domenica 30 aprile 2017

1 MAGGIO:
tra Portella della Ginestra, Pistoia e Pieve a Nievole.
PROMUOVERE GIUSTIZIA, INSIEME.
E' stata molto opportuna la scelta di Cgil Cisl e Uil di celebrare il primo maggio a Portella della Ginestra, in Sicilia, a settanta anni dall'orribile strage di lavoratori avvenuta nel giorno della loro festa.
Ancora oggi non sono chiari i mandanti della strage, ma certe sono le vittime. La dignità del lavoro e chi lottava, a fronte di enormi sacrifici, per conquistarla.
Oggi, primo maggio, ricordiamocelo, festeggiando e pensando, agendo collettivamente per "promuovere giustizia insieme" che altro non è la radice etimologica greca della parola SINDACATO.
Così è stato anche nella manifestazione/corteo partecipata, come ogni anno, tra le vie di Pistoia.
Il primo maggio è una ricorrenza, con tutti i limiti degli anniversari.

Ma è anche l'occasione di riflettere sul lavoro e sul non lavoro oggi, a dieci anni dall'inizio della crisi globale.
L'anno scorso, per Report Pistoia, seguivo, in questi giorni, la difficile e non fortunata vertenza dei lavoratori e delle lavoratrici del calzaturificio Balducci, a Pieve a Nievole.
Una storia di impoverimento industriale e culturale, di svendita del marchio (made in Italy e made in Pistoia) e delle persone.
Oggi quel calzaturificio è destinato a divenire probabilmente una nuova area dismessa nelle vicinanze di uno snodo autostradale, di cui piano piano, si perderà anche la memoria.

Il primo maggio deve essere anche l'occasione di progettare e costruire una società diversa, che fa della sostenibilità il proprio baricentro e il proprio orizzonte.
Anche per il sindacato, per non giocare troppo spesso in difesa, è una grande e quotidiana sfida.

"Ebbi la fortuna di carpire una conversazione tra due padri costituenti (Dossetti e La Pira). Essi pensavano che la parola lavoro, collocata all'inizio della Costituzione, dovesse affermare una estensione straordinaria del suo significato, non tanto in termini di produzione di oggetti o di servizi, ma latinamente, come fatica, labor; e quindi pensavano alla Repubblica fondata sul lavoro come una società frutto della fatica di tutti, del bambino che impara a leggere e a scrivere, di chi giuda l'autobus in città, del grande artista che perfeziona la sua capacità. Questa parola abbraccia la fatica come dovere di ciascun cittadino, come dovere dello Stato - siamo ai primi articoli della Costituzione - di fare in maniera che ognuno possa esercitare pienamente la sua cittadinanza attraverso la fatica del lavoro: chi studia, come chi lavora, chi impara a scrivere come chi si ammala. La società è il frutto di questa compartecipazione della fatica di ciascuno e di tutti, con la cura che ognuno la possa esercitare." - Giovanni Nicolini

Buona festa del Lavoro!
Francesco Lauria
Per approfondire:

sabato 29 aprile 2017



Un partito oligarchico senza ali nè radici.
 Perchè oggi NON voterò alle primarie del Partito Democratico.


Oggi non voterò alle primarie del Partito Democratico.
Non lo farò per una serie molteplice di motivi, in primis a seguito di politiche che, in questi anni, non mi hanno per nulla convinto: schiave, come sono state, del pensiero unico neoliberista, con il passaggio, per me decisivo, dell'ultimo referendum costituzionale.
Ma c'è un altro motivo profondo che mi convince a disertare.
La fortissima crisi di questo specifico modello di partito che, almeno nella città in cui vivo, Pistoia, nelle sue varie forme, è al potere da sempre.
La retorica che sento ripetere in questi giorni su: "l'unico partito democratico, non solo nel nome, rimasto", mi fa riflettere amaramente, di fronte alla mia esperienza concreta.
Per carità, massimo rispetto per i volontari e i militanti, che, proprio in questo momento, aprono i seggi e anche un sorriso compassionevole, verso coloro che erano capibastone di questa formazione politica in città e ora si presentano come verginelle civiche, in vista delle prossime elezioni comunali.
La crisi dei partiti, ovunque in Europa e nel mondo, ma con particolare intensità in Italia, è radicale: sono convinto, non da ora, che occorrano forme nuove di partecipazione, mobilitazione e appartenenza. Con la consapevolezza che il distacco dei cittadini dall'impegno per la polis è forte soprattutto se non si costruiscono, dal basso, forme di rappresentanza e di inclusione alternative.
Non è una sfida semplice, per carità, e va vissuta con modestia e ostinata speranza, ma non è rimandabile, è davvero a rischio la democrazia, ad ogni livello.
Ripubblico due articoli, del 2013 e del 2015, credo significativi, sulla mia deludente, e per nulla singolare, esperienza nel Partito Oligarchico, pardon "Democratico" di Pistoia (Aispoti)... in forma di racconto. 
L'ultimo si conclude con una nota di speranza che si infranse contro un muro di gomma, questa volta regionale, un paio di mesi dopo.

