sulle testate più diverse in merito alla situazione della scuola.

Francesco Lauria

http://www.reportpistoia.com/pistoia/item/44331-scuola-la-girandola-quattro-anni-di-promesse-non-mantenute.html

http://www.lanazione.it/pistoia/cronaca/protesta-asilo-girandola-1.2221543

http://iltirreno.gelocal.it/pistoia/cronaca/2017/01/17/news/lavori-fermi-alla-girandola-genitori-infuriati-1.14728909

http://www.quinewspistoia.it/pistoia-lavori-fermi-la-scuola-e-una-girandola-di-ritardi-materna-bindi-monteoliveto-genitori-lettera.htm

https://www.youtube.com/watch?v=AY8TB1u2-Ws&t=12s


domenica 26 marzo 2017

Parma 1998, Pistoia 2017. 

A che punto è il cambiamento?



Il 2 gennaio di quest'anno scrivevo un lunghissimo articolo su Report Pistoia che metteva a confronto la situazione di Parma 1998 (pre ribaltone rivoluzionario di Ubaldi e Tommasini) e la Pistoia del 2017 nel quale sembra che non sia per nulla facile uscire da un copione ripetuto da decenni.

Chi avesse il fegato di rileggersi l'intera riflessione storico-antropologica a cavallo della Pianura Padana e dell'Appennino la trova qui:

Scrivevo all'inizio del pezzo:

"Con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative nella città di Pistoia, previste per la prossima primavera, si fa sempre più forte, in me il ricordo dell’incredibile e “matta” esperienza vissuta a Parma, nel corso delle elezioni del 1998.
Eravamo ancora nel Novecento.
Una città, dal dopoguerra, sempre governata, anche piuttosto bene, per lunghi tratti, dal Partito Comunista (unica interruzione il pentapartito, con il cambio di alleanze del Psi, in piena epopea craxiana nel 1980-1985) si rendeva improvvisamente conto che occorreva pensare ad un’alternativa."


La situazione di potere di Parma nel 1998 era molto simile a quella di Pistoia 2017...

"La città vedeva un partito–stato in grave difficoltà, il Pds, che esprimeva ben 24 consiglieri comunali su 40 (maggioranza assoluta), che governava in provincia, in regione e a livello nazionale e di cui ben 7 consiglieri, giusto per dare un’idea, erano espressione diretta dell’Arci, gloriosa realtà, che però faceva incetta di commesse culturali, ricreative, sportive, proprio dal Comune.
Ovviamente anche tutti gli autobus dell’azienda di trasporto locale, la Tep, erano assicurati con l’Unipol, come ebbi modo di rimarcare in un confronto televisivo con i candidati sindaci, presso una delle due televisioni locali, cui, proprio fortuitamente, tra tutte le quinte superiori della città, era stata invitata la mia.
Il sindaco veniva dipinto, in gran parte a ragione, come un solitario arroccato presso la “torre d’avorio”, per molti inavvicinabile, garanzia che tutto quello che c’era stato prima, sarebbe continuato."

Molto particolare fu l'alchimia che permise quell'incredibile cambiamento...

"In quegli strani mesi del 1998, si saldarono a Parma tre grandi filoni, più qualche altro spezzone civico: il movimento che candidava Mario Tommasini a sindaco, la Sinistra Giovanile di Cinquetti e Longinotti (cui non riuscì ad opporsi la minoritaria ala “lealista” dei giovani ortodossi del partito) e la lista civica di centro: “Civiltà Parmigiana” guidata dall’ex vicesindaco Dc Elvio Ubaldi, esponente di quella sinistra democristiana che però, in un contesto come Parma, non voleva allearsi con il “cadavere” Pds e il cespuglio Ppi."

Tornando al 2017 riflettevo su quali fosse le fratture da ricomporre... Sia  a Parma che a Pistoia.

 (...) Ci sono grandi fratture da ricomporre e questo vale, prepotentemente sia per Parma che per Pistoia 2017. 
Il concetto di rete, di unità nella diversità dei soggetti sociali che si ostinano a costruire dal basso “un altro mondo possibile e necessario” è il tema per continuare a credere in una radicale prospettiva di cambiamento che non sia regressivo e non rappresenti la vittoria finale del turbo capitalismo nichilista, sia esso nella versione globalizzata sia esso nella rampante e illusoria versione neo-isolazionista/xenofoba. Per dirla con Slavoj Zizek (“La Nuova lotta di classe, Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini”, 2016) se “alle porte del nostro castello di declinante benessere bussano le miserie del mondo; i suoi conflitti esplodono nelle nostre città, come leggere questa nuova emergenza continua, il Nuovo Disordine Mondiale?” Pur nella sua provocatorietà, Zizek ci ammonisce sul fatto che non ci possiamo limitare “a rispettare gli altri”, ma occorre offrire “una lotta, un orizzonte comune”. Vale anche all’interno delle città.


