DOMENICO PAPARELLA: una lezione esemplare di vita, attraverso il lavoro
Il 20 settembre 2017 Domenico Paparella avrebbe compiuto settanta anni.
I collaboratori del Cesos, il
Centro Studi Economici Sociali e Sindacali, promosso dalla Cisl, che questo
“operaio, sindacalista, intellettuale”, guidò fino alla morte, nell’estate del
2009, ricordano bene la data e le ottime crostate alla frutta che lui stesso
cucinava e portava in ufficio ogni anno, in quell’occasione.
Pur con un’umanità non semplice da
decifrare ai primi incontri, Paparella credeva
davvero nei giovani e su di loro scommetteva e investiva molto. Per noi ricercatori
e collaboratori, è stato un maestro, una guida, un testimone che è impossibile
dimenticare.
Non lo deve fare nemmeno la Cisl , e ciò è la ragione
principale, oltre ai sentimenti, di questo scritto.
Non va dimenticata la passione
per le relazioni industriali, nel senso ampio del termine, il saper collegare
l’esperienza diretta di attore delle relazioni di lavoro e una rielaborazione
scientifica mai separata dalle dinamiche concrete.
Paparella era nato nel 1947 in Basilicata, da
famiglia poverissima che, dopo varie vicissitudini, si era trasferita a Genova.
Ed a Genova, quindicenne, entrò
all’Ansaldo, a sedici anni iniziò l’impegno sindacale e si formò con l’ingresso
nel’66 in un comitato paritetico aziendale.
Nel ’71, fu chiamato da Carniti a
Roma, a occuparsi dell’Ufficio sindacale dei metalmeccanici, fu componente
della Segreteria n.le dell’FLM e segretario organizzativo nazionale (e “ricostruttore”)
della Fim-Cisl.
Paparella era stato segretario
nazionale della Fim-Cisl tra il 1977 e il 1986, anni cruciali per metalmeccanici
che condussero, nel 1984, alla rottura della FLM unitaria.
Dopo aver ricoperto cariche molto
importanti nel sindacato aveva saputo costruire un solido percorso di ricerca,
con periodi di approfondimento all’estero.
Andrebbero riletti i suoi articoli
(in particolare sull’Olivetti) nella rivista “I Consigli” che contengono
ancora, dopo quarant’anni, elementi di grande interesse.
Si deve anche a lui l’apertura,
nel 1979, del celebre “Romitorio” per la formazione, ad Amelia.
Passato in confederazione fece
parte a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del Tuac, organismo sindacale dell’Ocse
e divenne, nel 1989, Segretario del Cesos.
In uno dei suoi ultimi saggi, a
introduzione del libro curato con il Presidente del Cesos Guido Baglioni: “Il
futuro del sindacato”, scriveva: “La
valorizzazione delle persone deve essere collocata pur sempre nel
riconoscimento di appartenenze e scelte sociali più ampie. Per il sindacato la
sfida è dare il senso all’agire dell’individuo, dargli il crisma di legittimità
sociale. Per evitare la “miopia sociale” il sindacato è chiamato a produrre
risorse etiche e morali a cui gli individui possano fare ricorso.
L’individualizzazione può essere regolata attraverso un mix efficace di azioni
di mercato, dalla mano pubblica e da istituzioni solidaristiche e trovare
fondamento e legittimità in una regolazione collettiva. Il sindacato può
assumere un ruolo di ricomposizione sociale ed essere il luogo di
riconoscimento delle individualità in una logica solidaristica e legittimante.
Deve riconsiderare i confini della sua rappresentanza per includere le figure
sociali e lavorative marginali e discontinue e le nuove forme di lavoro
autonomo per le quali si ripropone il primato dell’appartenenza alla
professione. La crescita della dimensione individuale pone perciò al sindacato,
e alla Cisl in particolare, la necessità di irrobustire la sua natura
associativa”.
Nel parlare di accerchiamento sociale
Paparella ricordava il tema di una dimensione contrattuale che superasse i
confini nazionali e irrobustisse la tutela del lavoro nella globalizzazione dei
mercati e della produzione. Aveva molto investito sul tema delle relazioni
industriali europee attraverso l’intensa progettazione transnazionale del Cesos
e la collaborazione strutturata con la Fondazione di Dublino.
Un anno prima di morire aveva
terminato anche una riflessione molto approfondita sull’evoluzione del modello
organizzativo, sul “divenire” della Cisl.
Un testo cui teneva molto e che, si lamentava, non era
stato sufficientemente preso in considerazione. In esso si affrontavano i
fondamenti dell’identità cislina, a partire dalla rottura della CGIL unitaria e
dall’affermazione della nozione di un sindacato fondato sull’autogoverno delle
categorie. Una concezione che si confrontò con l’applicazione pratica
dell’azione sindacale e contrattuale in contesti molto diversi: dai settori
industriali, al lavoro pubblico, dal settore agricolo, ai servizi. Affrontava
la peculiarità del sindacato industriale nella confederazione cislina e l’evoluzione
della struttura sindacale territoriale, oltre che la crescente importanza della
dimensione internazionale. Concludeva con una serie di proposte e una
considerazione di fondo:
l’impianto regolativo che il sindacato aveva elaborato negli anni di massima
affermazione dell’industria fordista riguardava ormai meno della metà dei
lavoratori.
