I CONFINI DI MARLIANA.
Il mondo in un
paese, quasi ai margini.
“Non vogliamo che Pistoia diventi come alcuni comuni della
nostra montagna, come quello di Marliana, dove la sostituzione della
popolazione con masse di profughi, quasi tutti islamici, è ormai
inesorabilmente iniziata…”
Questa frase, pronunciata da un candidato di estrema destra,
nel bel mezzo di un confronto pubblico al primo turno tra candidati sindaci a
Pistoia, mi aveva fatto definitivamente decidere, dopo averlo rimandato alcune
volte, di programmare un viaggio proprio a Marliana, per capire qualcosa di
più.
A rendermi ancora più curioso, qualche giorno dopo, ci si era
messa la notizia del battesimo di nove rifugiati nella chiesa di San Niccolò,
officiata dal vescovo di Pistoia e dall’infaticabile parroco del paese, Don
Alessandro Carmignani.
Volevo vedere con i miei occhi il famoso Albergo Europa, la
pietra dello “scandalo”, una struttura ricettiva che, nel marzo del 2012, era
stata riaperta, dalla sera alla mattina, per accogliere una quarantina di
rifugiati, in piena crisi umanitaria post crollo dello stato libico.
Appena si arriva nella piazza del paese, però, è un altro albergo,
completamente in rovina, ad attirare l’attenzione.
E’ “La Terrazza”, un pugno allo stomaco per chi ancora
ricorda la vocazione turistica di Marliana e di molte delle sue frazioni,
sbocciata negli anni sessanta, insieme al boom della vicina Montecatini e
declinata tristemente dalla fine degli anni ottanta.
Albergo “La Terrazza”
Mentre aspetto Don Carmignani, come di consueto in ritardo,
comincio a chiacchierare con Margherita Giuliani, insegnante in pensione, impegnata
in molteplici attività e, in anni lontani, assessore alla cultura.
“Sono nata qui, la mia famiglia è marlianese da generazioni”,
esordisce Margherita.
“Chi dice che il degrado del paese è iniziato tre-quattro
anni fa con i profughi –continua -mente sapendo di mentire. L’albergo Europa,
chiuso nonostante la sua bellissima posizione, è solo uno degli esempi possibili.
La Giuliani è un fiume in piena, si è occupata in passato,
per ragioni di famiglia, anche di ricezione turistica e ristorazione.
“Marliana e gran parte del suo territorio, penso al Goraiolo,
Serra Pistoiese, Panicagliora, Femminamorta - racconta la Giuliani -aveva visto
un fiorire del turismo legato a due fattori. Il primo: un tipo di vacanza,
quello degli italiani degli anni post boom economico, che spesso permetteva
nella nostra montagna soggiorni lunghi di un mese o più; il secondo: il fiorire
del turismo termale a Montecatini, che da qui dista meno di dieci chilometri”.
Nel territorio di
Marliana, oltre a numerosi alberghi e rinomati ristoranti, fiorirono una miriade
di seconde case, costruite spesso senza criterio, al limite delle regole
urbanistiche.
“Il bosco è pieno di queste villette, cresciute come funghi,
molto di più di quello che non appare dalla strada principale”, continua l’ex
insegnante.
Oggi la parola che più di frequente si legge sulle villette è
il cartello vendesi, anche il bosco ha visto il declino dei castagneti e la
diffusione sempre più ampia dell’acacia.
“Oltre a problemi e
situazioni oggettive che hanno colpito anche altri territori di montagna e
termali - conclude la mia interlocutrice - posso affermare che a Marliana è
mancata, spesso, la cultura dell’accoglienza”.
In realtà non tutto è così negativo, nel frattempo, chiusi
gli alberghi, si è sviluppata una discreta rete di Bed and Breakfast,
frequentati da persone del Nord Europa, olandesi soprattutto.
Sono turisti, però, che cercano di poter camminare nella
natura, praticano il trekking, e spesso trovano sentieri interrotti e non ben
curati.
La rivincita del bosco, nei pressi
del “Goraiolo”.
Mentre è arrivato Don Carmignani, come in una scena di un film,
sulla salita che porta alla canonica della chiesa di San Niccolò, arriva
faticosamente, a singhiozzo, un vecchio pulmino blu, non senza spegnere il
motore a metà della salita stessa.
A bordo diversi rifugiati e un animatore, anch’egli africano,
che, con un sorriso, prova a chiudere il finestrino, un tempo elettrico, a suon
di botte sui vetri.
Don Carmignani, sinceratosi dello stato del mezzo e salutati
gli occupanti, tutti in attesa di iniziare nei locali della parrocchia il corso
HCCP, si aggiunge alla conversazione, insieme a Lucky Ove , richiedente asilo
nigeriano.
“Anche io, quando arrivai a Marliana, dieci anni fa, confida
il parroco, ebbi qualche problema di ingresso. Il prete precedente, alla
notizia della sostituzione, si era barricato in canonica e celebrava la Messa
solo per alcuni fedeli a lui graditi. La situazione, surreale, durò due anni”.
“Marliana, continua Don Carmignani, sconta il fatto di non
essere situata su una strada di ampia comunicazione, non arriva il metano e,
fino a qualche tempo fa, persino nella piazza principale non aveva campo il
cellulare”.
Il luogo, in realtà, ha ancora potenzialità, si trova in una
posizione baricentrica tra Pistoia, Montecatini, Pisa, Lucca e Firenze.