E allora da dove ripartire?
Qui, dai nodi e dalle esperienze di democrazia partecipativa e attivazione comunitaria, dall’innovazione sociale e dal mutualismo solidale e urbano.
Non basta.
L’orizzonte comune non può che ricostruirsi in un intersezione di scala globale e locale: nelle filiere dell’economia interdipendente, nel nodo di un movimento del lavoro sovrannazionale così come dal riconnettere tutto ciò al tema del modello di sviluppo e di consumo, del “voto con il portafogli”, del raccordo tra territorio e globale, alla questione della libera e “comune” circolazione di una conoscenza cooperativa e non solo competitivo-egoistica.
E’ un tema di consapevolezza personale e collettiva che precede tutti discorsi geopolitici che possiamo produrre.
Come finirà?
E’ difficile dirlo.
Nella crisi globale i cittadini si sentono sempre più impotenti, anche a livello municipale.(...)

Tralasciando, per ora, Parma, forse è utile verificare quello che scrivevo su Pistoia e il cambiamento possibile.

"Per Pistoia l’alternativa è, credo, tra una sfida scontata e una riconferma dello status quo, al prezzo di un debordante astensionismo e qualcosa di imprevedibile che faccia saltare schemi e spartizioni misere, già decise, al di là delle guerre di posizionamento, anche nel partito di maggioranza.
E’ necessario far vivere un movimento che, a partire dalla salvaguardia e dalla condivisione dei beni comuni e dei processi decisionali partecipativi, si contrapponga alla totale inerzia e lontananza dei partiti, incapaci di selezionare e rinnovare la classe dirigente.
Un movimento che attivi quelle tante parti “escluse” della cittadinanza che non sono comprese nei ristretti cerchi e nei “pranzi di gala” del potere e non sono assuefatte a subire scelte e “narrazioni” decise molto al di sopra delle loro teste.
Capire quante possibilità abbia questo movimento di “sfondare” non è facile, anche perché passare dalla protesta alla proposta, al cultura di un cambiamento di governo, non si improvvisa in pochi mesi.
Specie se non lo si è mai potuto sperimentare."


La settimana che si apre sarà decisiva per capire quali spazi e quali energie sono in campo per contribuire a tentare davvero una "primavera pistoiese" che fiorisca in una città ancora troppo ferma e inconsapevole e dimostri quanto possa essere bello e positivamente spiazzante assaporare il profumo della libertà.

Per riuscirci occorre un supplemento di umiltà, capacità di ascolto e forza di mobilitazione intergenerazionale.

Un territorio amplissimo, che va da Orsigna a Bottegone, deve sentirsi in ugual misura partecipe, protagonista, di questa speranza collettiva.

Non è una sfida per nulla facile. Ma va messa in campo. Ora!

Francesco Lauria



martedì 21 marzo 2017

L'infinita e vana attesa al "Telecup" 
e il consiglio dell'Ufficio Relazioni al Pubblico dell'Ausl...



Sono rimasto colpito dal leggere sulla Nazione di oggi del tentativo plurimo e vano di un'anziana pistoiese di prenotare un esame al Telecup.
Infinite telefonate e un tentativo all'Urp dell'Ausl finito male con un atteggiamento scortese degli operatori.
La risposta è sempre la solita: "Il Telecup è quasi irraggiungibile, dovete prenotare gli esami di persona".
Certo, per chi ha problemi di deambulazione come l'anziana signora o per chi, come me e migliaia di altri pistoiesi è lavoratore pendolare in altre città, il suggerimento suona come una beffa.
Che senso ha attivare un servizio (che peraltro è a pagamento...) magari con strombazzanti comunicati stampa e renderlo quasi inutilizzabile?
Personalmente aggiungo un altro punto: ho dovuto provare a prenotare una visita oculistica pediatrica per mio figlio.
Liste chiuse, anche nelle strutture convenzionate.
Nuovi tentativi per poi scoprire che le liste NON A PAGAMENTO erano state riaperte e, immediatamente saturate.
Ricordate Vanna Marchi?
Via alle telefonate!!!
Anche io, per il bene di mio figlio, mi rassegnerò, come la signora a prenotare la visita a pagamento, magari nelle stesse strutture convenzionate che esauriscono in una sola giornata i pochi posti disponibili in convenzione con il sistema pubblico.
Dimenticavo. 
Sapete qual è stato il consiglio amichevole dell'Urp al sottoscritto (anche io, esasperato come la signora ho chiamato...)
"Ecco, se vuole le dò il numero del Cup di Prato. Quello sì è più facilmente utilizzabile..."
Davvero un bello spot per la sanità pistoiese, davvero una lesione profonda dei diritti di cittadinanza, di bambini, lavoratori e anziani.

Francesco Lauria
http://www.pistoiafuturo.blogspot.it



Condivido questo post dell'amico Massimiliano Filippelli e anche il suo poetico sogno finale...


