martedì 4 luglio 2017

“E’ vietato morire”
Alexander Langer oltre il ricordo: 


Ieri sera, mentre ascoltavo, rapito, le bellissime poesie rivestite di musica di Ermal Meta, che si esibiva a Pistoia, nella cornice di Piazza Duomo, a un certo punto, come ricevendo un pugno sul muso, mi sono ricordato di che giorno fosse.
Il 3 luglio è, infatti, l’anniversario del suicidio, non lontano da Fiesole, di Alexander Langer.
Mentre Meta, non molto lontano dalla mezzanotte, cantava: Non c'è mai niente per cui dire mai mai. Ma non c'è mai un'autostrada solo per noi”, non ho potuto non rivolgere un pensiero a quel “viaggiatore notturno” che, da sempre, è stata figura cui mi sono ispirato, fin dal lontano 1999, quando, presso l’Università di Trieste, aderii all’Associazione Alexander Langer e raccolsi, per gli studenti, alcuni dei suoi scritti.
Andando oltre il ricordo personale, sempre vivo, ciò che vorrei trasmettere, in questo scritto, è l’utilità del senso del continuare ad attingere, politicamente e umanamente, alla profonda, concreta, utopica ricchezza di Langer, alla sua anomalia educante, senza commettere l’errore di rimuovere o, peggio, “santificare”, l’epilogo tragico del suo viaggio.
Mi limito, senza pretendere di affermare alcunché, di suggerire a continuare ad ascoltare, farci attraversare e, soprattutto, interrogare e muovere dalle sue parole.
Un esercizio svolto anche in un testo abbastanza recente, pubblicato nel 2016 “Alex Langer. Una buona politica per riparare il mondo”: una raccolta di saggi realizzati da tredici autori e contrappuntati proprio dagli scritti di Langer. 
La prima stazione di questo “cammino d’incontro”, non può che situarsi nella serie di domande trovate sul suo computer dopo la morte e datate 4 marzo 1990:
Cosa ci può realmente motivare? Cambiare il mondo o salvaguardarlo? Solidarietà come autocompiacimento? Abbandonare la radicalità? Etica della rivoluzione? Conseguenze della rivoluzione nonviolenta all'est; Navigare a vista? Esiste da qualche parte una linea di demarcazione tra amici e nemici?
Prosegue un delicato, e allo stesso tempo senza sconti, duro dialogo con se stesso:
A chi ci si può affidare? Esiste un'ascesi che uno aiuta e uno forgia? Negare se stessi - credibile o pericoloso (disumano, burocratico, ipocrita)? Cosa ti dice il sud del mondo? Solo cattiva coscienza? Perché cercare la salvezza altrove (perché poi dover andare lontano...)?
Langer continua riflettendo sulla coerenza del proprio impegno, nel rapporto tra vita e politica: “Vivresti effettivamente come sostieni si dovrebbe vivere? Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà? Professionalità. Potresti vivere anche senza politica? Ti sei davvero domandato cosa ti procura e ti ha procurato? Altruismo/egoismo? Quali costanti? Quali sintesi (p. es. giustizia, pace, salvaguardia del creato)?”
L’ultima serie di domande è quella, ancora oggi, che interroga di più le nostre storie e le nostre biografie di persone e di militanti, questo anche, quasi trent’anni dopo, in un contesto diversissimo da quella partecipazione al cambiamento che si viveva nel pieno dei mutamenti post 1989, già accompagnati, comunque, con occhio non convenzionale dallo stesso Langer.
 Continuava, interrogando la propria biografia e citando anche il sindacato:
“Cosa faresti diversamente? Potenzialità della disobbedienza civile...
Tu che ormai fai "il militante" da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del '68 (già "da grande"), dell'estremismo degli anni '70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l'America Latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell'ecologia - da dove prendi le energie per "fare" ancora?”
In un momento di profondissimo disincanto e, allo stesso tempo di incapacità della politica nel fermarsi a riflettere per agire sulle questioni di fondo, sempre più urgenti ed incalzanti, non possiamo lasciarci scivolare quest’ultima domanda, magari per sentire la nostra coscienza a posto.
A cosa ci ispiriamo, che cosa ci spinge a continuare a tentare, come direbbe il sociologo Bruno Manghi, “a fare del bene?”
Manghi ammoniva, in un suo libretto di alcuni anni fa, di essere consapevoli che: “fare del bene”, donare e donarsi  nella società del benessere, pur scalfita dalla crisi, ha una componente autoreferenziale e autorealizzativa, a tratti incoerenteUn dono tutt’altro che nascosto, anzi compiaciuto; un dono che fa del bene con il rischio di trasformarsi esso stesso, coinvolto in una dimensione ambigua, in un bene, e cioè in un male.  Un dono che giustamente rifiuta, cadute le ideologie salvifiche, il ruolo di redentore dell’umanità, ma che non può  e non deve, invece, rinunciare a tentare di rispondere alla domanda, insita anche nelle domande di Langer: quale tipo di società vogliamo? Come possiamo impegnarci, individualmente e collettivamente, per provare a muovere, davvero, verso di essa?
E così, nel provare a muovere la società verso una “conversione ecologica”, intesa nel senso più ampio del termine, non possiamo non interrogarci su quel “decalogo per una convivenza interetnica” di Langer così attuale nel tempo della rabbia senza freni dei poveri, come dei ricchi, contro l’immigrazione. Ci interroghiamo sulla rabbia di un’Europa sterile  contro i rifugiati, persone, spinti sulle nostre coste anche dalle conseguenze di quelle guerre, di quell’incuria del pianeta e della Vita contro cui lottava il mite lottatore di Vipiteno.
Se torniamo alle sue domande è proprio per attingere le energie consapevoli di: “fare e rifare ancora”. Ne facciamo eco pensando anche alla recente esortazione di Papa Francesco, così intrecciato ai pensieri di Langer nella sua Enciclica “Laudato si”. Un’esortezione che invita a impegnarsi sui ““diritti del non ancora”: nelle periferie esistenziali, tra gli scartati del lavoro, tra gli immigrati, i poveri, coloro che sono sotto le mura della città, senza dimenticare di portare anche noi stessi, in questi luoghi.
Nell’eco delle parole, può arrivare anche la musica delle note.
Proviamo anche ad ascoltare la melodia di Ermal Meta, con il suo grido d’amore che ci invita a disobbedire e a non arrenderci mai, nei percorsi esistenziali, come in quelli politici, “al mai più”.
O almeno a proviamo farlo.
Abbracciamo Alex Langer, nel ricordo e, per chi ci crede, nella preghiera, abbracciamo, pur nella tristezza, la sua Resa, senza, per questo, dimenticare mai, in nessuna circostanza, l’invito agli amici, in quel terribile momento solo apparentemente incoerente:  “Resistete e continuate in ciò che era giusto”.
D'altronde, e questo Langer lo sapeva bene, per chi ha saputo tracciare e testimoniare come lui un solco così profondo di speranza e di senso è davvero…: “Vietato morire”.

Francesco Lauria

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