Francesco Lauria

Samuel e il congresso del Partito Oligarchico della città di Aispoti


Quando, ormai un paio di settimane fa, Samuel si decise a varcare la soglia del Circolo dello Snerope del Partito Oligarchico era da molto che non entrava in una sede di Partito. In realtà quello era un soprattutto un circolo ricreativo e probabilmente in precedenza era stato una “Casa del Popolo”.
Samuel pensava di averle viste tutte, in passato, nei congressi locali, regionali, nazionali, europei a cui aveva partecipato. Si sbagliava.
Nella piccola città di Aispoti da alcune settimane era un gran organizzare di tesseramenti e cordate, nemmeno fossimo tornati a quella “Repubblica dei partiti” che era stata descritta tanti anni prima, con le sue degenerazioni, da uno storico molto caro a Samuel.
Il nostro aveva avuto un sentore piuttosto vago di quello che stava succedendo, in fin dei conti si era trasferito ad Aispoti da non troppo tempo ed era completamente al di fuori di certe dinamiche. Intendiamoci. Samuel, forse con qualche eccesso giovanile, non aveva mai accettato compromessi e aveva gettato più di una opportunità politica sull’altare del rispetto delle regole.
Ma non è di Samuel che vogliamo parlare, ci interessano il Partito Oligarchico e la città di Aispoti. Il Partito Oligarchico governava da sempre la città e quindi il controllo del partito e dei suoi circoli era sempre stato fondamentale per gestire, anche dal punto di vista amministrativo, la piccola cittadina.
Prima dei congressi “di circolo” i vari gruppi di potere del partito, di diramazione locale e nazionale, si erano accordati sostanzialmente su tutto, fatta salva una frazione: i cosiddetti “zeinari” puristi che si distinguevano dal gruppo degli “zeinari acquisiti”. Ma nel circolo di Samuel anche i “cosiddetti” puristi si erano inseriti nell’accordo complessivo e non facevano tante storie. Ebbene il congresso ha inizio. Dopo la presentazione, svogliata, del candidato segretario del circolo dello Snerope e dei candidati comunale e provinciale (o più spesso di loro delegati) Samuel si aspettava si aprisse, almeno, un breve dibattito. In fin dei conti si eleggevano i dirigenti del Partito Oligarchico per i prossimi tre, se non quattro anni!
Nulla, la gente continuava ad arrivare, a iscriversi (lo si poteva fare fino all’ultimo) e ad aspettare di mettere una croce o un numero su una lista precompilata su cui vi erano nomi che quasi nessuno conosceva, ma che erano stati decisi giorni prima nel tavolo delle correnti. Quello che succedeva al circolo dello Snerope e in tutta Aispoti, si scoprirà presto avveniva, più o meno con le stesse modalità, in tutto il Paese. Non era possibile esprimere preferenze, esattamente come nel sistema elettorale nazionale che aveva allontanato molti cittadini dalla politica e che il Partito Oligarchico, a parole, combatteva fermamente. Nemmeno laddove, come al circolo, la lista era unica.
La scena aveva dell’incredibile. Di fronte alla presidenza, guidata da un giovane zelante del Partito Oligarchico, vi era una serie di sedie vuote dove sedevano solo Samuel e un ex parlamentare del Partito. Tutti gli altri stavano seduti o sdraiati a chiacchierare sui divanetti in attesa solo di votare quello che era stato loro comandato. Evidentemente nella certezza di trarre qualche piccolo o grande vantaggio dal loro voto. Oggetti o complici di un tradimento della Politica. L’unico che faceva altro era un bimbo molto piccolo, intento a mangiare il proprio sacchetto di patatine, ma che era comunque tra i più attenti dei partecipanti. Terminata la breve presentazione dei candidati, Samuele e l’ex deputato avevano più volte chiesto di poter intervenire, ma erano stati guardati con sorpresa e fastidio dal giovane zelante che aveva aperto le operazioni di voto, senza nemmeno tentare di aprire il dibattito. Una folla di persone, molte di più degli iscritti al Circolo Snerope negli anni passati, aveva iniziato ad assieparsi in una fila rumorosa, ma tutto sommato disciplinata, diciamo volta all’obbiettivo, esattamente davanti alla presidenza.
Sia Samuel che l’altro ingenuo partecipante che pure aveva rischiato, in passato, di essere candidato sindaco della città di Aispoti, si resero rapidamente conto che a nessuno interessava del congresso, o di quello che avrebbero voluto condividere, ma tutti dovevano solo disciplinatamente esprimere un voto. A seconda dei risultati dei voti del circolo Snerope e dei tanti circoli che in contemporanea o quasi stavano votando, i pallottolieri delle correnti avrebbero disegnato la nuova mappa del potere del Partito Oligarchico nella città di Aispoti. Nessuna partecipazione, nessuna appartenenza, nessuna discussione. Solo una procedura, parecchio triste e desolata.
Samuel, a quel punto, messi via i foglietti preparati nella notte precedente per l’intervento, pensava ad un romanzo che aveva letto mesi prima: il bel testo della giovane Alessandra Fiori, intitolato “Il cielo è dei potenti”. Un libro che racconta una difficile, ostinata, infinita corsa verso il potere. Una ricerca del potere (diciamo chiaramente: un “potere per il potere”) tutta raccontata all’interno della repubblica dei partiti, decenni prima del congresso del circolo Snerope che si stava svolgendo. Un libro immerso in fumose sezioni che narra l’ambiguo fascino dei meccanismi tecnocratici del potere. Tessere, correnti e congressi, protettori e compari, dominavano l’orizzonte con l’irrinunciabile lotta per rimanere in alto che rende il compromesso un pane quotidiano. Un grande, spietato gioco che, però, fa sentire vivi.
All’epoca, nei congressi delle sezioni di quartiere si praticava “l’imbussolamento” (voto falsificato in partenza) e tutto ciò portava ai signori delle tessere, alle elezioni comunali, alle commissioni urbanistiche e all’abusivismo edilizio, passando per infinite cene elettorali, sotterfugi, trucchi.Probabilmente il Circolo dello Snerope non aveva oggi più molto a che vedere con un mondo in parte crollato con la fine della Repubblica dei Partiti e che, forse, nella città di Aispoti era un filo meno degenerato che nel romanzo che descriveva la politica in una capitale. Cambiano i meccanismi, i contenitori, le modalità. Ma probabilmente, pensava Samuel, osservando il triste congresso del Circolo Snerope, in una giornata grigia di fine ottobre nella città di Aispoti, finiti i partiti di massa, il sistema è comunque, con alcune varianti, rimasto simile fino ad oggi. E’ il persistere di un certo tipo di politica che uccide la partecipazione, trasforma i partiti in comitati elettorali e ci mostra anche che la società tutta non era e non è poi così migliore.
Qualche giorno dopo, un altro giovane zelante, rieletto segretario provinciale del Partito Oligarchico della città di Aispoti, poteva annunciare con soddisfazione sulla stampa locale la grande partecipazione dei “militanti” e degli iscritti ai congressi che si erano svolti. Auguri.
Francesco Lauria