La vasca del parco della Resistenza, la brutta immagine della città


Questa mattina come altre volte, in questi giorni di incipiente primavera sono attratto dall'irresistibile voglia di passeggiare in qualche luogo verde, in uno spazio che si possa indicare come giardino pubblico.
Vicino a me, ad un tiro di schioppo, c'è il Parco della Resistenza, luogo simbolico per Pistoia, non solo per la memoria storica dal nome che porta ma anche per l'aspetto più ecologico, paesaggistico che lo ha portato diverse volte alla conoscenza di quanti sono sensibili al degrado degli spazi verdi. All'interno del parco, c'era una vasca che fino a poco tempo fa, malgrado non ospitasse esemplari ittici che attirassero l'attenzione, né splendide piante lacustri, era comunque un luogo decente come ogni vasca all'interno di un parco cittadino, dove il viandante in fuga poteva ristorarsi piacevolmente con lo sguardo. Lo sguardo attuale è il degrado più totale.
Se in un frammento di quello specchio d'acqua volessimo riflettere l'immagine della città delle piante, sarebbe impossibile vedere letteralmente il proprio volto e quello della città risulterebbe sfigurato dall'incuria e dall'indifferenza.
Nel mezzo dell'acqua dai simulacri vuoti come vasi sospesi, ci sono i resti secchi e inariditi delle piante, ciò che era verde adesso è un ricordo del passato, l'acqua ferma e melmosa sembra lo stagno di un purgatorio dantesco. Lo sguardo del viandante che è sceso, a pochi passi dalla stazione, per fare due passi non può rimanere che sgomento, se in quel frammento di acqua stagnante volesse leggere dentro la superficie una verità sulla città che sta per visitare. Vorrei immaginare con la forza della volontà dopo la tristezza dell'appello, che dei fanciulli, frammenti di luce di un ideale situazione, potessero vedere cangiare improvvisamente quello spettacolo adulto; al suo posto lo specchio terso e riverberante di una stupenda giornata di primavera, l'acqua che scrosciando sulla  superficie del laghetto culla il silenzio di un dolce abbandono, ninfee, fiori di loto e altre specie che accarezzano lo sguardo di un pittore, e lo specchiarsi di una bellissima donna che con il suo cappello facesse capolino in un sorriso estatico.
Forse l'immaginazione è più potente della realtà e può creare degli effetti insospettati!


Massimiliano Filippelli*

venerdì 17 marzo 2017

Il Pisa Mover, Peretola e ... .noi.

Con il solito ritardo, ma sano e salvo, sono arrivato all'aeroporto di Pisa. 
In un giorno particolare. 
Oggi, infatti, e' l'ultimo giorno di attività per le navette sostitutive che, da dicembre 2013, hanno collegato stazione centrale ed aeroporto (vedi biglietto). 



Il Pisa Mover, il treno elettrico che da quindici anni fa discutere la citta', da domani sara' realta'. La funzione e' duplice: collegamento veloce con aeroporto e integrazione con i parcheggi scambiatori per i pendolari. 
Un sensibile miglioramento, certo.



Con una specificazione che, però, specialmente per chi abita nelle città vicine, come Pistoia, fa riflettere: il Pisa Mover sara', per 36 anni, privato e non collegato con la rete F.s. 
Probabilmente non si vuole esagerare nella concorrenza/integrazione con Firenze, anche in vista del mega ampliamento previsto per l'Aereoporto di Peretola.

Francesco Lauria

giovedì 16 marzo 2017

"Salviamo il carbonile di Gello 
dal degrado"

La Nazione, edizione di Pistoia, Mercoledì 15 marzo 2017


sabato 11 marzo 2017

Il degrado del carbonile di Gello e quel sentiero della memoria da riaprire…


Da un paio d’anni, da quando mi sono trasferito nella via Vecchia Montanina di Gello, ogni giorno mi capita di costeggiare il vecchio Carbonile del paese.
Durante questo periodo le condizioni di degrado dell’antico fabbricato sono ulteriormente peggiorate.
Dopo un paio di bandi presentati dal Comune di Pistoia e dall’Amministrazione del Legato Antonini, andati mestamente a vuoto, non si hanno più notizie di progetti o idee di recupero della struttura.
Il Carbonile è un fabbricato storico, in grave stato di abbandono, caratterizzato da una grande maschera di un fauno, in pietra serena, posta sotto il portone di ingresso.
Fu costruito all’inizio del diciannovesimo secolo, proprio all’altezza della confluenza tra i torrenti Vincio e Ombrone, per farvi confluire scorte del combustibile e di legna provenienti da gran parte della montagna pistoiese. Era dotato di una foresteria per la famiglia del custode.
L’idea fu di Pellegrino Antonini, colui che donò alla città la famosa tenuta della “Macchia Antonini”, dove è tradizione riversarsi ogni 20 agosto dell’anno per una festa popolare ancora molto sentita.
Con altre funzioni, il Carbonile è stato abitato fino agli anni settanta, ma oggi è ridotto sostanzialmente in rovina, puntellato in più punti, con il tetto crollato, la bella corte interna ormai invasa da piante e sterpaglie, l’antico pozzo in secca.

