sabato 28 ottobre 2017

ASTROLABIO DEL SOCIALE

PREMIO PER STUDENTI E GIOVANI RICERCATORI

E' stato prorogato al 31 gennaio 2018 il termine per l'invio dei contributi del Premio Astrolabio del Sociale: premio per favorire tra i giovani l'interesse verso la ricerca in campo lavoristico, sociale e delle relazioni industriali.

Il premio è ispirato e sostenuto da un gruppo di studiosi, ricercatori e sindacalisti, tra cui: Pierre Carniti, Mario Colombo, Raffaele Morese e dalla Cisl n.le.

Per ogni ulteriore informazione:
www.astrolabiosociale.it
Pagina fb: Astrolabiodelsociale
Info: Francesco Lauria - francesco.lauria@cisl.it (segreteria organizzativa del premio).

Il premio


Il monte premi, di € 10.000, è suddiviso in
2 contributi di 5.000 euro ciascuno

I concorrenti dovranno presentare un saggio, di lunghezza compresa  tra le  75.000 e le 125.000 battute (escluse tabelle, note e bibliografia), attinenti ad una delle seguenti tematiche:

 IL LAVORO,  FRAMMENTATO E SVALUTATO, VA UNIFICATO E RAPPRESENTATO
Alle soglie di una diffusione sempre più massiccia dell’economia digitale, si analizzi l’esigenza della rivisitazione di regole, garanzie, diritti attualmente divisi tra lavoro autonomo e dipendente e anche all’interno di quest’ultimo. Riflettere, inoltre, sulla sottovalutazione economica, culturale e politica del lavoro, sull’indebolimento delle forme di rappresentanza e, di conseguenza, sul loro necessario rinnovamento e rafforzamento .

LE DISUGUAGLIANZE DI UN SISTEMA FISCALE SCHIZOFRENICO
Nella lunga crisi di questo inizio di secolo, come in tutti i Paesi occidentali a capitalismo evoluto, sono aumentate le disuguaglianze sociali in Italia. In particolare quelle fiscali, che gravano pesantemente sui redditi da lavoro, creando una contraddizione tra principi (articolo 53 della Costituzione) e pratica (chi è vincolato al prelievo fiscale alla fonte e chi invece non lo è). Indicare soluzioni possibili che favoriscano la riduzione delle disuguaglianze.

Requisiti e modalità di partecipazione/premiazione.

Preambolo
Per  favorire gli studi sulle trasformazioni del lavoro, delle relazioni industriali e del welfare, “Astrolabio del sociale” ha deliberato di istituire un PREMIO al fine di  favorire tra i giovani l’interesse verso la ricerca in campo lavoristico, sociale e delle relazioni industriali.

 1 – Partecipanti. Possono concorrere al conseguimento del PREMIO:
1.1. gli studenti universitari, italiani e non, iscritti, con regolare frequenza, a qualsiasi università italiana corsi di laurea triennale o magistrale;
1.2. i laureati e i frequentanti di corsi di dottorato o di corsi postlaurea;
1.3. Tutti coloro che, a prescindere dal titolo di studio, non abbiano compiuto il 36° anno di età  al momento della pubblicazione del bando.

2 – Premi.
2.1. Il monte premi, di € 10.000, è suddiviso in 2 contributi di 5.000 euro ciascuno.
2.2. E’ prevista l’eventuale pubblicazione con Edizioni lavoro dei  saggi ritenuti particolarmente meritevoli di  diffusione a stampa dalla Commissione esaminatrice.

3 – Elaborati e tematiche. I concorrenti dovranno presentare un saggio, di lunghezza compresa tra le 75.000 e le 125.000 battute (escluse tabelle, note e bibliografia), attinenti ad una delle seguenti tematiche proposte (si veda testo delle tracce).

4 – Modalità di consegna.
4.1. Ogni concorrente deve inviare il proprio elaborato inedito in versione italiana e firmato con uno pseudonimo a scelta,  in forma cartacea (raccomandata r.t.) e facoltativamente in forma digitale (posta certificata).
4.2. Su foglio a parte, in busta chiusa, acclusa al plico, devono essere indicati: cognome, nome, indirizzo dell’autore, curriculum vitae, email di riferimento.
4.3. Il plico, indirizzato a “Premio Astrolabio del Sociale”, c/o Centro Studi Cisl, Via della Piazzola n. 71. 50123 Firenze,  dovrà pervenire a mezzo posta entro e non oltre la mezzanotte del giorno 31 gennaio 2018 (farà fede il timbro postale).
4.4. Gli elaborati inviati rimarranno a disposizione presso il “Premio Astrolabio del Sociale” e non saranno restituiti per nessuna ragione.

5 – Valutazione e premiazione.
5.1. L’operato della giuria, i cui componenti saranno resi noti solo all’atto della premiazione, è insindacabile, compresa l’eventuale decisione di non assegnare il premio, qualora non siano stati prodotti elaborati ritenuti soddisfacenti e di devolvere il premio non assegnato all’incremento dei premi degli anni successivi.
5.2. Entro il 30 marzo 2018 a tutti i concorrenti saranno comunicati i vincitori e la data della premiazione che avrà luogo in occasione di una iniziativa pubblica.

PARTECIPATE!


martedì 24 ottobre 2017

My name is Adil: gli occhi migranti di un bambino e un lungo viaggio che ci parla

di Francesco Lauria


Un film indipendente, prodotto attraverso il crowfunding, con attori non professionisti.