L’arrivo progressivo di tre comunità di rifugiati, (oltre
all’albergo Europa, si sono aggiunte le case gestite dalla cooperativa “Gli
Altri” e i migranti accolti in parrocchia) si è inserito in un territorio che
viveva già una serie di confini interni storici.
Il territorio è fortemente diviso tra la parte che gravita
sulla Valdinievole e quella di Momigno e Montagnana, tutta proiettata su
Pistoia.
Il confini di Marliana seguono i fiumi, la Nievole e il Reno.
In un comune di tremila abitanti, ci sono due scuole
elementari e molto poche sono le iniziative che uniscono i due versanti che
fanno vita quasi separata, hanno dialetti diversi e collegamenti
infrastrutturali scarsi.
Alcuni anni fa, ricorda Carmignani, tentammo di organizzare
una sorta di “Giochi senza frontiere” del Comune, con scarso esito.
Il rovescio della medaglia, in positivo, ricorda il parroco è
che qui ci si conosce comunque tutti, c’è l’abitudine di lasciare le chiavi di
casa sulle porte esterne.
Così, alcuni anni fa, il mondo, molto diverso dai turisti americani
della patinata Montecatini degli anni settanta, è arrivato a Marliana.
Margherita Giuliani, Alessandro
Carmignani, Lucky Ove
Dando seguito ad una richiesta della prefettura, proprio
nell’albergo Europa, sono arrivati i primi profughi, circa una quarantina, con
una prima gestione di sostegno “umanitario”, gestita direttamente dalla
proprietà dell’albergo Europa, continuata poi con il supporto, meramente
formale, di una cooperativa della Valdinievole.
Anche la parrocchia, con un progetto diverso, accoglie otto
rifugiati, in rete con quelli ospitati, a Pistoia, a Vicofaro e Ramini, mentre
poco meno di una ventina sono quelli coordinati dalla cooperativa sociale “Gli
Altri”.
Ragazzi tra i venti e trent’anni, africani, in prevalenza
provenienti dalla Nigeria, che hanno affrontato un percorso lungo, pericoloso e
doloroso, nel deserto africano, fino alla Libia e alle coste siciliane.
Sono arrivati a Marliana, per caso, del tutto ignari dei
luoghi, a seguito della ripartizione tra territori del programma “Sprar” del
Ministero degli Interni.
Quasi tutti vivono nel limbo dell’attesa, lunga, infinita,
degli esiti dei colloqui con la commissione ministeriale che giudica l’idoneità
per il diritto d’asilo.
Come Lucky che sta per aprirsi nel raccontarmi la sua storia, lasciandomi
senza fiato e senza parole.
Lucky ha ascoltato con pazienza tutta la storia di Marliana.
Porta una croce molto evidente sulla maglietta, è tra i nove migranti
battezzati la settimana precedente da Don Carmignani.
Nigeriano, nel paese africano faceva il falegname.
E’ a Marliana esattamente da un anno e quattro giorni,
all’inizio fatico a comprendere appieno la sua storia, non solo per la barriera
linguistica.
Era un padre e un marito felice Lucky, di formazione
cristiana evangelica, genitore di un bimbo piccolo e con un’altra figlia in
arrivo.
Mi racconta di rapporti tribali e familiari ancestrali, in
cui la famiglia del padre, scomparso, pretendeva di reintrodurlo, in quanto
primogenito.
Il racconto si fa lento, circostanziato.
Continue pressioni per entrare in una sorta di società
segreta e prendere il posto del padre, capo di un gruppo animista, da cui si
era già precedentemente distaccato.
Una notte, terribile che cambia la vita. La violenza esplode
enorme mentre lui è fuori casa. A farne le spese il figlio, piccolissimo,
ucciso in un lago di sangue, quasi come in un agghiacciante rito iniziatico.
Nessun aiuto dalla polizia, complice e vittima di un potere
senza controllo.
Di lì la scelta di fuggire. La via di terra, il deserto,
l’arrivo in Libia e la traversata via mare, fino a Palermo.
Senza soluzione di continuità, per il destino casuale su cui
interviene il progetto di accoglienza del Ministero dell’Interno, la sua nuova
destinazione è Marliana.
Gli chiedo come si trovi, dopo aver attraversato così tanti
confini, nel piccolo centro della Valdinievole.
Gli occhi del giovane uomo africano mi guardano, non fuggono
l’incontro. “Non è la vita che volevo. Il mio pensiero è sempre rivolto a chi è
rimasto a casa, alla mia piccola figlia che non ho mai visto se non in
fotografia. L’attesa del giudizio della commissione sull’asilo – continua Lucky
- è snervante, lunghissima, soffro il poter fare davvero poco.”
Mi dice di non trovarsi male a Marliana, ha conosciuto molte
persone, è comunque grato di aver trovato un “posto”, sia pure provvisorio. Un
paio di episodi non gradevoli, marginali, sembrano nulla rispetto a tutto
quello che ha passato.
Chiedo, prima di chiudere il taccuino, il nome della piccola
bimba che lo aspetta in Nigeria, o in qualsiasi altra parte del mondo.
Il nome, nella versione originale africana, è troppo
difficile per me.
Lucky prende la penna, afferra il foglio, trova uno spazio
tra i miei appunti disordinati.
Scrive la traduzione inglese del nome della sua
secondogenita.
GIFT. Dono.
Non ho nulla da aggiungere, se non un abbraccio.
Francesco Lauria
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