Il Carbonile è contiguo al ponte che dà proprio sulla Via Vecchia Montanina, antica porta di ingresso verso la collina e la montagna, una sorta di inizio di un percorso che procede verso antichi sentieri ricchi di cultura, storia, memoria, luoghi di interesse naturalistico.
L’abbandono e il sempre più forte degrado del carbonile, che potrebbe essere inserito in un percorso ampio che raggiunga l’eco-museo della montagna pistoiese, è un perfetto paradigma della mancanza di idee, memoria, interesse storico di un’amministrazione comunale e di un sistema di enti, associazioni e fondazioni incapaci di uscire dalla logica dell’organizzazione di meri eventi, spesso disconnessi dalla vera realtà del territorio in cui vengono realizzati.

Aprire un dibattito vero e non formale su come recuperare questo frammento di storia pistoiese significherebbe finalmente un passo verso un’ottica di sistema per riconnettere la città al proprio territorio, ricostruendo legami sociali e comunitari che non significano mera nostalgia, ma rappresentano le radici necessarie per costruire un futuro sostenibile e un turismo ecologico non di consumo, ma di progetto.
Francesco Lauria




mercoledì 8 marzo 2017


LETTERA APERTA
Allargare lo spazio pubblico della buona politica.
Se non ora, quando?

Una mobilitazione civica è necessaria anche per scalfire il tabù dell’inevitabile “potere maschile” alla guida della città.


La crisi della politica è una crisi di sguardo sulla realtà: è come se i partiti avessero smarrito le chiavi di lettura del presente e del futuro e siano incapaci di incarnare quell’esigenza etica che il tempo storico richiede, denotando mancanza di lungimiranza nel leggere la transizione epocale che stiamo attraversando.

Il sistema rimane ancorato a visioni superate come la rincorsa di una crescita senza fine e non comprende l'insostenibilità di un modello di sviluppo che produce esclusione e che ha alimentato, economicamente e antropologicamente, l’attuale crisi.

Va messo in discussione un capitalismo dal volto feroce che corrode la vita di tanti lasciandoli nella precarizzazione, occorre operare per ricomporre la frammentazione e la mercificazione del lavoro e nel lavoro, rigenerandolo e ridistribuendolo.

Assistiamo all’idea di un rilancio generico del consumo e dell’”economia dello scarto”, a una politica tutta giocata sull’annuncio e sull’evento e non sulle azioni concrete.
Il non governo della globalizzazione ha colpito soprattutto le fasce medio-basse e ha prodotto la rincorsa alle piccole patrie e alla centralità dello stato-nazione, rilanciando le spese militari, a discapito delle politiche sociali e d’inclusione.

Una politica miope preferisce l'Europa degli egoismi a un progetto di pace che richiede cessione di sovranità verso l'alto (Europa politica) e verso il basso (autogoverno territoriale).

In vista delle prossime amministrative, sull’autogoverno, occorre una riflessione.
Il crescente ruolo esercitato dai comitati di cittadini all’interno dei sistemi politici locali è anche  conseguenza della crisi e della disarticolazione dei partiti e dei corpi intermedi.

A Pistoia viviamo l’evanescenza della politica “tradizionale”, la mancanza pluridecennale di un ricambio, il distacco sempre più forte dal territorio, un approccio consociativo e autoreferenziale che coinvolge spesso anche molte opposizioni.

Viviamo e lavoriamo in una città molto ricca di potenzialità congelate da un blocco d’interessi che non vuole lasciare spazi ad alternative.
Si tratta di rompere una crosta politica consolidata, in questi anni, da una chiusura spocchiosa e arrogante che vegeta nella propria autosufficienza senza cambiamenti sostanziali.

Per questo il ricorso a comitati civici si rivela una risposta efficace; non è una novità assoluta: alcuni comitati esistono da oltre vent’anni.


Una coalizione di cittadinanza è vincente se accetta di proporsi come veicolo di partecipazione lontano dal modello NIMBY (tutto, ma non nel mio giardino) e distante da modalità organizzative improvvisate.
Fondamentale è una capacità di proposta, non solo su alcuni temi e luoghi, ma come paradigma di una visione alternativa.

Una rete dei comitati, organizzati e strutturati, è la risposta programmatica per realizzare ciò che Habermas definisce: “il potere comunicativo della società civile organizzata”.

Tale “potere” deve svilupparsi "cominciando dagli ultimi", dal basso, per dare valore a ciò che è stato smantellato spesso in modo subdolo, per riappropriarsi di spazi di discussione e unire anche persone scoraggiate e abbandonate se stesse, senza una rete comunitaria.
Uno dei mali di questo tempo è la perdita di fiducia nel futuro, l'isolamento nel far fronte, in solitudine, alle continue sfide di ogni giorno.