Una storia vera, quella di Adil, un bambino che vive nella campagna del Marocco, in una delle zone più povere del paese, con la madre, i fratelli e il nonno capo-famiglia.

E’ un mondo povero, duro, dove fin da piccoli si lavora per ore nei pascoli, gli adulti possono essere rudi, studiare un privilegio per pochi.

Gli occhi fanciulli amano la propria terra, ma vedono i propri compagni invecchiare precocemente, tra le greggi.

El Mati è il padre di Adil.

Come centinaia di migliaia di altri marocchini è, da anni, emigrato in Italia, a Milano.

All’epoca non esistevano telefoni satellitari, la voce di un padre giunge da lontano, nell’unico telefono del paese, di tanto in tanto.

Adil vuole un futuro diverso e, tra mille difficoltà, con un viaggio complesso, riesce a raggiungere il genitore e ad allontanarsi da uno zio patrigno che sfrutta lui e i suoi fratelli senza amore e senza rispetto.

Migrare è una grande scommessa verso il futuro, è la speranza di un incontro e di un riscatto, ma è anche una frattura, una separazione dolorosa dalla propria storia, dal proprio “io” e, insieme, dal proprio “noi”.

A tredici anni Adil scopre un nuovo mondo. L’Italia, Milano non sono il sogno sognato, almeno all’inizio non il luogo della favolosa “svolta”. Piano si può permettere di studiare, crescere, amare, costruire nuovi legami. L’Italia, non senza dolore, entra nell’io e nel noi.

Il film ci accompagna in dieci anni di costruzione di questa nuova idenità mista: di un bambino divenuto ragazzo e poi giovane adulto.

Ci accompagna anche nel viaggio di un (temporaneo) ritorno.

Dopo dieci anni di assenza dal Marocco, Adil, ritorna, infatti, nel suo paese, intraprendendo un viaggio di ricerca e di riscoperta delle proprie radici, che lo aiuti a intrecciare i fili della sua storia e della sua identità, perché: “solo se conosci da dove vieni, puoi sapere chi sei”.

Questo film è stato proiettato nelle scuole, nelle carceri, nei consolati, nelle sedi sindacali, nei festival indipendenti di mezzo mondo.

Un viaggio di parole, immagini, poesia, silenzi, lacrime e sogni, realizzato senza finanziamenti e in modo indipendente.

My name is Adil ha accompagnato, in oltre un anno di passaparola, il tema della migrazione nelle nostre città, attraverso una storia che raccoglie infinite altre storie: la migrazione e l’identità culturale molteplice affrontate dal punto di vista dei bambini e dei ragazzi.

Oltre ogni percepita “emergenza”.

Ma come nasce il film?

“Sarebbe la prima volta che un ragazzo che non sa niente di cinema arriva in un altro paese, impara a fare un film e racconta la sua storia”. Tre anni prima dell’uscita del film, quando tutto quanto era poco più di una scommessa, Gabriele Salvatores aveva commentato così il progetto di Adil Azzab, oggi educatore in una comunità per minori, di raccontare la propria storia attraverso il cinema.

A Milano, Adil, elettricista, grazie all’incontro con un Centro di aggregazione giovanile, aveva, infatti, scoperto la passione per il cinema e la fotografia. Grazie a un gruppo di sostenitori che hanno partecipato a un crowdfunding per la realizzazione del progetto, e con pochissimi mezzi, Imagine Factory, assocazione da lui fondata, ha realizzato “My name is Adil”.

Il film, che il 24, 25, 26 ottobre, arriva nelle sale  italiane, ha vinto numerosi premi e riconoscimenti in tutto il mondo, l’ultimo al festival del cinema indipendente di Tangeri.

Questo film realizza una magia: parla a tutti. Ci racconta non solo una storia, ma un viaggio che ci porta di fronte, come avrebbe detto Kapucinski, all’altro. “Per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri: gli altri sono lo specchio in cui ci vediamo riflessi, commenterebbe Richard Kapucinski. Adil ci racconta come ha conosciuto l’Italia attraverso i suoi occhi di bambino proveniente dal Marocco e come ha riconosciuto il Marocco, attraverso il suo nuovo sguardo, la sua nuova vita, da giovane adulto.

Con questo film, girato per lo più in arabo, con sottotitoli in italiano, tutti noi, italiani, migranti, “molteplici”, abbiamo la possibilità di riconoscere meglio noi stessi. Proprio negli occhi dell’altro, senza fuggire: guardando di fronte e dentro di noi.

Senza edulcorare alcunchè, vivendo, tentando di controllarla e trasformarla, anche la rabbia che portiamo dentro, il senso di ingiustizia, la paura dell’abbandono.

Consapevoli che è con l’incontro che questa rabbia si può trasformare in opportunità e progetto, in uno sguardo non uniforme, ma condiviso e più profondo. Che cura le ferite e ci fa ascoltare la musica, a volte allegra, a volte triste, di un viaggio che chiamiamo semplicemente vita.

