martedì 17 aprile 2018


LA SCOMPARSA DI GIANCARLO NICCOLAI FONDATORE DEL CENTRO STUDI DONATI DI PISTOIA


E’ morto Giancarlo Niccolai, già dipendente della Breda e sindacalista della Fim-Cisl, poi consigliere regionale della Dc in Toscana, fondatore e presidente del Centro Studi Donati di Pistoia. Una delle sue ultime decisioni, lo scorso mese di marzo, è stata l’adesione del Centro alla rete c3dem. Lo ricordano Francesco Lauria e Alessandro Carmignani: https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2018/04/LA-SCOMPARSA-DI-GIANCARLO-NICCOLAI-def.pdf


domenica 11 marzo 2018


Aldo Moro: il tempo vissuto e il tempo sognato.


C’è un angolo di Piazza San Francesco a Pistoia in cui un osservatore attento può fermarsi e leggere nella pietra questa frase: “Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.
Qualcuno fra i tanti ragazzi e ragazze all’uscita delle scuole, che, aspettando la corriera, incontrano queste parole, magari stringendo un panino nelle mani, si è certamente chiesto chi fosse quell’Aldo Moro, autore di questa riflessione.
Quaranta anni sono tanti. I giovani dell’epoca cominciano ad essere nonni, e il terrorismo, sempre presente nella società, prende forme completamente diverse rispetto al tempo di allora.
La tragedia di Aldo Moro e, insieme, di un intero paese, con le tenebre della storia in cui è avvolta ancora oggi, non è cancellabile, scalfibile, mentre il rischio degli anniversari, delle commemorazioni superficiali è quello di comprimere una figura così significativa, come la sua, solo in quei terribili giorni di marzo, aprile, maggio 1978.
Giorni iniziati con il sangue versato degli agenti della scorta e terminati agghiaccianti e decisivi, in una Renault 4 rossa, parcheggiata beffardamente nel cuore di Roma, dell’Italia, tra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista Italiano.
Aiutato da un libretto bellissimo: “Aldo Moro e Vittorio Bachelet. Memoria per il futuro”, edito, esattamente dieci anni fa, dalla Casa Editrice Il Margine, provo a strappare al tempo dell’oblio alcune parole di un giovanissimo Aldo Moro, non ancora trentenne, in cui, all’inizio della sua esperienza di impegno civile, si cimenta su: “che cos’è la politica, al di là della politica”.
“… l’esercizio delle attività politiche è fecondo, a patto che sia a servizio della causa dell’uomo e pronto perciò a riconoscere i propri limiti, ad inchinarsi alle realtà anguste e sacre della vita. Le quali si riproducono, moltiplicate, nell’esperienza sociale ed animano ed elevano l’attività politica che ne garantisce il libero svolgimento, sempre che non sia esaurita la persona umana nella sua individualità originale, nella sua ricchezza di valori, nel segreto fermento della sua esperienza esclusiva.” (Aldo Moro, Al di là della politica, pag.82)
Nel segreto fermento della sua esperienza esclusiva… Non sono parole qualsiasi, non stanno ferme, immobili un in tempo, in uno spazio, ma riguardano ogni uomo, ogni donna, ogni stagione, ogni vita.

Il giovane Moro, in un contesto di ideologie totalizzanti e divisive, ci regala pagine davvero senza tempo, allarga lo spazio della coscienza e la misura del respiro.  