martedì 25 aprile 2017

Piero Calamandrei, i ragazzi 
e i pastori di Lago Nero
"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra costituzione."
(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955)
                                                                                 Foto di Massimiliano Filippelli

I pastori di Lago Nero

Questa storia si svolge nel comune di Abetone (PT).
Monumenti che si riferiscono a questi fatti:
 - Croce di Lago Nero (*) - Lago Nero, Abetone (PT)
I monumenti segnati con l'asterisco si trovano sul luogo dell'accaduto
Alla confluenza del Sestaione con il fiume Lima si trova la strada statale n°12 dell'Abetone e del Brennero, di primaria importanza per le truppe della Wehrmacht nella fase della loro ritirata progressiva dal fronte italiano verso il territorio tedesco. Proprio in questa aspra zona montana decide di operare la formazione di patrioti guidata dal pistoiese Manrico "Pippo" Ducceschi. Fu questa una delle più importanti formazioni militari partigiane sia per numero di componenti, sia per la zona di operazioni, sia per l'aver continuato la guerra sino alla liberazione di Milano, come formazione autonoma al seguito delle armate alleate. Proprio ai piedi del monte Tre Potenze, in località "Macinelle", operava un distaccamento della formazione "Pippo", formazione che, in data 16 marzo 1944, aveva assunta la denominazione: Esercito di liberazione nazionale - XI zona militare Patrioti.
Dal diario della formazione "Pippo", distaccamento "Lago Nero":
12 luglio 1944. Un forte reparto tedesco guidato, da alcuni delatori fascisti, esegue un attacco di sorpresa in località "Capanna" del Lago Nero, base di rifornimento del distaccamento. Viene accerchiata la baita, nella quale si trovavano 8 pastori ed i patrioti Ribilotta Salvatore e Vannucci Luciano, inviati sul posto per il prelievo giornaliero di viveri. All'apertura del fuoco da parte tedesca viene risposto dai patrioti e dai pastori coll'intento di aprirsi un varco nell'accerchiamento. Nel tentativo periscono 6 pastori e viene catturato Vannucci Luciano […] L'attacco è stato così immediato e violento che i rinforzi provenienti da più distaccamenti sono giunti sul luogo dopo che i tedeschi si erano ritirati […]
Ci sono alcune imprecisioni nel testo, infatti i pastori erano cinque: i fratelli Baldini Dino (1903) e Luigi (1913) di Pietrasanta; i cugini Bertuccelli Leandro (1913, Pietrasanta) e Luigi (1884, Massa Carrara) e Paolini Giovanni (1913, Vecchiano).
Erano disarmati e quindi non poterono sparare!
Anche il cognome del patriota Salvatore Ribilotta, probabilmente non è esatto dato che nel prosieguo del diario della Formazione è trascritto con diverse varianti: Rubillotta, Rubilotto, così come il comune di origine che dovrebbe essere Militello Val di Catania.
Di certo sappiamo che era un renitente alla leva della R.S.I. aggregato alla formazione di "Pippo", ma proveniva dalla "Costrignano"; per lui, a guerra finita, ci sarà anche una proposta per una medaglia al valore (mai concretizzata).
Ma non tutti i pastori furono uccisi sul posto; uno di loro, ferito, fu usato per trasportare a valle due pecore abbattute ma, giunto stremato in località "Ghiaccion di Comino", di fronte all'ingresso dell'Orto Botanico, venne finito con una scarica di mitra.
Del patriota Vannucci, condotto ferito a Villa Bice di San Marcello, forse per essere interrogato, se ne sono perse le tracce, dato che risulta, all'anagrafe, disperso in guerra.
I resti mortali dei pastori vennero ricomposti, dopo alcuni giorni, dalle mani pietose di Argia Bertini e Elena Colò; ad una prima inumazione provvisoria, a guerra finita, seguì il triste viaggio verso le destinazioni di origine.
                                                Il rifugio (giugno 1943)

lunedì 17 aprile 2017

Pausa di riflessione....