Pubblicato suhttp://www.reportcult.it/cinema/item/1463-my-name-is-adil-gli-occhi-migranti-di-un-bambino-e-un-lungo-viaggio-che-ci-parla.html

In sala in Toscana:
FIRENZE – Cinema Stensen: 24 ottobre 2017 - Ore 16/ 20/ 21.30; 25 ottobre 2017 - Ore 17/ 20/ 21.30
26 ottobre 2017 – Ore 19.30
FIRENZE – Cinema Adriano: 24 ottobre 2017 - Ore 21,30
CERTALDO – Multisala Boccaccio cinema teatro: 25 ottobre 2017 - Ore 20
PISA - Cinema Caffé Lanteri: 24 ottobre 2017 - Ore: 18; 25 ottobre 2017 - Ore: 20.
PRATO – Multiplex Omnia Center: 24 ottobre 2017 – Ore 21; 25 ottobre 2017 - Ore: 21; 26 ottobre 2017 - orario da definire
COLLE DI VAL D’ELSA – Cinema teatro Sat'Agostino: 25 ottobre 2017 - Ore 21,15
POGGIBONSI - Cinema Garibaldi Poggibonsi: 24 ottobre 2017 - Ore 20; 25 ottobre 2017 - Ore 20




sabato 21 ottobre 2017

MY NAME IS ADIL:
una storia migrante,
un'emozione che ci parla
(AL CINEMA!)



My name is Adil.

A FIRENZE: Cinema Stensen- Viale Don Minzoni
24 ottobre 2017 - Ore 16.00 / 20.00 / 21.30
25 ottobre 2017 - Ore 17.00 / 20.00 / 21.30
26 ottobre 2017 - Orari da definire



Vedi il trailer:[ https://www.youtube.com/watch?v=HxivnOL7bwM ]

Elenco sale:
[http://www.unisonacinema.it/mynameisadil/


Altre sale in Toscana:
  1. FIRENZE - CINEMA ADRIANO
    24 ottobre 2017 - Ore 21,30
  2. CERTALDO - MultisalaBoccaccio Cinema Teatro
    25 ottobre 2017 - Ore 20,00
  3. PISA - Cinema Caffé Lanteri
    24 ottobre 2017 - Ore: 18,00
    25 ottobre 2017 - Ore: 20,00
  4. PRATO - MULTIPLEX OMNIA CENTER DI PRATO
    24 ottobre 2017 - Ore: 21,00
    25 ottobre 2017 - Ore: 21,00
    26 ottobre 2017 - orario da definire
  5. COLLE DI VAL D’ELSA - CINEMA TEATRO SANT'AGOSTINO
    25 ottobre 2017 - Ore 21,15
  6. POGGIBONSI - Cinema Garibaldi Poggibonsi
    24 ottobre 2017 - Ore 20,00
    25 ottobre 2017 - Ore 20,00

lunedì 16 ottobre 2017

Integralisti fuori dal tempo o custodi controcorrente della tradizione? Viaggio nel cattolicesimo tradizionalista pistoiese
Pubblicato su: http://www.reportpistoia.com/pistoia/item/52610-integralisti-fuori-dal-tempo-o-custodi-controcorrente-della-tradizione-viaggio-nel-cattolicesimo-tradizionalista-pistoiese.html



Sono passati esattamente dieci anni da quando Papa Benedetto XVI° promulgò il motu proprio: “Summorum pontificum” che ridiede slancio e piena legittimità alla cosiddetta Messa tridentina, più precisamente la messa celebrata in latino, secondo il Messale Romano preconciliare.

Il motu proprio era stato promulgato dall’attuale Papa emerito anche nel tentativo (in gran parte fallito, tra mille polemiche) di recuperare nella Chiesa romana la fraternità di San Pio X e i seguaci del cardinal Le Febvre, il prelato francese ribelle, ultratradizionalista, che mai aveva accettato le riforme del Concilio Vaticano II°, realizzando, ai tempi di Giovanni Paolo II°, un vero e proprio “mini scisma”.

Papa Benedetto aveva lasciato ai vescovi la possibilità di individuare una o più parrocchie personali (senza giurisdizione territoriale) per i gruppi di fedeli che desiderassero celebrare la liturgia tridentina, non senza causare opposizione e disorientamento, come denunciò con forza, quasi immediatamente, dalle colonne de “Il sole 24 ore”, il cardinal Carlo Maria Martini.

A Pistoia, il vescovo mons. Fausto Tardelli ha, da qualche tempo, scelto la Chiesa di S. Vitale, in pieno centro e incaricato, non il parroco, don Timoteo, ma il sacerdote ultratradizionalista polacco don Cristoforo Dabrowski, parroco di Tobbiana e Fognano, di celebrare, il sabato pomeriggio (la sera nei mesi estivi) la messa nell’antico rito preconciliare.



Don Dabrowski era stato coinvolto alla fine dello scorso inverno in una bufera di polemiche, anche a livello nazionale, per un questionario molto invasivo distribuito alle famiglie della sua parrocchia, in occasione delle imminenti benedizioni pasquali.

Il sacerdote polacco, da poco insediato nella parrocchia stessa, era arrivato, fra l’altro, a chiedere, nel questionario distribuito in tutte le case, se gli abitanti del suo territorio erano giunti a “scelte politiche anticristiane”, suscitando un vespaio di polemiche, peraltro affrontate con un certo piglio (“Se ho suscitato reazioni, vuol dire che ho fatto centro, non è un ritorno al Medioevo, ma alla parola di Gesù Cristo”).

Tornando ai fedeli tradizionalisti, essi sono riuniti a Pistoia, sotto le insegne di una combattiva associazione: “Associazione Madonna dell’Umiltà” che raccoglie un “gruppo di fedeli cattolici promotori dell’applicazione del motu proprio: Summorum Pontificum nella Diocesi di Pistoia”.