E’ utile proseguire, sempre nel libretto citato, con testi di Moro, scelti da Pietro Scoppola:
“Il gioco instabile degli equilibri politici, gli urti, aperti o velati, degli interessi, i compromessi inevitabili con la forza son cose certo necessarie, ma che si arrestano dinanzi alla soglia inviolabile dello spirito umano, il quale conosce gli eroismi della vita morale, le creazioni fantastiche, le estasi religiose, gli ardimenti del pensiero.
Bisogna che la politica si fermi in tempo per non guastare queste cose; bisogna che essa, riconoscendo volenterosamente i suoi limiti, lasci all’uomo il possesso esclusivo di questo suo mondo migliore, intimo e originale. Essa è soltanto strumento di questa elevazione ed è nel suo essere subordinata e pronta a servire efficacemente la totalità complessa e misteriosa della vita la sua innegabile grandezza.
Perché senza politica, senza sana e libera politica, manca all’uomo, l’ambiente nel quale costruire il suo mondo, manca la libertà necessaria per essere libero. Ma se la politica vuole essere tutta la vita, se una sola, e sia pure essenziale, libertà lavora per esaurire le altre, più vere e sostanzialmente costruttive, l’uomo è finito e la vita perde la sua chiarezza e ricchezza”. (ibidem).

Libertà che lavora per esaurire altre libertà…

Nel tempo vissuto, nelle stagioni o, per usare un termine a lui caro, nelle “fasi” della vita, Aldo Moro ha potuto misurare, fino all’estremo, lo stringersi dello spazio della coscienza e l’allargarsi della follia dell’ideologia che, mischiata ad altre trame oscure, risucchia prima la libertà e poi la vita, le vite, in un’illusione totalitaria che ruba il tempo e il respiro, uccide ogni possibile mediazione e produce sterile deserto.
Il tempo sembra scadere. La corriera sta per arrivare, a Piazza San Francesco.
Quella pietra rischia di tornare un appoggio niente più. Sovrastata, una volta all’anno, da una corona di fiori distratti.
Non è più il tempo totalizzante del “Noi”, che ha travolto Aldo Moro, ma il tempo totalizzante dell’”Io, non è più il tempo dell’orizzonte di senso che risucchia coscienza e libertà, ma il tempo dell’espulsione dell’orizzonte di senso.

Eppure, forse, non è del tutto così.

Come in un sogno altre parole di Aldo Moro correggono queste troppo facili conclusioni, questa corriera così inesorabilmente in orario.
Aldo Moro questa volta non sussurra, ma alza la voce, ci raggiunge, ci richiama…
“Come siamo facili tutti alla condanna! Come ci piace straniarci dal nostro tempo, per scuotere da noi pesanti e fastidiose responsabilità! Non amiamo il nostro tempo perché non vogliamo fare la fatica di capirlo nel suo vero significato, in questo emergere impetuoso di nuove ragioni di vita, in questa fresca e misteriosa giovinezza del mondo.”  (Aldo Moro, Il nostro tempo).
In questa fresca e misteriosa giovinezza del mondo…
Come ricordava Pietro Scoppola, solo cinque anni più tardi rispetto al tempo delle pallottole e della fine del tempo vissuto di Aldo Moro, occorre tenere a mente il senso profondo della parola commemorare: “non solo ricordare insieme, ma ricordare rendendo nuovamente attuale”.
E allora, come in un sogno, dalla pietra allo smartphone, dall’aratro, alle stelle, all’Ipod, (come scriveva Paolo Giuntella…) prima dell’arrivo di quella corriera, mi piace immaginare come rimangano di fronte a noi un tempo vissuto e un tempo sognato che si intrecciano.
C’è tempo.
C’è ancora tempo per parlare con quel ragazzo o quella ragazza che, incuriositi dalla frase scolpita di Aldo Moro, scopriranno in quella pietra il segno di una speranza che sfugge alla morte e che trasforma la politica, se all’interno dei propri limiti, in uno straordinario deserto da abitare, una periferia, forse non un centro, a volte debordante come quarant’anni fa, in cui è ancora la “distanza tra giustizia ed ingiustizia” a fare la differenza.
Immagino quel ragazzo e quella ragazza ascoltare una canzone, mentre leggono le parole di Moro nella pietra, con occhi diversi…