Questo blog era nato da una delusione (politica) e giunge, dopo poco più di due mesi, ad un'altra delusione.
L'intento era quello di uno sguardo, dichiaratamente soggettivo, sulla città e il suo territorio.
Ha avuto un discreto successo, ma ora è il tempo di una pausa.

Viviamo tutti in una società che ha una comunicazione compulsiva e spesso si parla e si scrive senza avere più la certezza di poter cambiare davvero ciò che non condividiamo.

Si guarda, ma non si osserva, si comunica, ma non si dialoga davvero, si parla, troppo spesso, senza ascoltare e senza ascoltarsi.

A tutti, o quasi, sarà capitato, sui social media, di mettere un mi piace a qualche articolo o post di altri, senza nemmeno averlo letto per intero.

Io non faccio eccezione.

Mi rimangono nella mente e nel cuore le parole di un grande sociologo della politica, Pino Ferraris, che, citando, nel 2011, Vittorio Foa, ricordava: "Nella prefazione de La Gerusalemme rimandata Vittorio Foa, concludendo la sua ricerca sul fermento industriale e il controllo operaio nell'Inghilterra del primo ventennio del Novecento, così scrive: "Quegli inglesi mi hanno aiutato a capire meglio quello che nel corso di una lunga vita mi è parsa una distinzione importante; che la politica non è solo comando, è anche resistenza al comando, che la politica non è, come in genere si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sè".

Concludendo la prefazione al suo bellissimo testamento intellettuale: "Ieri e domani", Pino Ferraris ammoniva, rispetto al ruolo delle reti sociali informatiche: "(...) Connessione non significa però associazione. Solo l'immaginazione politica e l'insorgere di soggettività critiche cooperanti potrà piegare le nuove tecnologie della comunicazione verso una configurazione associativa in grado di rafforzare il volto emancipatore della politica come capacità della gente di governarsi da sè".

La riflessione su questa sua frase mi spinge a fare un passo indietro e a studiare nuove forme di "connessione di soggettività critiche cooperanti". 
Non rinnego nulla, ho messo con gratuità tutto me stesso alla ricerca del bene comune.
Ora è il tempo di fermarsi, seguendo l'esempio di un grandissimo come Vittorio Foa, che, negli anni ottanta, tornò a studiare, per poi ripartire, dopo una vita vissuta pienamente e generosamente nell'impegno sindacale e politico.

Lo sguardo sulla città probabilmente tornerà, con qualche cicatrice meno fresca e una diversa impostazione.

Arrivederci.

Francesco Lauria

sabato 15 aprile 2017

Il tempo che resta.
Riflessione in un sabato Santo
sospeso tra morte e Resurrezione




Oracolo del silenzio
Mi gridano da Seir:
Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?