Non si parte dal nulla.
In questi anni un grande lavoro sociale è stato fatto, patrimonio per la città: pensiamo, ad esempio, alla campagna ’“acqua come bene comune”, dandone merito a chi se ne è fatto coraggiosamente e ostinatamente carico.
Sono state messe in agenda questioni fondamentali che hanno sbugiardato il teatrino politico e amministrativo locale, basato anche sul sistema delle società partecipate: temi concreti e connessi al territorio (le bollette dell’acqua), ma anche tasselli di tematiche generali (l’acqua, patrimonio dell’umanità, al di fuori delle logiche di profitto).

Tutto ciò necessità di un completamento.

E’ il tempo di politiche locali migliori e inclusive, di risposte concrete ai cittadini, attraverso la capacità di pensare, organizzare, promuovere, in prima persona, visioni alternative e strumenti di partecipazione e innovazione.
Non solo rispetto al servizio idrico, ma all’intera sfera dei beni comuni: dal trasporto pubblico locale alla tutela del territorio, dall’urbanistica alla mobilità, dal decoro urbano alla gestione e valorizzazione dei rifiuti, dai servizi per il lavoro e contro povertà ed emarginazione a quelli educativi, da una sanità martoriata e vittima d’interessi speculativi, fino alla valorizzazione del commercio di prossimità, senza tralasciare le aree dimenticate e periferiche.

La cronica mancanza di prospettive occupazionali, l'incuria per il verde appena fuori dal centro, la sporcizia pervasiva, gli esercizi commerciali che chiudono in varie zone, sono segni di degrado che necessitano di essere presi sul serio.

Una “cultura” che non diventa veicolo di crescita umana e sociale, ma rimane lettera monca dentro i musei diviene solo un esercizio di retorica e lusso per chi se lo può permettere!
La rete dei comitati di Pistoia ci sembra una risposta per mettere al centro temi fondamentali per la vita delle persone e non per il perpetuarsi infinito di un ceto politico inconcludente.

E’ necessario, in questa città più che altrove, allargare lo spazio pubblico della politica.


E’ una sfida appassionante: cogliere, anche in vista della sfida elettorale, ma non solo, un’esigenza di rappresentanza dal basso, fondata su interessi e valori diffusi, unione di esperienze e non di particolarismi, veicolo di buone politiche e buona politica.

Bisogna rigenerare la democrazia, a partire dal locale, valorizzare il merito e le competenze nelle persone che si candidano per l’amministrazione cittadina.

Persone che non si sentano predetestinati, ma portatrici e portatori di spirito di servizio e di un programma di cambiamento.

Per tutto ciò, lo scriviamo non ritualmente in occasione dell’8 marzo, occorre probabilmente superare il tabù di una guida della città da sempre in mani rigorosamente maschili.
Il tempo stringe: bisogna rompere gli indugi e mettersi in cammino.

Partiamo da noi stessi, perché, come diceva il rabbino Hilel verso la fine del I secolo a.C.: "se non lo faccio io, chi lo farà?  se non lo faccio adesso quando lo farò? se lo faccio solo per me stesso, chi sono io?" Insomma, se non ora quando?

Francesco Lauria, Massimiliano Filippelli, Francesca Pellegrini, Serena Visco



domenica 5 marzo 2017

P come primarie, P come Parma, Padova e Pistoia. 


Primarie in corso, primarie possibili e primarie mancate.


Si svolgono oggi a Parma le primarie di coalizione per scegliere il candidato della coalizione di centrosinistra che sfiderà il sindaco "postgrillino" Federico Pizzarotti.


A Parma, dopo quattro sconfitte consecutive, tra le cose, un po' paradossali che ho notato c'è la scelta di quasi tutto il mondo ex diessino e di sinistra di non provare nemmeno a presentarsi, affindandosi a una figura legata alle passate amministrazioni civiche di centrodestra.
E' abbastanza impressionante come l'apparato senza partito e senza popolo si sia comunque mobilitato, pur con i rimasugli rimasti e le forze ridotte a supporto, di tutt'altro progetto rispetto a quello che ci si aspetterebbe da loro.
Nell'altro campo l'accordo, a freddo, tra altri due candidati che avevano raccolto le firme non ha scatenato particolari entusiasmi, mentre avrà un risultato dignitoso, dopo una bella campagna, l'avvocato di origine albanese, Alimadhi, che punta al voto dei "nuovi parmigiani".

Le primarie a Parma hanno mobilitato energie (e anche polemiche) ma al tempo stesso non hanno scaldato davvero i cuori degli elettori che sembrano orientati, un po' come gran parte degli industriali locali, a sostenere in buon ordine il sindaco uscente. 
Tutto ciò nonostante la mancata realizzazione di alcuni punti del programma, come la promessa, impossibile da mantenere, viste le diverse competenze, di chiudere l'inceneritore.