“Dicono che c'è un tempo per seminare
E uno che hai voglia ad aspettare
Un tempo sognato che viene di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare (…)
È tempo che sfugge, niente paura
Che prima o poi ci riprende
Perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
(…).
E da un anno non torno 
Da mezz'ora sono qui arruffato 
Dentro una sala d'aspetto 
Di un tram che non viene (…)
C'è un tempo bellissimo, tutto sudato
Una stagione ribelle
L'istante in cui scocca l'unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo
Da molto lontano
È il tempo che è finalmente
O quando ci si capisce
Un tempo in cui mi vedrai
Accanto a te nuovamente
Mano alla mano
Che buffi saremo
Se non ci avranno nemmeno
Avvisato
Dicono che c'è un tempo per seminare
E uno più lungo per aspettare
Io dico che c'era un tempo sognato
Che bisognava sognare.”

E in cui, nel sogno come nel vissuto, Aldo Moro, il suo sogno di giustizia e di politica, di democrazia compiuta fino al sacrificio più grande, sono ancora con noi, senza nemmeno essere obbligati ad avvisarci tramite un troppo consueto ed abitudinario anniversario.


venerdì 8 dicembre 2017

SOSPENSIONE ATTIVITA' DEL BLOG


Questo blog è nato, quasi un anno fa, come riflessione sul territorio pistoiese anche in accompagnamento all'esperienza elettorale, pur senza un impegno diretto e mantenendo un profilo critico e indipendente.

Quasi subito, però, i temi locali si sono affiancati ed intrecciati a quelli globali e generali.

Ora l'esigenza è, senza dimenticare il territorio, quella di allargare lo sguardo, affrontare un mondo senza bussola, cercare le esperienze che propongono realmente un cambio di paradigma.

Per fare ciò occorre prendersi lo spazio di recuperare il fiato e le energie ed è il motivo che, a tempo indeterminato, l'aggiornamento di questo blog è sospeso.

Francesco

sabato 18 novembre 2017

LA GALLERIA, FRATELLI D'ITALIA, LE STOFFE E I CINESI.


Oggi, con mio figlio Jacopo, dopo un po' di tempo in cui, forse anche inconsciamente, avevo deciso di girare alla larga, sono passato, a Pistoia, dalla Galleria. All'angolo, quella che avrebbe dovuto essere la casa delle tante associazioni promotrici di un nuovo modello di sviluppo era desolatamente non solo chiusa, ma, direi, idealmente, murata. Proprio a fianco, aperto e con molti giovani dentro, invece, un altro fondo sfitto riprendeva vita e brusio. Non ho visto bene cosa raffigurassero quadri e poster (forse è meglio così...), ma avevo di fronte la nuova sede pistoiese di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, architrave della nuova maggioranza ora al governo dell'ex roccaforte rossa. Io e Jacopo eravamo di passaggio: la nostra meta era un affascinante quanto retrò piccolo, stracolmo, negozio di stoffe, proprio dietro la Galleria. Dovevamo acquistare un pezzo di tessuto per sistemare creativamente un giacchetto invernale usato che ci era stato donato per Jacopo. Una chiacchierata con il proprietario, pistoiese, sulla sessantina, mentre Jacopo tentava con metodo l'impossibile conta delle infinite diverse stoffe presenti nel negozio. Sono stato travolto dal lamento e dall'accusa: avevo osato chiedere dove fosse esattamente la vicina sartoria cinese. Il proprietario mi ha guardato, scandendo: "Io sono contro la globalizzazione. Distrugge i nostri standard di qualità della vita." Un negozio, aperto da 49 anni, nello stesso posto dalla sua famiglia, combatte l'impari lotta contro la logica dell''usa e getta, contro la digitalizzazione, contro la pervasiva concorrenza, appunto cinese. E' chiaro che lo sguardo è limitato e un po' semplificatorio. Però le persone sono arrabbiate, non capiscono, reagiscono con rabbia e disprezzo, non riescono a darsi una spiegazione d'insieme. A dir la verità, questa sera, fatico anche io. Non possiamo rinchiuderci nelle piccole patrie, nelle comunità escludenti, nè pensare che sia un delitto acquistare una stoffa su internet, rinunciando magari a toccarla con mano e a farci consigliare da una persona in carne ed ossa. Però, io sono certo che quel negozio, quel piccolo negozio di provincia raccoglie tante storie della città, tanta umile sapienza artigiana che nel nostro tempo turboveloce facciamo davvero fatica, ancora, ad apprezzare, a vedere. Poi, in realtà, da sempre, le stoffe sono anche simbolo di commerci e di incontri. Magari romantici e inaspettati. Di contaminazione. Di una cosa sono certo: alla rabbia della paura e dei nuovi nazionalismi non dobbiamo rispondere con la distanza dei giudizi: ma con la profondità di uno sguardo che si interroga come traghettare la poesia di quel negozio retrò, nelle innovazioni e nell'interdipendenza che non si può fermare, ma nemmeno rinunciare a governare. Dal basso e credendo davvero che un mondo diverso sia possibile e necessario. Senza annullare tradizioni e identità aperte, ma con la consapevolezza che senza il noi e il con, qualunque io è destinato, prima o poi, a soccombere. A Pistoia come, un tempo, a Samarcanda.
Francesco Lauria