                               ISAIA, 21, 11

Non è un sabato santo qualsiasi, quello che stiamo vivendo..
Un kronos terribile e contraddittorio ha fatto irruzione, con le sue bombe, i suoi muri e la sua pervadente paura, nel cammino e nello spazio del kairos che, periodicamente, ci avvicina alla Pasqua.
E tutto ciò avviene mentre abbiamo ancora negli occhi la “via crucis” di un popolo inerme come quello in fuga dal Medio Oriente che si infrange di fronte ai muri di un’Europa fortezza che si scopre, invece, tragicamente vulnerabile al proprio interno, nel proprio cuore.
Come scrivevo alcuni anni fa, commentando un famoso testo di Giorgio Agamben, il sabato santo è, in ogni caso, un tempo potenzialmente sempre più difficile da vivere pienamente, spiazzante nella nostra frenetica e, ormai, iperconnessa vita.
Sembrerebbe naturale, anche quest’anno viverlo e interpretarlo attraverso i canoni abbastanza consueti dell’angoscia e di una solitudine quasi “kirkegardiana”: un tempo di attesa, sofferenza e silenzio, in cui sembra forse più difficile la preparazione della visione e del compimento della Resurrezione.
Un tempo definito, in questo caso ancor più tragico, e proteso verso un altrove.
Se ci cimentiamo nella lettura del bello e intricato saggio di Giorgio Agamben che si intitola proprio: 
"Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani" possiamo fermarci e riflettere sul fatto che, oggi, ci troviamo allo stesso tempo di fronte e alle spalle la Resurrezione.
Siamo in un tempo fortemente messianico in cui il rapporto dialettico tra memoria e speranza, passato e presente, pienezza e mancanza, origine e fine, necessita di un senso e di una forma.
La risposta ce la fornisce lo stesso Paolo: egli definisce l'essenza/esistenza interna del tempo come ho nyn Kairos: il "tempo di ora".
Come oggi, sabato santo, ci troviamo nell'incertezza fiduciosa e sofferente che ci pone tra la morte e la Resurrezione di Gesù, così il tempo di ora si pone tra la Resurrezione e l'Apocalissi attraverso una circolarità che inverte il rapporto tra passato e futuro, tra memoria e speranza.
Un anno fa, all’indomani dell’attentato a Bruxelles, mi colpì molto un articolo dello stesso Agamben su “Il sole 24 ore”,  in realtà scritto poche ore prima dell’irrompere del terrore nella capitale ferita di un’Europa svanente.
In quel caso Agamben, commentando la proroga di tre mesi dello stato d’emergenza in Francia, rifletteva su un altro dei suoi temi più congeniali: lo stato d’eccezione permanente e la crisi della democrazia.
Anche in questo caso siamo in uno stato di “sospensione”. Non del tempo tra morte e Resurrezione, ma del diritto e dei diritti. Una sospensione che rischia però di farsi permanente e radicarsi ancor di più di fronte ai fatti di questi giorni.
Con grande lucidità Agamben parla della sostituzione del tempo dello Stato di diritto con quello di “Stato di sicurezza” ove lo Stato si fonda stabilmente sulla paura e deve ad ogni costo mantenerla, perché trae da essa la propria funzione essenziale e la propria legittimità.
Agamben ci ricorda come Focault già avesse dimostrato che, quando il termine sicurezza appare per la prima volta nel discorso politico francese, con i governi fisiocratici prima della Rivoluzione, non si trattasse di prevenire le catastrofi e le carestie, ma di lasciarle accadere per poterle poi guidare e orientare verso la direzione ritenuta più conveniente.
Allo stesso modo, continua Agamben, la sicurezza di cui si parla oggi non mira a prevenire gli atti terroristici (cosa del resto assai difficile, se non impossibile, poiché le misure di sicurezza sono efficaci solo ad attacco avvenuto e il terrorismo è per definizione una serie di attacchi improvvisi), ma a stabilire un controllo generalizzato e senza alcun limite sulla popolazione (di qui, la concentrazione sui dispositivi che permettono il controllo totale dei dati informatici dei cittadini, compreso l’accesso integrale al contenuto dei computer).
Il rischio è qui la deriva verso la creazione d’una relazione sistemica tra terrorismo e Stato di sicurezza: se lo Stato ha bisogno della paura per potersi legittimare, si deve allora produrre il terrore o, quanto meno, non impedire che si produca.
Vediamo così degli Stati perseguire una politica estera che alimenta quello stesso terrorismo che devono poi combattere all’interno e intrattenere relazioni cordiali, se non addirittura vendere armi a Paesi che risultano finanziare le organizzazioni terroristiche.
A tutto ciò si aggiungono le gravissime incognite dell'inizio dell'era Trump e le minacce nucleari che sono terribilmente tornate d'attualità.
Un secondo punto che è importante definire è il cambiamento nello statuto politico dei cittadini e del popolo, che era un tempo il depositario della sovranità.