Situazione diversa a Padova, dove la bella esperienza di Padova 2020 ha portato alla creazione di un "grande coalizione civica", cui il Pd ha chiesto, fuori tempo massimo, l'alleanza.
Nella città del Veneto la giunta di centrodestra è caduta a causa delle contraddizioni interne, ma il matrimonio tra "civici" e democratici, sembra ormai tardivo e, soprattutto, poco compatibile sul fronte dei programmi e del metodo.


Rimane la terza P, Pistoia.
Qui un Pd litigiosissimo e diviso fin nelle fondamenta ha trovato l'accordo per proseguire come un sol uomo nella conferma al potere del giovane sindaco uscente Samuele Bertinelli, pur orfano del suo maggiore sponsor: lo scissionista neo gueverista governatore toscano Enrico Rossi.
Qui le primarie sono state spazzate dalla paura di perdere e di discutere oltre che da uno di quei periodici accordi a tavolino tra le varie anime del Partito di Stato che da sempre detiene il potere e governa, con risultati alterni, la città.

Non ci sono alibi, il mondo civico deve trovare una capacità di sintesi e di mobilitazione trasparente sui contenuti e sui processi, per permettere, finalmente, una sfida contendibile, in una città profondamente conservatrice e ripiegata su se stessa.
Per tornare al filo rosso di questa riflessione: le primarie possono essere uno strumento valido, molto più per la scelta dei candidati sindaci o dei parlamentari, piuttosto che per scegliere i segretari di partito. Molto dipende però da quanto "libero" e non predeterminato sia il processo.

Le persone, quelle normali, sembrano ultimamente appassionarsi un po' di più alla politica, mostrandolo anche con l'estrema mobilità del voto. Queste nuove energie, che abbiamo sperimentato anche nel referendum costituzionale, pur mischiate all'onda antisistema e anti Renzi, vengono mortificate quando i sistemi di potere sono talmente autotutelati da impedire anche il minimo vero confronto interno ed esterno (vedi ultime elezioni regionali in Toscana ed Emilia Romagna). 
Il tema, al di là delle alchimie politiche, è come riappassionare le persone all'impegno, all'incontro, all'approfondimento dei problemi e allo sviscerare le opportunità e le aspirazioni che sono nutrimento della democrazia.
Partendo dai beni comuni essenziali come l'educazione, la tutela dell'ambiente, a partire dall'acqua e dall'aria, l'impegno contro l'aggravarsi delle disuguaglianze.

La primavera è ormai alle porte, sono davvero curioso di osservare cosa ci porterà nelle varie P, primarie o meno: Parma, Padova e Pistoia.

Francesco Lauria

P.S. Aggiornamento del 6 marzo 2017, alle ore 1.00. Alle primarie di Parma ha stravinto Paolo Scarpa, la partecipazione è stata piuttosto bassa. La strada è ancora lunga...


venerdì 3 marzo 2017

Non si vive solo per se stessi.
Il cammino di Noor, il sogno di Francesca, 
il rogo di Foggia.



Alla fine della scorsa estate ho intervistato alcuni rifugiati ed alcuni operatori che si occupano di asilo, pubblicando una parte del "materiale raccolto" su Report.

Tra gli incontri fatti, quello che più mi ha colpito, senza togliere nulla agli altri, è stato quello con Fareen Shah Noor e Francesca Zei, a Quarrata.

Il pensiero del suo viaggio a piedi durato mesi, lunghissimo e durissimo, dal Pakistan fino ai confini del nostro paese, in quel Friuli Venezia Giulia in cui ho vissuto, anche io, diversi anni, sul... "confine", non mi ha mai abbandonato, fino ad oggi.

Ogni volta che incontro un richiedente asilo, ogni volta che incrocio una trasmissione televisiva (spesso pessima) sull'immigrazione, gli occhi di Noor mi tornano alla mente.

Così come, senza retorica e buonismi, mi torna spesso in testa e nel cuore la frase di Francesca: "non si vive solo per se stessi".

Oggi, dopo uno sgombero dovuto anche alla scoperta delle infiltrazioni della criminalità organizzata, il ghetto dei lavoratori migranti sfruttati a Foggia è stato sgomberato e, da alcuni, incendiato.

Due ragazzi del Mali, due lavoratori stagionali invisibili, sono morti.

La gestione del fenomeno migratorio, migranti economici e rifugiati, non è semplice, si è caricata, con la crisi, di una serie di aspetti simbolici, securitari, intolleranti.

Spesso viene scatenata una "guerra tra poveri" che si nutre di ignoranza, stereotipi, opportunismi.

L'incontro tra le persone, viso a viso, se non può risolvere molti dei problemi macro, di certo può fare la differenza per quel che riguarda atteggiamenti, spesso figli, semplicemente, dell'ignoranza.