lunedì 13 novembre 2017

Ernest Simoni: dai lavori forzati all’abbraccio di Papa Francesco e della città di Pistoia

di Francesco Lauria

Pubblicato  su: http://www.reportpistoia.com/pistoia/item/53560-ernest-simoni-dai-lavori-forzati-all-abbraccio-di-papa-francesco-e-della-citta-di-pistoia.html



PISTOIA - Un abbraccio lunghissimo quello tra don Ernest Simoni e Papa Francesco, a Tirana, il 21 settembre 2014.
Un gesto che sorprese anche i giornalisti che accompagnavano il Papa: Francesco pianse a lungo e di fronte a tutti nella cattedrale di Tirana, incontrando Don Ernest.
Una situazione inconsueta per il Papa venuto dalla fine del mondo, di fronte a questo semplice prete che aveva vissuto per 28 anni nelle carceri albanesi del dittatore Henver Oxha, pur di non rinnegare la fede cristiana nel paese che aveva imposto l’ateismo di Stato.
Un carcere durissimo, quello politico di Durazzo, dove i detenuti politici/religiosi erano condannati ai lavori forzati, sottoposti ad atroci torture, a turni massacranti nelle miniere con anche sessanta gradi di escursione termica e con privazioni costanti del sonno.
Don Simoni ha ricevuto un altro forte abbraccio, il 12 novembre 2017.
Quello di Pistoia al “suo cardinale”, in occasione del conferimento al sacerdote albanese nella Basilica della Madonna dell’Umiltà a Pistoia, del premio internazionale per la Pace dedicato a Giorgio La Pira
Un premio destinato al Cardinal Ernest Simoni. Due anni dopo il primo abbraccio, Papa Francesco ha infatti ordinato cardinale questo uomo semplice ed umile, interessato a testimoniare non solo la propria incredibile vicenda personale, ma soprattutto la sofferenza collettiva, troppo spesso sottovalutata, del popolo albanese sotto la dittatura comunista.