Nello Stato di sicurezza . sottolinea Agamben - si assiste a una tendenza inarrestabile verso una depoliticizzazione progressiva dei cittadini, la cui partecipazione alla vita politica si riduce ai sondaggi elettorali. Questa tendenza è tanto più inquietante, in quanto era stata teorizzata dai giuristi nazisti, che definivano il popolo come un elemento essenzialmente impolitico cui lo Stato doveva garantire protezione e crescita. Secondo questi giuristi, c’è solo un modo per politicizzare questo elemento impolitico: attraverso l’uguaglianza di stirpe e di razza, che deve distinguerlo dallo straniero e dal nemico.
Straniero e nemico. Termini che risuonano continuamente in questi giorni, alimentando una spirale pericolosa e sterile.
Di fronte al tempo di oggi troviamo soprattutto smarrimento e l’apparente mancanza di una strategia di resistenza, di un’alternativa nonviolenta.
Questo sabato santo 2017 ci dà invece l’opportunità di rendere generativo lo spazio/tempo che stiamo vivendo.
Un sabato santo di preghiera e timore di angoscia che solo se guidata dalla sete di vita e di condivisone, può portare alla piena Resurrezione.
Passando dal testo biblico alla vita di ogni giorno è l'oggi, il tempo che ci resta, quello che è individualmente e umanamente possibile, all'interno della vita di ogni singolo essere umano: ad essere centro mobile, non destino, ma costruzione.
E' il continuo kairos che ci obbliga ad una costante critica e rimessa in discussione e che si pone di fronte al continuo mutare del presente.
Un presente sospeso, "in continua rivolta".
La rivolta, come scrive Simona Urso si distingue dalla rivoluzione proprio attraverso la diversa esperienza del tempo.
"Essere quindi dentro il tempo (la rivolta di Spartaco), e non auspicarsi in un tempo futuro (la prospettiva rivoluzionaria), è il tempo che resta."
Essere dentro il tempo, in questo sabato Santo 2017, non ci deve far permettere alla paura di divorare il nostro spirito critico, di impedirci di decodificare i segni difficili del nostro tempo.
In questo possiamo accarezzare quello che  Walter Benjamin definirebbe "messianismo debole".
La nostra continua rivolta si pone come argine all'assolutizzazione della violenza e del tempo, anche nel suo scontato destino, divenire del singolo e della comunità.
La Pasqua, che oggi, solo intravediamo è Vita che dà vita.
Come mi scriveva anni fa Enrico Peyretti, in replica alle considerazioni sulla Lettera ai Romani, “Gesù di Nazareth, affrontando il rifiuto e la violenza con la forza della fedeltà alla verità che aveva da vivere, accettando di essere fatto vittima innocente, insieme a banditi,  perché non ci fossero più vittime, neppure colpevoli, è diventato, anche fuori dalla religione che a lui si ispira, un esempio massimo di vita che dà vita, uno spirito maternamente fecondo per l'umanità che cerca di vivere”.
Ma dobbiamo partire da noi.
Un collega mi ha riportato alla mente uno scritto di Roberto Mancini che, in sostanza, afferma che "solo la resurrezione, in quanto avvento di una vita vera, può restituirci a noi stessi, e siamo davvero noi stessi lì dove il male non ha più il potere di conquistarci a sè".
Ma qui è il punto: l'avvento di una vita vera passa attraverso la fatica della libertà e il rischio del pellegrinaggio alla ricerca di una verità nomade che ci rende nomadi (direbbe Levinas).
Anche questo è il senso del sabato santo.
Il tempo che resta, se davvero vogliamo far vivere la Fede è proprio il contrario di quello che una teologia politica della violenza e dell'identità attualmente in voga vorrebbe farci credere, assolutizzando, insieme all'identità, un kronos immobile nel suo scontato divenire finale.
E’ il grande messaggio, difficile e non banale del Giubileo della Misericordia, solo formalmente concluso, che ci ha donato Papa Francesco che non a caso, anche ieri, nella Via Crucis del 2017, così come in quella precedente, di fronte alle bombe in Siria , in Afganistan e in Egitto, ha parlato dei mercanti di armi, dei mercanti di morte.
E' la libertà della nostra rivolta, del nostro tempo, a farci navigare in e verso una resurrezione pervadente che sta alle nostre spalle e insieme di fronte a noi.
Nella nostra memoria, nella nostra storia, ma anche nella nostra speranza, nel nostro divenire.
Un Resurrezione che non possiamo toccare, ma di cui dobbiamo imparare a riconoscere i segni.
Affinché il male non si assolutizzi e renda permanente non l’avvento della Resurrezione, ma i chiodi delle bombe e di una croce che non ci libera, ma ci tiene affogati nel sangue di una storia apparentemente finita.
Proprio oggi, dobbiamo, invece, avere il coraggio di guardare alla Vita che dona Vita, nel tempo che ci resta, il tempo di un'incertezza feconda declinata attraverso la memoria e la fede.
In un sabato santo in cui il silenzio è il nostro tempo, necessario.
Non è un altrove.
Qui e ora.
Il tempo che resta.
Buona Pasqua.


Francesco Lauria

venerdì 14 aprile 2017

Le ragioni profonde di un impegno 
personale e collettivo

Lista di Cittadinanza attiva - 

PISTOIA CAMBIA

Il cambiamento che vogliamo costruire INSIEME 
è finalmente in campo.
Tutto dipende da ciascuno di noi. MOBILITIAMOCI!


  Nella vita politica di questa città c’è bisogno di aria nuova, di dar vita a “una stagione nuova”, che si fondi sul principio della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Un principio, ripetutamente negato, che ha a che fare con la necessità di dare espressione a esigenze, bisogni, idee e dignità al rapporto tra società e politica. Un diritto alla partecipazione che metta al centro la vita e i bisogni delle persone, perché, come sostiene Gandhi, “In democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica”.  
         Mi candido a sindaca, insieme a tante cittadine e cittadini, perché la politica recuperi la sua dimensione etica e di servizio, ritornando ad essere la casa di tutti, un luogo di condivisione disinteressata e di collaborazione diffusa per la costruzione del bene comune. Lo faccio come portavoce di un percorso collettivo, fondato sulle battaglie di questi ultimi anni, a partire da quella contro il diritto negato ai 27 milioni di italiani che nel referendum hanno chiesto l’acqua pubblica.

                Abbiamo costituito un percorso ampio e unitario tra comitati, associazioni e cittadini che dal basso guardano all’interesse collettivo e non alla salvaguardia di interessi particolari. Vogliamo contribuire con una coalizione civica a colmare la crescente e pericolosissima distanza tra politica e società, tra palazzo e territori, tra centro e periferie.
           
DIECI PUNTI PER CAMBIARE PISTOIA - Ci impegniamo a:

·         affermare il diritto all’acqua pubblica;
·         costruire un progetto di rigenerazione urbana e rurale di Pistoia: un nuovo modello di integrazione della città con il suo territorio, con particolare attenzione alla rivitalizzazione della montagna e della collina pistoiesi;
·         rafforzare la lotta all’incuria dei luoghi e delle persone, alla povertà, all’emarginazione, partendo da nuovi servizi e iniziative costruite e realizzate con il coinvolgimento attivo dei cittadini e per il superamento delle discriminazioni di genere;
·         costruire una città accogliente e inclusiva, amichevole e fruibile dai bambini, anche particolarmente adatta per le persone anziane (spesso le due figure si accompagnano, quando i genitori sono al lavoro) e per le disabilità;
·         inquadrare le politiche per il Centro Storico all’interno di una strategia complessiva di cura della città; non ci interessa un centro da esibire nelle buone occasioni, ma un luogo dove realizzare un complesso insieme di funzioni e relazioni per tutti;
·         creare una rete ecologica dei parchi, dei giardini, dei corsi d’acqua e di tutte quelle aree verdi, ben curate e accessibili, di cui la città ha bisogno per assicurare ai suoi abitanti uno standard di vita salubre;
·         definire una mobilità integrata, realmente sostenibile e fondata sul primato del trasporto pubblico, per migliorare la qualità della vita di noi tutti;
·         affrontare le emergenze che mettono a rischio la salute quali l’inquinamento dell’aria e del suolo, il mancato riciclo dei rifiuti, il degrado del verde pubblico, la congestione del traffico;
·         investire in un’innovativa e diversa economia, per il rilancio del lavoro e della giustizia sociale per tutta la popolazione, delle produzioni locali, della distribuzione di prossimità, del turismo, cultura e sport per tutti;
·         avviare in forma partecipata il recupero e la fruizione degli immobili dismessi, occasione di rivitalizzazione dei contesti urbani, di attivazione di forme imprenditoriali innovative, di diffusione di servizi per la cittadinanza.

PARTECIPAZIONE – SOSTENIBILITA’ – TRASPARENZA sono gli strumenti con cui realizzeremo ogni azione per cambiare Pistoia attraverso un percorso collettivo aperto e inclusivo, mi candido a sindaca per un governo dal basso con Pistoia per Pistoia.  Una Pistoia che CAMBIA!


Ginevra Virginia Lombardi                                     

domenica 9 aprile 2017


Vicini... al cambiamento!


(...) Continuare non è soltanto una scelta ma è la sola rivolta possibile: siamo per natura “in cammino”, in viaggio, e non possiamo fermarci al passato o al già raggiunto, ma dobbiamo sempre essere aperti al futuro e a un orizzonte che ci si dischiude solo strada facendo. Siamo sempre “on the road” e la certezza di avere davanti una mèta ci spinge a rimetterci sempre in cammino e a non arrenderci mai. (don Pino Fanelli).

Buona domenica delle Palme!  

FABI-SILVESTRI-GAZZE' in
“Il padrone della festa”, 2014

“Life is sweet” è il singolo che inaugurò il loro progetto discografico...

LIFE IS SWEET

Disteso sul fianco passo il tempo
fra intervalli di tempo e terra rossa.
Cambiando prospettive
cerco di capire il verso giusto,
il giusto slancio per ripartire.
Questa partenza è la mia fortuna.
Un orizzonte che si avvicina…
e intanto aspetto
che il fango liberi le mie ruote
che la pianura calmi la paura
che il giorno liberi
la nostra notte…
Ma tutti insieme siamo tanti,
siamo distanti
siamo fragili macchine
che non osano andare più avanti
siamo vicini ma completamente fermi
siamo famosi istanti
divenuti eterni.
E continuare per questi
pochi chilometri
sempre pieni di ostacoli
e baratri da oltrepassare
sapendo già
che fra un attimo ci dovremo
di nuovo fermare…
Life is sweet!
Un ponte lascia passare le persone
un ponte collega i modi di pensare
un ponte chiedo solamente
un ponte per andare.
E non bastava già questa miseria
alzarsi e non avere prospettiva…
e la paura che ci arresta
che ci tempesta…
La cura c’è
ma l’aria non è più la stessa
e continuare
non è soltanto una scelta
ma è la sola rivolta possibile…
Life is sweet!
…mi basterebbe avere un posto
da raggiungere…


Francesco Lauria

venerdì 7 aprile 2017


Quale Bartoli?
Il cambiamento necessario è altrove.


Roberto Bartoli è una persona con cui ho interloquito abbastanza dal punto di vista pubblico, senza averla mai, e dico mai, incontrata di persona.

Come è sufficientemente noto, fui io, infatti, l'estensore della segnalazione alla Commissione di Garanzia Provinciale del Pd di Pistoia, che fu sottoscritta da tre iscritti, oltre a me, Paolo Poli, segretario del Pd alla Casermette e Giuseppe Caizzi.

Il ricorso fu presentato a seguito della famosa telefonata a Simona Laing, volta ad evitarne la candidatura e a salvaguardare il patto di potere (Bartoli, Bertinelli, Bini) che espropriò i cittadini pistoiesi (almeno quelli elettori del Pd) in occasione delle ultime elezioni regionali, dove si prefigurò, in ogni modo, l'elezione del triciclo Massimo Baldi, Marco Niccolai, Federica Fratoni.


La registrazione di quella telefonata, assunta alle cronache nazionali anche per il famoso: "Ti ricopriremo di merda" di Roberto Bartoli nei confronti della Laing è un vero best seller su youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=U8aR3uS_kpk

Va ricordato che, allora, Bartoli era membro dell'Assemblea Nazionale del Pd (e forse lo è ancora se si è scordato di dimettersi) e si rivolgeva in questi termini a un'iscritta per spingerla a rinunciare a candidarsi.

Un tema controverso, per carità, anche per l'uso della registrazione, ma a me sembrò comunque incredibile che un tale comportamento non fosse stato sanzionato politicamente e proceduralmente.
Anzi.