Ripensando alle difficoltà linguistiche dell'intervista con Noor, mi è tornato alla mente come spesso siamo incapaci di vedere, sentire, prendere parte.
In tempo di "pacchetti sicurezza" andrebbe fatta, invece una grande riflessione, soprattutto su un'educazione e una pratica di reciproca integrazione, di costruzione, paziente di ponti, e non di muri che, prima o poi, non potranno che crollare o essere scavalcati.





Intervista a Noor e Francesca, Quarrata, agosto 2016

Quando incontro Fareen Shah Noor la prima difficoltà è il linguaggio. Il suo sguardo è attento, curioso, ma, almeno all’inizio, non è possibile comunicare con lui né in italiano, né in inglese.
Provano ad aiutarmi Francesca Zei, giovane operatrice che segue il suo percorso di accoglienza e un altro rifugiato afgano, che però non parla lo stesso dialetto pashtun, e riesce a tradurmi in inglese, solo parzialmente, la nostra conversazione.

Già questo è un tema importante di riflessione.
Moltissimi rifugiati, specialmente quelli provenienti dalle zone rurali dell’Afganistan o del Pakistan, come Noor, giungono in Europa e nel nostro paese senza parlare nemmeno una parola di italiano o di inglese.

E’ difficilissimo per loro poter raccontare compiutamente la propria storia, il proprio lungo e complesso viaggio.
Dopo le difficoltà iniziale è lo stesso Noor a trovare un altro modo di comunicare con me.
Prende il suo smartphone e mi mostra gli articoli che riferiscono del’attacco al suo villaggio, in Pakistan.
Ormai quasi cinque anni fa, durante la festa di fine Ramadam, il villaggio di Noor viene appunto bombardato e fatto oggetto di attacco terroristico, tra le macerie trova la morte il Nazim, il sindaco del villaggio.
Noor, per sua fortuna, non c’era.

“Partii il giorno prima dell’Eid – racconta - per festeggiare la fine del ramadan con la famiglia di mio padre in un paese vicino. Stavo mangiando del pesce e stavo chiacchierando, quando mi dicono che nel mio villaggio, dove tutti stavano festeggiando e da cui ero partito poche ore prima, era appena scoppiata una bomba. Il Nazim stava pregando quando è morto, chissà cosa stava pensando, chissà se si sarà reso conto di quello che è successo.”
Il ragazzo pashtun era uno dei suoi più stretti collaboratori, un vero e proprio amico.
Mentre, con difficoltà, anche grazie a Francesca, ricostruiamo la sua storia, Noor si blocca.

La sua figura è alta, imponente, il suo nome significa luce.
Di fronte a me però ho un giovane uomo che trattiene a stento le lacrime.
Il racconto, pur nella difficoltà della traduzione, prosegue.

“Nel momento in cui ho saputo della bomba- continua il richiedente asilo - ho chiamato la polizia che ha immediatamente arrestato le persone colpevoli, dopodiché è arrivata ancora polizia, si chiamano Rangers, e ha cominciato a fare ricerche in tutta la città, giorno e notte, casa per casa. Le persone che dovevano andare in prigione purtroppo sono state liberate e io ero amico e collega del Nazim, ed ero quindi in pericolo.”

Nel reading che la cooperativa gli altri ha raccolto con la sua ed altre storie di richiedenti asilo si possono leggere le parole della madre rivolte a Noor: “Tu vai, non preoccuparti per noi, percorri la tua strada, non ti voltare e scrivi bene le parole sul tuo cammino, questa situazione è troppo pericolosa per te, vai a vivere in un altro paese”.
“Mia madre mi disse queste parole perché io non ero sicuro di andare via, volevo rimanere lì per proteggerli. “ Le lacrime sono, anche, per una madre lontana e per una famiglia che tuttora si trova in pericolo.

Il viaggio di Noor si svolge, tra mille difficoltà, a piedi.
Il Pakistan, poi l’Iran, la Turchia.
La ormai famosa e ora, quasi, sigillata “rotta balcanica” in Europa. Il passaggio nell’Unione Europea attraverso la Bulgaria. Oltre tre mesi di traversata.
Camminava da solo (non conosceva nessuno), ma insieme a molte persone.
Le ricordiamo anche noi le immagini delle migliaia di uomini, donne e bambini che, a piedi, hanno risalito e ridisceso i sentieri della nostra Europa.
Tra mille ostilità, in particolare in alcuni paesi che dopo aver smantellato la cortina di ferro alla fine degli anni ottanta, erigono ora nuovi muri, come l’Ungheria.

L’ingresso in Italia avviene attraverso il Friuli Venezia Giulia.
La prima città che Noor cita in italiano, facendomi sobbalzare, è Gorizia.
E’ la città dei miei studi universitari, divisa in due dalle frontiere della seconda guerra mondiale. Per decenni confine tra Occidente e Oriente socialista e, successivamente, fino all’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, porta di Schengen.