L’associazione, collegata ad altre realtà simili regionali e nazionali, si esprime, oltre che attraverso la celebrazione preconciliare nella Chiesa di S. Vitale, e ad altre iniziative di sensibilizzazione, con un blog frequentemente aggiornato: www.associazionemadonnaumiltapistoia.blogspot.it .

Vi troviamo articoli di vario tipo: dalla appassionata difesa della preghiera dei fedeli polacchi ai confini dello stato (nell’anniversario della battaglia di Lepanto), alla promozione del Rosario a catena del 13 ottobre per: “chiedere alla Madonna di salvare l’Italia e l’Europa dal nichilismo islamista e dal rinnegamento della fede cristiana”, ad accuse, indirette, ma nemmeno troppo velate, all’attuale pontificato di avere promosso un “cristianesimo senza Dio, ridotto a solo umanesimo”.

Non è difficile cogliere l’eco della lettera di fine settembre scorso in cui 62 firmatari, studiosi e sacerdoti cattolici, tra cui il banchiere, ex presidente dell’IOR Ettore Gotti Tedeschi, hanno accusato papa Francesco di tendere verso sette eresie, in particolare per aver aperto la possibilità di accedere ai sacramenti alle persone divorziate.

Secondo i firmatari della lettera, mediante "parole, atti e omissioni" Papa Francesco avrebbe: "causato grande e imminente pericolo per le anime".

Ma chi sono i cattolici tradizionalisti pistoiesi?

Come si rapportano con il resto della comunità e della cittadinanza?

Incontrarli non è semplice.

In questo periodo la messa secondo il rito romano, per impegni del sacerdote, è temporaneamente sospesa, mentre il numero di cellulare segnalato sul blog, appartenente all’ex presidente, risulta disabilitato.

L’associazione, al momento, si esprime soprattutto e un po’ paradossalmente con uno strumento tutt’altro che tradizionale, il blog appunto.

Uno dei coordinatori dell’associazione “Madonna dell’Umiltà” è un parrocchiano della chiesa di Vicofaro. Certamente agli estremi opposti rispetto alla associazione che, ad esempio si scaglia contro il neo arcivescovo “ progressista” di Milano Mario Delpini, colpevole, secondo ciò che leggiamo sul blog, di aver invocato “meno Eucarestia e più Parola” assecondando una grave “deriva neoluterana”.

In uno dei vari appostamenti a vuoto realizzati per incontrare i membri dell’associazione è capitato, quasi per caso, di incontrare, nei pressi della Chiesa di S. Vitale, il parroco titolare, Don Timoteo.

Il sacerdote, di fronte a un giornalista, non si è sbottonato più di tanto. “Non li conosco bene, non mi sento di giudicare”. Traspariva, però, un po’ di preoccupazione scioltasi solo dopo aver compreso di aver di fronte solo un cronista, non un supporter del rito preconciliare.

Il sacerdote, informatosi sul nome di chi lo interpellava, ha risposto, regalando un sorriso: “Ti chiami Francesco, allora prega per il tuo Francesco, che il Signore lo conservi, per carità”.

Alla fine, consultando con attenzione il blog dei “custodi della tradizione pistoiesi”, si scorge, sempre in latino, una preghiera per il Papa attuale (probabilmente nella speranza di favorire un suo cambio di rotta), certamente da loro meno amato del suo predecessore Benedetto XVI°, ora emerito.

Il quesito, antico come la Chiesa, cresciuta, fin dall’inizio, nonostante scismi e divisioni, è se anime così apparentemente inconciliabili come, ad esempio, questa associazione e la pastorale di Vicofaro, da cui diversi componenti provengono, possano tenersi insieme.

La tensione e il distacco, a volte anche manifesti, sono evidenti, anche a Pistoia, ma realtà come questa, sembrano preferire ignorarsi. Salvo episodi singolari, come il “controllo di cattolicità”, promosso dai militanti di Forza Nuova (che nulla sembra avere a che fare con l’associazione tradizionalista) nei confronti del funambolico parroco di Vicofaro, Don Massimo Biancalani.