Padre Simoni, quando trova qualche difficoltà ad esprimersi in italiano, parla in latino e ce lo spiega: “Durante la prigionia ho celebrato la messa in latino a memoria, così come ho confessato e distribuito la comunione di nascosto”.
Nei primi anni di lavoro forzato, Simoni, doveva spaccare pietre con una mazza di ferro pesante quasi venti chili.
Ma Ernest Simoni, il “cardinale albanese” è , appunto, soprattutto per la comunità albanese, anche il “cardinale di Pistoia”.
E’ insediata, infatti, nella nostra città e provincia una fortissima comunità albanese che ha avuto in don Simoni uno tra i propri padri spirituali, poiché il sacerdote è stato, per molti anni, punto di riferimento e accompagnatore di questa comunità, così come di quella di Prato. Don Simoni ha poi accompagnato le comunità della diaspora albanese anche in altri stati, come il Belgio e gli Stati Uniti.
“Ho sempre detto ai miei concittadini migranti, allora tutti poveri, di credere nella speranza della Fede – ci racconta Don Simoni nella basilica della Madonna dell’Umiltà, subito prima che inizi la cerimonia di premiazione promossa dal Centro Studi Donati.
“Ho avuto, in questi lunghi anni, la grazia speciale della salute, per continuare a stare a fianco del mio popolo, per trasformare, ogni giorno, anche il più duro in un giorno di Pace.”
“E’ un grazia – ha continuato Simoni – continuare ad amare tutti i poveri, farlo nel nome di ciò che Gesù Cristo ci ha insegnato. L’immagine di Cristo e delle sue sofferenze mi ha aiutato anche di fronte alle torture più disumane.”
Passando all’oggi, il cardinale, con il suo sguardo gentile, ha continuato: “L’Italia, la Toscana, Pistoia sono state terre di accoglienza per tantissimi albanesi: qui molte famiglie hanno trovato casa, lavoro, luce, speranza.”
Un tema quello dell’integrazione troppo spesso dimenticato per fare posto alla retorica dell’emergenza e della paura.
A fianco del cardinale c’è don Elia Matija, parroco a San Baronto, fiero delle sue origini, da poco, ha ricevuto, dal sindaco di Pistoia Tomasi, anche la cittadinanza italiana.
Don Elia è la dimostrazione concreta delle parole di Ernest Simoni: è arrivato in Italia da bambino, sui gommoni e, racconta, insieme a tanti piccoli, c’erano anche droga e armi, in quel viaggio, insieme, della disperazione e della speranza.
Nel momento della consegna del premio rimane il tempo, per il cardinale ultranovantenne, di ringraziare la città di Pistoia con un ricordo storico.
Don Simoni cita il vertice del 1944, sul finire della seconda guerra mondiale, tra Stalin Churchill e Truman in cui Stalin non volle includere Papa Pacelli, perché “non aveva divisioni armate”.
Il Papa, racconta Simoni, aveva dalla sua una sola arma: l’insegnamento di Gesù: “ama i tuoi nemici”.
Un’arma nonviolenta che è alla base della storia, incredibile e bellissima, di questo straordinario e coraggioso testimone di Pace.

giovedì 9 novembre 2017

GIORGIO LA PIRA E I GIOVANI
A 40 dalla scomparsa, Pistoia premia l’associazione ispirata all’ex sindaco di Firenze
di Francesco Lauria 