Temi declinati in innumerevoli iniziative, spesso portate
avanti a livello territoriale, si pensi a Rubens: progetto di sistema per
programmazione, monitoraggio, valutazione e gestione dei servizi di
orientamento, impiego, incrocio domanda offerta, supporto a disoccupati e fasce
deboli, in uso presso i Centri per l’impiego liguri.
Scriveva:
“L’organizzazione deve prefigurare alcune
linee guida evolutive degli assetti organizzativi sulla quale interrogarsi ed
agire:
a) la ricomposizione
della rappresentanza e della tutela contrattuale del lavoro standard e non
standard è possibile in ambito territoriale in una logica intercategoriale. (…)
b) la devoluzione di
poteri fa assumere agli attori istituzionali periferici un ruolo centrale nella
determinazione della qualità della vita dei cittadini. La confederalità,
espressa dalle strutture orizzontali e la loro capacità di creare “coalizioni
sociali” per l’attuazione di efficaci politiche di welfare, costituisce un
patrimonio di esperienze da sviluppare in un’ottica di accentuata specializzazione
del loro ruolo;
c) l’assetto
plurisettoriale delle categorie deve corrispondere alle esigenze di governo dei
processi di sviluppo e di regolazione pattizia delle condizioni di impiego per
filiere economiche ampie per le quali la capacità di intervento nelle politiche
di sviluppo ai livelli nazionale ed europeo è strettamente connessa
all’organizzazione della rappresentanza, all’assetto della contrattazione
collettiva ed alle pratiche partecipative realizzate nelle imprese e nei
territori;
d) la centrale
confederale deve sempre più, spogliandosi dei compiti impropri di supplenza,
affermare la sua funzione di sintesi politica e culturale dell’organizzazione,
di struttura in grado di produrre cultura ed identità, di assicurare la
rappresentanza di tutto il mondo del lavoro e di partecipare alla governance
generale del sistema Italia nella dimensione europea. (…)
Collegava, quindi, la partecipazione dei lavoratori allo
sviluppo della bilateralità e alla riforma della contrattazione.
Su Conquiste del Lavoro nel 2007
affermava: “la riforma degli assetti
contrattuali non può più essere considerata una pratica amministrativa: si
tratta di una vera e propria vertenza cui è necessario dare impulso mediante la
mobilitazione dei lavoratori. (…) Il decentramento della contrattazione
costituisce un elemento strategico per il rilancio della produttività e di una
politica di alti salariali. L’assenza di contrattazione collettiva ha avuto
rilevanti implicazioni sulla capacità d’intervento collettivo sull’organizzazione
del lavoro, sulla mobilità professionale, sui criteri di valutazione e di
remunerazione, sull’accesso alla formazione continua.”
Concludeva con l’autonomia dalla
politica: “la riforma degli assetti
contrattuali costituisce un’occasione per spostare decisamente il baricentro
della strategia del sindacato italiano, e della Cisl in particolare, dal
“cielo” della politica all’attenzione alle condizioni materiali di lavoro e
alla sua remunerazione che costituiscono, a ben vedere, fin dalla sua
fondazione, la sua stessa ragion d’essere”.
Per
anni aveva collaborato con la Società
Biblica Italiana: è stato, come ha sottolineato Guido
Baglioni: “un credente che ha vissuto la
sua vita fino in fondo”.
Domenico Paparella terminò la sua
esistenza terrena, dopo aver affrontato con fede e determinazione una straziante malattia legata al suo lavoro di tanti anni
prima, quando maneggiava l’amianto. Un frammento infinitesimale, ha scritto
Raffaele Morese che: “una mattina,
saldando nella sua fabbrica (l’Ansaldo di Campi, a Genova, che ora non c’è più)
deve essergli entrato nei polmoni – dopo quasi quarant’anni, si era svegliato”.
Ricordarlo oggi, a quasi dieci anni dalla scomparsa, significa non
rinunciare a raccogliere il suo esempio per chi cerca di attraversare nuovi sentieri
con lo stesso obiettivo: “umanizzare,
stabilizzare, professionalizzare, democratizzare, equilibrare” le relazioni
di lavoro.
Senza paura di percorrere strade innovative, mettere in discussione
paradigmi consolidati, con la consapevolezza dell’importanza di studio e
sperimentazione.
Buon compleanno Domenico.
Portiamo, in noi e nella Cisl, il ricordo incancellabile di chi, in
fabbrica, in uno dei sindacati più grandi d’Europa (la FLM ), nei centri di ricerca, nelle
lotte con gli ultimi, (come dimenticare le mobilitazioni emancipatorie con i
ragazzi non vedenti a Genova?), e, infine, nel coraggio di affrontare una
malattia infima e dolorosa, ha offerto una testimonianza indimenticabile di
vita e di lavoro. Ti portiamo nel cuore
e cerchiamo, imperfettamente, di trasferire ciò che hai insegnato nel nostro
impegno quotidiano.
Francesco Lauria, Manuela
Mansueti, Anna Rosa Munno, Flavia Pace, Luana Petrillo, Vilma Rinolfi, Alberto
Gherardini
Pubblicato su Conquiste del Lavoro del 20 settembre 2017.
Pubblicato su Conquiste del Lavoro del 20 settembre 2017.
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