La richiesta di asilo avviene ad Udine e di lì, attraverso il percorso di accoglienza coordinato dal Ministero dell’Interno, scaturisce “l’invio” a Pistoia.
In realtà - mi corregge Francesca Zei - Noor conosce bene soprattutto la montagna pistoiese.
Nei quattordici mesi nel nostro paese ha cambiato quattro case: prima Maresca, poi Prunetta, poi Mammiano e, infine, da aprile, Quarrata.
Svolge regolarmente corsi di italiano – racconta Francesca – e abita insieme ad altri rifugiati.

L’operatrice della cooperativa “Gli altri” – scandisce bene i mesi di attesa: quattordici.
Quattordici mesi senza ancora essere stato ascoltato dalla Commissione per il rilascio del permesso di asilo.
Quattordici mesi senza ancora che il colloquio sia stato ancora fissato.
E’ il segno di qualcosa che non funziona nel nostro sistema, anche se la soluzione non pare essere, come paventato dal Ministro della giustizia Orlando, quello di cancellare il colloquio con la Commissione stessa.
Un piccolo passo avanti è stato, invece, fatto il 29 agosto con l’entrata in vigore di un decreto governativo che ha messo a sistema l’accoglienza istituzionale dello Sprar, (il sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) con la partecipazione degli enti locali, superando l’approccio provvisorio dei bandi triennali.
Salutato Noor, ho ancora il tempo di parlare un po’ con Francesca.
Anche lei è di “sangue misto”: per metà svizzera e per metà fiorentina, vive a Pistoia.


Fa parte dei molti ragazzi che sono stati inseriti negli ultimi mesi nel settore dei rifugiati, dopo gli studi in lingue e scienze internazionali, la tesi in Storia della Nigeria.
Quando le chiedo del suo nuovo lavoro usa una parola che è difficile sentir dire a molti ragazzi oggi: mi parla di “sogno”.
Insieme alla parola “sogno” affianca, però, immediatamente, quella di professionalità in costruzione.
“Non mi piace l’improvvisazione – aggiunge subito - anche quella che, visto l’esplodere del fenomeno, si può osservare, in vari ambiti e situazioni, troppo estemporanei, nel campo dell’accoglienza ai rifugiati.”

Ha sempre vissuto in un ambiente multietnico, l’esperienza più bella nella sua formazione, fin da giovanissima, è stata in un campo saharawi, ospitata dalle famiglie, nel deserto.

Le chiedo come vive, nel concreto, il suo nuovo lavoro.
“Il continuo bombardamento mediatico, la paura che viene fatta volutamente crescere condiziona tutti – mi risponde – stupendomi – continua - ha scalfito anche i miei genitori, da sempre apertissimi.”
“Il nostro lavoro – continua -è spesso frenato da troppa burocrazia, spesso inutile. Documenti che scadono in pochissimo tempo e che costringono i richiedenti asilo e noi operatori a paradossali rincorse. A volte una mano dello Stato sembra che non conosca quello che fa l’altra. Sembra, quasi, che si remi contro all’integrazione, si tengono sospese le vite delle persone.”

Le chiedo di continuare…
“E’ molto importante avere abitazioni piccole, stimolare i richiedenti asilo all’autonomia, a riprendere in mano, gradualmente, la loro vita. “

Francesca si sta formando proprio per accompagnare i rifugiati nella ricostruzione e nella scrittura della memoria: un “lento lavoro di fiducia e di progressiva, reciproca, scoperta”.
Prima di salutarci mi consegna la frase finale del racconto di Noor, contenuta nel reading realizzato dalla cooperativa.
La leggo a casa, seduto di fronte a mio figlio.

Scrive (nella sua lingua) Noor: “Mi guardo da lontano, mi vedo camminare lentamente verso due orizzonti, uno passato e uno presente, due mondi diversi e contrapposti l’uno dall’altro…che però so comporranno e daranno vita alla mia vita futura. “
Penso che, come ha ben colto Francesca, a Noor, come agli altri rifugiati, dobbiamo, in primis, ascolto.
Un ascolto che significa anche impegno, sentirci interpellati dalla loro storia, dal loro cammino.

Le carte dei diritti umani, l’articolo 10 della nostra Costituzione, devono essere anima del nostro vivere civile, vanno concretamente riconosciuti ed applicati.
Forse così riusciremo a riscoprire i valori veri della nostra democrazia, a disseppellirli dal disincanto. E a capire che, proprio come sembra suggerire il “sogno” di Francesca e come racconta nella sua bella biografia, Alidad Shiri, un altro rifugiato asiatico: “non si vive per se stessi”.

Francesco Lauria
(leggi intervista su Report Pistoia: http://www.reportpistoia.com/societa/item/39483-il-lungo-cammino-di-noor-sulle-orme-del-diritto-di-asilo-e-il-sogno-di-francesca-non-si-vive-per-se-stessi.html