PISTOIA - Solo pochi giorni fa è stato celebrato il quarantesimo anniversario della morte di Giorgio La Pira, il sindaco “santo” di Firenze, terziario domenicano e padre costituente della Repubblica.
Pensieri ed opere del professore siciliano trapiantato in Toscana sono state ricordate, ma non va dimenticata una delle eredità tuttora “vive” di La Pira: l’associazione impegnata nella formazione dei giovani da lui ispirata già in vita e che oggi ne porta orgogliosamente il nome.
L’Opera La Pira per i giovani quest’anno verrà premiata, a Pistoia, con il premio internazionale dedicato al sindaco di Firenze.
Opera La Pira è un’associazione giovanile che, fin dalle origini, si è radicata in due grande strutture di formazione: i villaggi “La Vela” di Castiglione della Pescaia, e “Il Cimone” di Pian degli Ontani in provincia di Pistoia, cui si è affiancata, più recentemente, la “Casa Alpina Firenze” di Rhêmes Notre-Dame in Valle D’Aosta.
In questi tre centri si svolgono i campi scuola estivi, elemento centrale di tutta l'attività educativa dell’associazione.
La sede dell’Opera è a Firenze, in via Gino Capponi, dove lo stesso Giorgio La Pira ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.
Ha sottolineato Giancarlo Niccolai, presidente del Centro Donati, da sempre organizzatore del premio: “l’idea di assegnare all’Opera il premio La Pira per la Pace, in un anno così significativo per chi si ispira alla figura del sindaco di Firenze, è stata “naturale”, soprattutto nell’ottica di una memoria che non si spegne, ma si trasmette alle nuove generazioni”.
Ma che cosa è e come agisce l’Opera La Pira?
Fondatore dell’Opera fu un’altra figura molto significativa del cattolicesimo sociale fiorentino: Pino Arpioni, che ne è stato presidente fino alla sua morte avvenuta il 3 dicembre 2003.
Arpioni decise di dedicarsi interamente alla formazione dei giovani durante i due anni passati in vari campi di prigionia tedeschi durante la guerra: “mi sono reso conto – dichiarò alcuni anni prima di morire - che la mia formazione religiosa era valida e mi ha aiutato a superare quei due anni di prigionia. Ma mi sono reso anche conto che alla mia formazione mancava l’aspetto sociale e politico; ho capito che forse il mondo cattolico, nel periodo fascista, non aveva operato come avrebbe dovuto affinché non si arrivasse alla guerra. Quindi è maturata in me l’idea che la formazione dei giovani deve tenere conto di questi due aspetti, quello religioso e quello politico - sociale”.
Questa sua attenzione si consolidò negli anni ‘50, quando fu Assessore nella Giunta Comunale di Firenze nelle amministrazioni guidate da La Pira (1951 - 1965) e quando – dopo diverse esperienze di campi giovanili “mobili” – iniziò nel 1954 la costruzione di un villaggio “fisso” proprio nella montagna pistoiese, a Pian degli Ontani.
Oggi, l’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira – Onlus è un’associazione coordinata da un nutrito gruppo di volontari: in più di 60 anni di attività sono stati oltre cinquantamila i ragazzi e le ragazze coinvolti.
Quando era in vita la presenza di Giorgio La Pira tra i giovani ha esercitato una notevole influenza nell’allargare l’orizzonte della loro formazione nel campo della solidarietà internazionale.


Qualche esempio: dopo una serie di scambi con giovani inglesi della Chiesa anglicana, particolare rilievo hanno assunto gli incontri tra i giovani italiani e russi, in tempi in cui era ancora forte il potere sovietico.
Nel 1984 l’Opera prese infatti l’iniziativa di celebrare il 25esimo anniversario del primo viaggio in Russia di La Pira recandosi a Mosca, Zagorsk e Leningrado con un gruppo di cento giovani, dopo aver definito con le autorità dell’URSS un nutrito programma di incontri a livello politico, sociale e religioso. L’iniziativa ha poi consentito il perfezionarsi di un vero rapporto di scambio, con un viaggio di giovani italiani a Mosca e a S.Pietroburgo e il reciproco viaggio dei giovani russi – di Mosca e di San Pietroburgo – in Italia, ospiti del Villaggio La Vela per l’ormai consolidata esperienza del “Campo internazionale”, riservata agli universitari.
Il desiderio di conoscere meglio e assimilare le “ipotesi di lavoro” di La Pira ha poi spinto l’Opera ad incentrare i propri sforzi sul dialogo multireligioso in Medio Oriente.
L’Associazione si è impegnata e tuttora si adopera sulla scia del “sentiero di Isaia”, la Pace di Gerusalemme tra la “triplice famiglia di Abramo”: Ebrei, Cristiani, Musulmani.
In questa prospettiva partecipano ormai da molti anni al Campo internazionale, oltre ai giovani italiani, russi e da alcuni paesi dell'Africa, anche giovani ebrei e arabi, cristiani e musulmani, provenienti da Israele e dalla Palestina.
Elemento qualificante della metodologia dell’associazione è proprio quello del campo-scuola della durata dai 10 ai 15 giorni: nell’esperienza di vita comunitaria è proposto un percorso di formazione “integrale” attraverso la riflessione, lo studio e la preghiera, anche multireligiosa, insieme ad attività ricreative.
I più disponibili vengono poi invitati a partecipare a degli incontri di formazione specifici, durante tutto l’arco dell’anno, in modo da prepararsi con un cammino costante e approfondito di animazione socio-culturale. Ogni estate l’attività educativa coinvolge circa mille ragazzi ed è animata da circa centocinquanta volontari, un terzo di questi nel territorio pistoiese.