Francesco Lauria

venerdì 13 ottobre 2017

Partito Democratico di Pistoia: un'illusoria unità di facciata




Il Partito Democratico pistoiese si avvicina alla tornata congressuale.
Congressi e passaggi decisionali assolutamente non partecipati hanno contraddistinto questo partito negli ultimi anni, ma la batosta elettorale di giugno (non una sconfitta, una disfatta), cui si sono affiancate moltissime altre vicende simili in altri comuni, avrebbe dovuto smuovere qualche coscienza.
Purtroppo non è avvenuto nulla di tutto ciò. Coloro che "decidono" hanno deciso un'altra volta. Tutti insieme a tagliare nastri, in ogni situazione, tra un'inaugurazione e l'altra, hanno spartito ogni singolo posto, fin nel più piccolo e sconosciuto dei circoli, compresi quelli che non si riuniscono da anni.
Avendo partecipato, pur con alcune varianti, a spettacoli simili in questi anni, ho provato un grande moto di affetto e comprensione per coloro che, pur con ritardo, a questa tornata si sono sottratti al gioco: Marco Frediani, Andrea Massai, Matteo Venturini, solo per fare qualche nome di peso.
La novità relativa di questo autunno 2017 è un'illusoria unità di facciata, simile a quella che ha portato al finto sostegno unitario al sindaco uscente Samuele Bertinelli, senza verità, senza discussione, senza partecipazione, al di là di quello che viene "venduto" nei media.
Una bella fetta di prosciutto sugli occhi di tutti: meglio fischiettare e far finta di niente: "non è colpa nostra, sono i cittadini che non hanno capito".
Il tema di fondo, al di là delle persone, (nuove o riciclate) è da un lato, la fortissima debolezza amministrativa, incapace di una visione alternativa a quella di un centrodestra pistoiese in apparente grande spolvero e in perdurante luna di miele con la città, (vedi le mozioni "etniche" contro i negozi cinesi presentate all'ultimo consiglio comunale da uno sprovveduto consigliere comunale del Pd), dall'altro la cappa opaca attraverso la quale si prendono (e si disfano) le decisioni vere nella città e nel territorio.
La cosa è ancor più grave, di fronte allo sbando del mondo civico e di sinistra dei comitati cittadini, uscito con le ossa rotte e afono dalla contraddizioni emerse nell'ultima tornata amministrativa e, dopo tante aspettative, fuori dal consiglio comunale. Tutto questo proprio quando si assiste all'opportunistico voltafaccia delle maggioranza al potere sulla speculazione edilizia nell'area ex Pallavicini, peraltro avvallata da tutto il Pd e dagli alleati nella passata consiliatura (ha ragione, su questo, Roberto Bartoli, a proposito lui che fa, torna come figlio prodigo per la seconda volta?).
Insomma il centrodestra pistoiese ha di fronte un'autostrada in città, ma "coloro che decidono" nel Pd sono ora ben più concentrati a non toccare equilibri interni, a reinserirsi nelle liste bloccate dell'approvando "Rosatellum" e a non perdere posti guadagnati miracolosamente in un governo regionale prossimo ad un significativo, anche se dall'eairo non scontato, cambio di equilibrio.
Chi ci perde comunque, sono, alla fin fine, Pistoia e la buona Politica: chi si perde sono quei militanti, sempre meno perchè stanchi di essere "scrutatori non votanti", che mettono al servizio di un'idea e delle persone competenze, tempo e passione.
E che, a giugno, hanno urlato forte, "il re, pardon, il Pd è nudo!"

Francesco Lauria

sabato 7 ottobre 2017

My name is Adil: una storia migrante, un'emozione che ci parla. (ora anche al Cinema!)



Sono passati dieci mesi da quando, nel gennaio 2017, My name is Adil è stato proiettato al Centro Studi Cisl, nell'ambito del seminario: "Chi decide nella globalizzazione?".

Quando abbiamo promosso questa proiezione sapevamo che il film aveva già riscosso, nelle tante presentazioni in giro per l'Italia, e non solo, un grande successo, suscitando emozione, aprendo dibattiti, confronti.

La presenza, quella sera, di Adil Azzab (protagonista della storia e regista del film), insieme a Roberta Villa, coproduttrice del film, nell'ambito del gruppo creativo Imagine  Factory, ci ha permesso poi di incontrare la realtà viva dopo la narrazione, dopo le immagini, la musica, la poesia.

Ma anche dopo un viaggio, di andata e ritorno, tra la campagna marocchina e Milano, tra la pastorizia e la metropoli, tra dialoghi difficili e rischi di sradicamento, ma anche nelle costruzione, non semplice, di una nuova identità mista, in cui non prevale il no, no, ma il si con, la connessione delle esperienze, delle mappe, dell'umanità.

Tutto questo e molto di più è My name is Adil: un progetto ultraindipendente che, con la sola forza del passaparola e dell'energia, in particolare, di una forza della natura come Roberta Villa, ha raggiunto i festival di tutto il mondo, contribuendo a farci riflettere su di noi e sull'altro, raccontando, senza mai edulcorarla, una storia vera: di un ragazzo e di una famiglia, di una migrazione e di un (temporaneo) ritorno, raccontando anche noi italiani: invitandoci a riscoprire le nostre radici molteplici: "perché solo se conosci da dove vieni, puoi sapere chi sei".

Dopo aver vinto ben cinque festival in tre continenti diversi:  (“Open Frontiers” – Ventotene Filmfestival;  “Best Arabic Movie” – Alexandria Mediterranean Filmfestival; “Migration and coexistence” – Religon Today Filmfestival di Trento; “Best Feature Film” – Miami Indipendent Festival – Monthly edition 2017; Prix des Cine Clubs: Tangiers international Film festival) My name is Adil sbarcherà in tante sale italiane, compreso il cinema Stensen di Firenze, il 24, 25, 26 ottobre 2017 (info: http://www.mynameisadil.com/?page_id=39&lang=it ).

L'8 novembre 2017, poi, Adil Azzab e Roberta Villa voleranno a Bruxelles per la presentazione del film presso il Comitato Economico e Sociale Europeo.

Ma un film e un'emozione si possono solo parzialmente raccontare, è meglio, rispettivamente, vederlo e viverla.

Per questo: il 24, 25, 26 ottobre, fate spazio alle vostre agende, chiamate i vostri amici, portate i vostri figli.

In un tempo di spaventosa superficialità dell'emergenza, rispetto al tema migratorio, occorre fare spazio, al cuore e alla mente: occorre incontrare realtà viva e poesia danzante...


My name is Adil.