Bartoli fece delle opposizioni formali e il ricorso dovette essere ripresentato, poichè occorreva che, senza entrare nel merito, fossero i segretari di circolo a trasmetterlo alla Commissione di Garanzia.

Nel frattempo Giuseppe Caizzi aveva già lasciato il Pd e io fui espropriato dei miei diritti dalla pavidità del segretario del circolo di Gello, Jacopo Girolami ,che fece scadere i termini per il suo "visto" di trasmissione del ricorso, con la scusa delle vacanze estive.

Per fortuna Paolo Poli, essendo segretario di circolo, potè ritrasmettere direttamente il ricorso., superando il muro di gomma.
Come tale esso fu giudicato, tanto che la Commissione di Garanzia del Pd provinciale, presieduta da Aldo Bartoli, sospese Roberto Bartoli per tre mesi, da luglio all'ottobre 2015, con decadenza dagli incarichi individuali e sospensione (direi non rispettata) dalle attività nel partito.
La Commissione richiamò, in forma lieve, Simona Laing, e chiese per iscritto chiarimenti al segretario del circolo di Gello per il suo comportamento.

La decisione su Bartoli fu poi ribaltata dalla Commissione di Garanzia Regionale con tanto di intervento diretto del segretario Parrini.

Io, correttamente, mantenni il riserbo, mentre Bartoli scatenò varie mobilitazioni anche sui social media a suo sostegno.

A seguito di queste vicende ci fu uno scambio epistolare su Pistoia e il suo sistema di potere tra me e lo stesso Bartoli, che mi accusò pubblicamente, per poi fare marcia indietro, di essere una pedina di altri.

Quello che Bartoli proprio non capiva era come io, anche con petizioni pubbliche e mobilitazioni collettive, (si veda, questa, ad esempio... http://iltirreno.gelocal.it/pistoia/cronaca/2015/02/16/news/pd-in-35-chiedono-di-discutere-le-candidature-1.10877469 ) mi fossi dato da fare, al di là del ricorso sulla Commissione che era solo uno degli aspetti, per impedire una spartizione di potere  non trasparente e non opportuna in occasione delle Elezioni Regionali.
Non ero nemmeno un sostenitore di Simona Laing, solo non era accettabile un percorso così opaco, pieno di conflitti di interesse, operato sulla testa delle persone e in cui erano coinvolti sia i turborenziani che tutto il gruppo di potere legato all'attuale sindaco Bertinelli.

La mia lettera fu ripresa (con un titolo inventato e che, sinceramente, mai avrei indirizzato alla città di Pistoia) da Linee Future (ora Linea Libera) con questa introduzione: "Un iscritto del Pd denuncia un partito di omertà, paure, minacciate ritorsioni, finti congressi, cooptazione, insabbiamenti, e racconta una Pistoia ingessata da servilismo e spartizioni tribali di potere che soffocano ogni slancio di novità."

Ecco il link:http://www.linealibera.info/un-pd-sarcofago-in-una-citta-sarcofago/

Bartoli rispose pubblicamente, da un lato, scusandosi con me e concedendomi la buona fede (dello sciocco?), e dall'altro spostando il tiro da sé, ad un'area riformista pistoiese, da lui definita: "sotto attacco".

http://www.linealibera.info/noi-riformisti-siamo-sotto-attacco/

Oggi, di fronte alla sua nuova uscita dal Pd (situazione che, curiosamente ci accomuna) il tema di fondo e di attualità è: qual è il vero Bartoli?

Quello che esce ed entra dal Pd a seconda dei rapporti di forza, a lui più o meno favorevoli?

Quello che si autoproclama paladino del cambiamento e poi si comporta, come ha fatto, come garante di parte, ma collettivo, di una spartizione precostituita e non trasparente, proprio con coloro che, a parole, dice di combattere?

Quello che utilizza la propria posizione nei confronti di iscritti e persone?

Quale credibilità hanno, oggi, alla luce di queste considerazioni, le sue posizioni, anche di merito programmatico o di rinascita partecipativa?

Ma soprattutto, perché, a Pistoia non si riesce, con più serenità, a fare politica maggiormente alla luce del sole?

Siamo certi che Bartoli, a fronte di altri momenti di opportunità, non ritorni al 2015 (solo due anni fa) e, al di là dei toni roboanti da campagna elettorale, non ritrovi la strade per un accordo con Samuele Bertinelli, magari tra il primo e il secondo turno, in caso di ballottaggio?

Proprio per questo Pistoia ha bisogno di un vero cambiamento, nel metodo e nel merito.



Non può tornare alla telenovela Bartoli Bertinelli - Bertinelli Bartoli, senza capire che è, invece, chi è davvero al di fuori da questi sistemi di potere per il potere che può aspirare legittimamente ad offrire una proposta solida di governo non sulla città, ma con e per la città.

Questa speranza di cambiamento può essere incarnata solo da chi ha saputo tenere così fede ai propri valori, principi e idee, da essere davvero espulsa dai sistemi di potere per il potere.

Pistoia deve cambiare...

Non "verso". Ma dentro, nel profondo.

Pistoia può e deve ritrovare in se stessa, l'energia di una rinascita e di una primavera liberante.

Il vero pluralismo e la vera possibilità di alternativa, sono a un passo.

Non fermiamoci.

Francesco Lauria