Abbiamo incontrato l’attuale presidente dell’Opera Gabriele Pecchioli (a destra) che sarà a Pistoia, il prossimo 12 novembre alla Basilica della Madonna per ritirare il Premio Internazionale La Pira per la pace. 



Quali sono le prospettive e i prossimi progetti dell’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira ad oltre sessanta anni dalla Fondazione?
L'Opera intende continuare ed intensificare il servizio educativo che svolge dando sempre maggiore attenzione alle esigenze formative dei giovani, che cambiano rapidamente: un “accompagnamento” fraterno dei giovani che partecipano alle attività formative e che, secondo il suo metodo, li aiuti, pur davanti a sfide sempre nuove, a crescere come donne e uomini liberi, responsabili e attenti alla vita della comunità in cui sono inseriti. In questo è fondamentale la prospettiva del dialogo ecumenico, interreligioso e tra culture sperimentato da anni (fin dalla fine degli anni settanta, quando questo appariva molto ardito) e che trova nell'annuale Campo Internazionale la sua manifestazione più evidente. L'idea è quella di sviluppare questa singolare esperienza di “dialogo comunitario”, ispirato ai “ponti di unità e pace” pensati da La Pira, aprendo anche nuove piste di dialogo. Allo stesso tempo appare sempre più evidente la necessità di riprendere, con maggiore decisione, il filo mai interrotto della formazione sociale e politica, di cui è sempre più evidente l'urgenza. 
Il premio ottenuto quest’anno testimonia un legame forte con il territorio pistoiese. Come vivete questo rapporto con un territorio apparentemente “periferico” visto da una realtà inevitabilmente legata al contesto cittadino del capoluogo fiorentino?
Il legame con il territorio pistoiese è molto forte e nasce dal fatto che uno dei nostri centri, il villaggio “Il Cimone” si trova sulla montagna pistoiese a Pian degli Ontani. La storia del Villaggio (la “colonia” per i più anziani del posto) è intrecciata con la vita di quella comunità: un rapporto di scambio fecondo che ha visto coinvolti, fin dalla costruzione del Villaggio, moltissimi abitanti di Pian degli Ontani. Il Villaggio, in cui sono stati ospitati migliaia di giovani (fiorentini e toscani, essendo messo a disposizione anche di altre realtà associative cattoliche della nostra regione), non è per noi periferia, anzi: è il luogo “centrale”, soprattutto in inverno, della nostra riflessione e della formazione dei giovani educatori. 
Alcuni libri e articoli usciti in occasione di questo anniversario “lapiriano” hanno cercato di mettere in discussione una certa memoria, a loro parere, “ingiustamente consolidata” di Giorgio La Pira. Come vede questa contesa sull’eredità e sull’interpretazione del vostro padre ispiratore?
Non voglio entrare in polemiche. L'eredità di La Pira appartiene a tutti gli uomini di buona volontà e, soprattutto, alle nuove generazioni: “i giovani sono come le rondini, volano verso la primavera” amava dire il professore. Il pensiero di La Pira riveste una grande attualità: non si tratta, credo, di reclamarsi eredi quanto di lasciarsi interrogare dal suo pensiero. Ricordando, come è stato più volte ribadito, che nulla dell’azione di La Pira è comprensibile ignorando il piano della fede.