Francesco Lauria

Elenco sale:
http://www.unisonacinema.it/mynameisadil/

Adil a Radio Dee Jay
http://www.deejay.it/news/my-name-is-adil-la-storia-vera-del-bimbo-pastore-che-voleva-studiare/538064/

domenica 1 ottobre 2017

Autonomie cooperanti o in frantumi?
Riflessioni a margine di due viaggi, tra solitudine, memoria e cooperazione.

di Francesco Lauria

                                                   


Quando il mio amico Michele Nardelli ha intrapreso, mesi fa, il suo “viaggio nella solitudine della politica” (Sifr: lo scarto di pensiero fra curiosità e meraviglia: http://www.zerosifr.eu/ ) ne sono subito rimasto coinvolto e affascinato.
Nel suo percorso che, come sempre, è partito dalle valli trentine, Nardelli ha incontrato numerosi compagni di strada e di viaggio.
Nei miei occhi e nel mio cuore sono indelebili le esperienze condivise nella “comunità maledetta” di Priejdor, e i cuniculi delle miniere di ferro che furono usati per essere colmati di cadaveri durante la guerra civile bosniaca, ma anche le tante esperienze significative di rinascita di comunità, portate avanti in un’ottica di cooperazione decentrata dal basso fondata sulla ricerca della reciprocità.
Mentre osservo il viaggio di Michele, assisto, grazie al sindacato, alla partenza di un altro viaggio, che parte proprio  fra poche ore.
Lo vivo grazie alle parole di Elisa Fiorani, amica e collega, della Cisl Emilia Romagna e dell'Iscos:
“Così si parte per un viaggio contro l'odio e l'oblio. 'Accompagnati da Luca Leone, lunedì partiremo per il Viaggio della Memoria, organizzato da Cisl Emilia Romagna e Iscos Emilia-Romagna, con un gruppo di 80 persone per ricostruire alcune delle principali tappe del conflitto di Bosnia e per ascoltare e confrontarsi con alcune delle vittime, dei sopravvissuti all’ultima guerra europea. Dal 2 al 7 ottobre visiteremo il campo di concentramento della II guerra mondiale di Jasenovac, la città di Sarajevo e le sue vene aperte, Višegrad divisa dagli orrori e unita dal suo storico ponte, Srebrenica e Tuzla, ma soprattutto avremo l’occasione di incontrare testimoni straordinari di quel periodo e della Bosnia di oggi come Jovan Divjak, Amor Masovič, Bakira Hasečić, Pero Sudar, le donne di Srebrenica e, insieme a Selma Hadzihalilovic, alcune organizzazioni della società civile che lottano per i diritti umani in Bosnia Herzegovina come l’Associazione Jadar, Fondacija Cure/CURE Foundation, Lotos -Zaštita mentalnog zdravlja,Spid Club Amel Kapo, l’Associazione delle donne vittime di guerra, Centar za ženska prava / Women's Rights Center anche grazie al sostegno di Iscos Emilia-Romagna.'
Il video preparatorio del viaggio è raggiungibile a questo link:

                         


In queste contraddizioni di ferite e rinascita entrambi questi percorsi non possono ignorare l’ incontro con la dimensione smarrita dell’Europa: e i fatti, quasi incredibili, pur se lungamente attesi, di Barcellona e della Catalogna.
Alcuni giorni fa il blog di Michele Nardelli si è arricchito di un intervento di Federico Zappini, che riflette anche sugli imminenti referendum di due altre regioni “ricche”, come la Catalogna: Veneto e Lombardia.
                                                   


E’ un testo illuminante che si sofferma sulle diverse “solitudini” delle autonomie territoriali, ma anche sulle prospettive di cooperazione in un’ottica europea e, in generale, sovrannazionale.
Riporto qui le conclusioni, che condivido pienamente, allargando la riflessione alla società civile e al sindacato, cioè alle diverse direzioni della sussidiarietà., e rimandando chi è davvero interessato a una lettura completa.

(…) Gli accadimenti di questi giorni – gli arresti e la prova muscolare del governo spagnolo, l’indignazione delle autorità e dei cittadini catalani, la scadenza del prossimo primo ottobre – non hanno a che fare (solo) con il referendum che divide Barcellona e Madrid. Parlano ai territori che già sono autonomi e che, come nel caso trentino, vivono una crisi di crescita delle condizioni sociali, culturali e partecipative che sono alla base, molto più dei documenti formali, della specialità autonomistica. Parlano alle città – tra queste anche la Barcellona della sindaca Ada Colau – che negli ultimi anni sono state laboratorio per una nuova stagione municipalista, innovativa e sostenibile, solidale e inclusiva. Parlano alle aree interne, alle terre alte, alle zone (diventate) marginali che hanno subito processi di impoverimento, spopolamento e omologazione e che vedono nell’autogoverno una possibile via per riaffermare la propria particolarità e il proprio bisogno di attenzione e cura. Parlano a tutti quelli che credono ci sia bisogno di una stagione politica contemporaneamente territoriale ed europea, che respinga il riemergere dei sovranismi in nome di un nuovo modello democratico, aperto e orizzontale, caratterizzato da pratiche di responsabilità, di mutualismo, di reciprocità.

Ciò che sta succedendo – anche rispetto al prossimo referendum veneto/lombardo, che in molti osteggiano, sottovalutano o addirittura deridono – non va interpretato come un rischio per la tenuta delle entità statuali di tradizione novecentesca e, di conseguenza, dell’architettura europea, ma come uno stimolo per mettere entrambi positivamente sotto pressione. Per immaginare – in opposizione alla strenue difesa delle Costituzioni vigenti e dei confini nazionali, dell’integrità culturale e dell’omogeneità etnica – l’inizio di un percorso costituente che sappia coniugare autogoverno dei territori e sovranazionalità, cura per il Bene Comune che si riconosce all’interno di una propria comunità di destino e nuovo approccio cosmopolitico che ci vede tutti parte di una comunità sola che abbraccia il mondo intero.