sabato 4 novembre 2017

Un amore bandito: lo spettacolo dei detenuti di Rebibbia a Pistoia con il Ceis

di Francesco Lauria
Pistoia - La compagnia “Stabile Assai” è il più antico gruppo teatrale italiano che opera nelle carceri.
Martedì 7 novembre alle ore 21 sarà a Pistoia, al teatro Manzoni, nell’ambito delle iniziative di Pistoia capitale italiana della cultura.
Lo spettacolo che verrà rappresentato: “Un amore bandito” narra la storia d’amore tra Michelina Di Cesare e Franceschino Guerra, due giovani briganti, morti a soli 24 anni, con particolare riferimento alle loro ultime ore. Attraverso i loro ricordi viene ripercorsa la storia dell’Italia postunitaria.
L’allestimento è realizzato in collaborazione con il Ceis di Pistoia, il Centro di Solidarietà presieduto da Franco Burchietti. (http://reportpistoia.com/pistoia/item/42205-ceis-35-anni-di-lotta-alla-droga-a-pistoia-fragilita-e-solidarieta-sulla-scia-di-suor-gertrude.html)
La storia del brigantaggio è rievocata con attenzione al ruolo delle donne, ai sentimenti di odio e compassione, al ruolo della Chiesa, alla complessità di un mondo in cui sono state commesse atrocità raccontate con l’occhio triste di un capitano piemontese.
“Un amore bandito” racconta la voglia di vivere di uomini e donne della Lucania, della Campania e di tutto il Sud, attraverso uno spettacolo che la compagnia “Stabile Assai” definisce come una “riduzione in chiave di drammaturgia penitenziaria”.
L’evento nasce in occasione del trentacinquesimo anniversario del Ceis di Pistoia, l’associazione, fondata da suor Gertrude, da sempre impegnata nella lotta alle dipendenze e nei percorsi di riabilitazione.
Il legame tra il Ceis e la compagnia “Stabile Assai” nasce - come spiega il Presidente Franco Burchietti - proprio dall’importanza dei laboratori teatrali in tutte le tre comunità dell’associazione: tra i minori, le madri e gli adulti. Il teatro, infatti, - spiega il Presidente del Ceis - ha grandi potenzialità di recupero e di espressività: è per noi davvero importante”.
Molte le storie peculiari degli attori/detenuti, della compagnia “Stabile Assai”: come Salvo Buccafusca, appartenente alla famiglia mafiosa di Pippo Calò, poi laureatosi in sociologia in carcere e oggi imprenditore edile, Francesco Rallo, detenuto ergastolano appartenente al clan mafioso di Partanna, Cosimo Rega detenuto ergastolano, noto per aver vinto con la regia dei Fratelli Taviani l’orso d’oro di Berlino nel 2012 (era il Cassio di “Cesare deve morire”), Giovanni Arcuri (il Cesare dell’omonima opera teatrale), noto narcotrafficante ed oggi imprenditore, sono tra i protagonisti dell’opera. Da evidenziare, la partecipazione di Rocco Duca, unico agente penitenziario in Italia a recitare con i detenuti.
La scrittura drammaturgica è affidata ad Antonio Turco, il fondatore (nel lontano 1982) della Compagnia, funzionario pedagogico della Casa di reclusione di Rebibbia e della teatro terapeuta Patrizia Spagnoli.
Ma che cos’è e cosa rappresenta la compagnia “Stabile Assai”?
Nata nella Casa di Reclusione Rebibbia di Roma è, come detto, il più antico gruppo teatrale operante all’interno del contesto penitenziario italiano: il suo esordio, come detto, risale al luglio 1982.
La compagnia si è caratterizzata per la stesura di testi del tutto inediti, dedicati ai grandi temi dell’emarginazione, come l’ergastolo (“Fine pena mai”), la follia (“Nella testa un campanello”), la questione meridionale (“Carmine Crocco”), l’integrazione interetnica (“Nessun fiore a Bamako”).
Una realtà, quella che si esibirà al Teatro Manzoni a Pistoia martedì prossimo, che è anche stata insignita della medaglia del Capo dello Stato per la valenza sociale della sua attività artistica.
Per informazioni e prenotazioni sullo spettacolo: segreteria Ceis: 0573368701 segreteria@ceispt.org oppure presso la biglietteria del Teatro Manzoni.
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