Autonomie cooperanti. L’utopia di un’Europa che si fonda sull’autogoverno territoriale.

di Federico Zappini

C’è vita oltre i referendum convocati da Zaia e Maroni. E’ c’è spazio per discutere di autonomia e autogoverno senza dover necessariamente andare a ruota della propaganda – tutta economica e opportunistica – leghista. Dentro “Il viaggio nella solitudine della politica” abbiamo già avuto modo di incrociare la questione in diverse occasioni. Attraversando il Trentino, e le sue difficoltà nell’affrontare il percorso di scrittura del Terzo Statuto. Incontrando cittadini e cittadine che nell’area dolomitica e alpina da anni – in Veneto come in Friuli, o nelle valli Lombarde – si interrogano e praticano sul fenomeno delle proprietà collettive e la gestione dei beni comuni. Ne emerge un interessante – e non privo di contraddizioni – movimento di persone, tra loro anche molto diverse, che guardano con curiosità e attenzione alle prospettive federaliste. Sarebbe sbagliato non tenere in considerazione questa ricchezza di punti di vista, lasciando che ognuno approcci i prossimi referendum senza una minima riflessione collettiva.

Nel corso del fine settimana che condurrà alla scadenza referendaria il viaggio ci porterà sulle strade della Padania (concetto politico dal dubbio significato, ma utile per inquadrare lo spazio geografico che visiteremo) parlando di immigrazione e cooperazione internazionale, di petrolio e nucleare, del mito della velocità, della politica civica e delle sue possibili declinazioni. Per la data del 22 ottobre abbiamo immaginato una tappa nel paese di Pieve di Soligo, luogo di nascita e di vita di Andrea Zanzotto, cantore del territorio e del limite. Concetti che devono essere cari a chi oggi è interessato a mettere in campo seriamente un discorso che faccia della responsabilità dell’autogoverno un tratto distintivo del prossimo futuro a livello quantomeno europeo. Il testo che segue è un invito a chi ne abbia voglia di partecipare ad una conversazione mattutina (dalle 10.00 alle 13.00, in un luogo che segnaleremo al più presto) che vuole sortire l’effetto di spostare in avanti il dibattito, stabilendo relazioni significative tra territori e comunità diverse.
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Venti di indipendenza. Propositi di autonomia. Provo almeno ad abbozzare, come contributo a un più ampio confronto necessario e urgente, una riflessione su due temi – affini e pure distanti, spesso confusi e mal interpretati – tornati alla ribalta dentro la fitta agenda di consultazioni popolari che ci attende, la più riconoscibile e attesa delle quali è quella prevista per il primo di ottobre in Catalogna.
Lo faccio cercando di orientarmi all’interno di uno scenario che – in Catalogna come in Scozia, in Italia o nel Kurdistan iracheno – sta alzando in maniera significativa i toni dello scontro senza però garantire un impatto rilevante sul dibattito legato alle prospettive dell’Europa da un lato e alle articolazioni – non da oggi in difficoltà – della politica, rappresentativa e non, a livello locale come globale.
Vale quindi la pena di tenere l’inquadratura larga, non lasciandoci sopraffare dal particolare che distoglie l’attenzione dalla visione d’insieme, e procedere con la dovuta cautela lungo un tratto di strada  dal fondo dissestato. Coltivando l’ambizione di evitare da un lato il politically correct – e le zone di confort che normalmente abitiamo – dall’altro il riflesso condizionato che genera l’automatico posizionamento su uno dei due fronti contrapposti, dando per scontato che tale polarizzazione tra pro e contro l’attivazione – in termini anche radicali e diffusi – di processi volti all’autogoverno territoriale esaurisca tutte le possibili alternative in campo. Praticare la terza via, un pensiero non allineato e (possibilmente) originale, è in queste condizioni l’unica strada percorribile, benché metta nella posizione perfetta – sia che si parli dell’autodeterminazione catalana che del referendum veneto e lombardo – per finire schiacciati tra incudine e martello. In una posizione di disagio, ma obbligata dal contesto di partenza. Né per l’unità indissolubile dello Stato. Né per l’indipendentismo che tende a alimentare fratture e chiusure identitarie. 
Elefanti in una cristalleria, questo siamo. Una cristalleria stracolma di storie e memorie (spesso conflittuali e altrettanto spesso frutto di ricostruzioni parziali, fantasiose o addirittura false), di fragili equilibri (politici, sociali ed economici), di tentazioni plebiscitarie – ah, il popolo! – e uguali e contrarie tensioni conservatrici e neo-nazionaliste. Affollata di retorica e altrettanto conformismo, a volte ammantato di obbligato realismo, altre di presunta radicalità. Un bel guazzabuglio, figlio anche dell’impatto avuto dalla globalizzazione sui territori, trasformati – anche in questo caso estremizzando le opposte visioni – in piccole patrie dai tratti romanticamente (iper)identitari, con l’ipotesi autarchica sullo sfondo, o in rami d’azienda che possono essere gestiti secondo le logiche delle economie di scala, dei costi standard, della riduzione, o peggio cancellazione, di tutti i corpi intermedi. Il tutto attraverso processi decisionali sempre più centralizzati e verticali.
Da dove partire quindi per sbrogliare questa matassa? Forse dovremmo cercare le motivazioni dell’autonomia nel futuro e non nel passato e rendere l’autogoverno un’utopia politica piuttosto che la riproposizione di miti etnici fondativi. Solo così potremo riconoscere le opportunità offerte da una futuribile gestione a più livelli della governance europea (con rinnovato spirito federalista) tentando di intestarci il “ruolo di sperimentatori curiosi di meccanismi democratici, partecipativi e inclusivi di autogoverno, in nome di un territorialismo cosmopolita capace di muoversi dentro le geografie variabili che il tempo che viviamo richiede.“ [1] Adriano Olivetti – nel suo “Ordine politico delle Comunità”, anno di pubblicazione 1944  – si esprimeva così a riguardo:
“Nè lo Stato né l’individuo possono da soli realizzare il mondo che nasce. Sia accettato e spiritualmente inteso un nuovo fondamento atto a ricomporre l’unità dell’uomo: la Comunità concreta.” [2].
Giuseppe De Rita [3], qualche anno dopo, ritornando sul tema della prossimità come concetto non solo geografico, ma sociale e politico, rilanciava la necessità di tornare al piccolo (ma non solo e isolato) come cellula di partenza ideale di un modo altro di intendere il ruolo della politica:
“E’ sul territorio che oggi si formano interessi e identità collettivi; è sul territorio che si esplica la voglia di viver bene su cui si radica oggi buona parte del consenso sociale; è sul territorio che si può richiamare la responsabilità di tutti (imprese, enti locali e singoli) a rilanciare lo sviluppo e a razionalizzare spese e interventi […]”
Bisogna ripartire dalla prossimità perché é lì che sta il valore. Serve ripartire dal vicino. Non perché vada riaffermata una tendenza al localismo, ma perché sarà solo descrivendo percorsi comuni che ricompongano comunità (ibride per composizione e destino, capaci di contaminarsi in maniera virtuosa per attitudine) che sapremo articolare riflessioni all’altezza delle sfide dell’interdipendenza globale e capaci di sorpassare la dimensione – troppo piccola e troppo grande nello stesso tempo – degli Stati nazionali, impegnati in questa fase storica a riaffermare la propria (pericolosa) centralità. Non chiusura o esclusività, non privilegio ma diffusa pratica dell’autogoverno e valorizzazione delle specificità di ogni contesto, arricchite da continuo dialogo e confronto.
Dialogo e confronto intesi come strumenti utili – ecco la seconda provocazione metodologica da cui muovere il “che fare” – ad accompagnare il pensiero e l’azione di una futura Europa federale ricompositiva di autonomie cooperanti per futuri scenari, valoriali e pratici, dai tratti condivisi piuttosto che concorrenti nella rilettura rancorosa e rivendicativa del proprio passato.

Questo modo di vedere le cose corrisponde alla domanda “E poi?” che pone Michele Kettmajer e alla proposta che Davide Buldrini, da Bruxelles, avanza invitandoci a essere produttori di un cambio di paradigma nell’avvicinarci ai concetti di Nazione e popolo:

“Cominciamo tutti quanti col non guardare solo il cortile di casa, e non pensare che la nostra identità finisca dove finisce il quartiere, il fiume o il confine della nostra nazione. Oltre i confini le identità si rafforzano e si arricchiscono a vicenda. E’ la natura umana. Perché nessun uomo è un isola. E non lo è nemmeno l’Europa.”
Gli accadimenti di questi giorni – gli arresti e la prova muscolare del governo spagnolo, l’indignazione delle autorità e dei cittadini catalani, la scadenza del prossimo primo ottobre – non hanno a che fare (solo) con il referendum che divide Barcellona e Madrid. Parlano ai territori che già sono autonomi e che, come nel caso trentino, vivono una crisi di crescita delle condizioni sociali, culturali e partecipative che sono alla base, molto più dei documenti formali, della specialità autonomistica. Parlano alle città – tra queste anche la Barcellona della sindaca Ada Colau – che negli ultimi anni sono state laboratorio per una nuova stagione municipalista, innovativa e sostenibile, solidale e inclusiva. Parlano alle aree interne, alle terre alte, alle zone (diventate) marginali che hanno subito processi di impoverimento, spopolamento e omologazione e che vedono nell’autogoverno una possibile via per riaffermare la propria particolarità e il proprio bisogno di attenzione e cura. Parlano a tutti quelli che credono ci sia bisogno di una stagione politica contemporaneamente territoriale ed europea, che respinga il riemergere dei sovranismi in nome di un nuovo modello democratico, aperto e orizzontale, caratterizzato da pratiche di responsabilità, di mutualismo, di reciprocità.


Ciò che sta succedendo – anche rispetto al prossimo referendum veneto/lombardo, che in molti osteggiano, sottovalutano o addirittura deridono – non va interpretato come un rischio per la tenuta delle entità statuali di tradizione novecentesca e, di conseguenza, dell’architettura europea, ma come uno stimolo per mettere entrambi positivamente sotto pressione. Per immaginare – in opposizione alla strenue difesa delle Costituzioni vigenti e dei confini nazionali, dell’integrità culturale e dell’omogeneità etnica – l’inizio di un percorso costituente che sappia coniugare autogoverno dei territori e sovranazionalità, cura per il Bene Comune che si riconosce all’interno di una propria comunità di destino e nuovo approccio cosmopolitico che ci vede tutti parte di una comunità sola che abbraccia il mondo intero.