mercoledì 8 marzo 2017


LETTERA APERTA
Allargare lo spazio pubblico della buona politica.
Se non ora, quando?

Una mobilitazione civica è necessaria anche per scalfire il tabù dell’inevitabile “potere maschile” alla guida della città.


La crisi della politica è una crisi di sguardo sulla realtà: è come se i partiti avessero smarrito le chiavi di lettura del presente e del futuro e siano incapaci di incarnare quell’esigenza etica che il tempo storico richiede, denotando mancanza di lungimiranza nel leggere la transizione epocale che stiamo attraversando.

Il sistema rimane ancorato a visioni superate come la rincorsa di una crescita senza fine e non comprende l'insostenibilità di un modello di sviluppo che produce esclusione e che ha alimentato, economicamente e antropologicamente, l’attuale crisi.

Va messo in discussione un capitalismo dal volto feroce che corrode la vita di tanti lasciandoli nella precarizzazione, occorre operare per ricomporre la frammentazione e la mercificazione del lavoro e nel lavoro, rigenerandolo e ridistribuendolo.

Assistiamo all’idea di un rilancio generico del consumo e dell’”economia dello scarto”, a una politica tutta giocata sull’annuncio e sull’evento e non sulle azioni concrete.
Il non governo della globalizzazione ha colpito soprattutto le fasce medio-basse e ha prodotto la rincorsa alle piccole patrie e alla centralità dello stato-nazione, rilanciando le spese militari, a discapito delle politiche sociali e d’inclusione.

Una politica miope preferisce l'Europa degli egoismi a un progetto di pace che richiede cessione di sovranità verso l'alto (Europa politica) e verso il basso (autogoverno territoriale).

In vista delle prossime amministrative, sull’autogoverno, occorre una riflessione.
Il crescente ruolo esercitato dai comitati di cittadini all’interno dei sistemi politici locali è anche  conseguenza della crisi e della disarticolazione dei partiti e dei corpi intermedi.

A Pistoia viviamo l’evanescenza della politica “tradizionale”, la mancanza pluridecennale di un ricambio, il distacco sempre più forte dal territorio, un approccio consociativo e autoreferenziale che coinvolge spesso anche molte opposizioni.

Viviamo e lavoriamo in una città molto ricca di potenzialità congelate da un blocco d’interessi che non vuole lasciare spazi ad alternative.
Si tratta di rompere una crosta politica consolidata, in questi anni, da una chiusura spocchiosa e arrogante che vegeta nella propria autosufficienza senza cambiamenti sostanziali.

Per questo il ricorso a comitati civici si rivela una risposta efficace; non è una novità assoluta: alcuni comitati esistono da oltre vent’anni.


Una coalizione di cittadinanza è vincente se accetta di proporsi come veicolo di partecipazione lontano dal modello NIMBY (tutto, ma non nel mio giardino) e distante da modalità organizzative improvvisate.
Fondamentale è una capacità di proposta, non solo su alcuni temi e luoghi, ma come paradigma di una visione alternativa.

Una rete dei comitati, organizzati e strutturati, è la risposta programmatica per realizzare ciò che Habermas definisce: “il potere comunicativo della società civile organizzata”.

Tale “potere” deve svilupparsi "cominciando dagli ultimi", dal basso, per dare valore a ciò che è stato smantellato spesso in modo subdolo, per riappropriarsi di spazi di discussione e unire anche persone scoraggiate e abbandonate se stesse, senza una rete comunitaria.
Uno dei mali di questo tempo è la perdita di fiducia nel futuro, l'isolamento nel far fronte, in solitudine, alle continue sfide di ogni giorno.

Non si parte dal nulla.
In questi anni un grande lavoro sociale è stato fatto, patrimonio per la città: pensiamo, ad esempio, alla campagna ’“acqua come bene comune”, dandone merito a chi se ne è fatto coraggiosamente e ostinatamente carico.
Sono state messe in agenda questioni fondamentali che hanno sbugiardato il teatrino politico e amministrativo locale, basato anche sul sistema delle società partecipate: temi concreti e connessi al territorio (le bollette dell’acqua), ma anche tasselli di tematiche generali (l’acqua, patrimonio dell’umanità, al di fuori delle logiche di profitto).

Tutto ciò necessità di un completamento.

E’ il tempo di politiche locali migliori e inclusive, di risposte concrete ai cittadini, attraverso la capacità di pensare, organizzare, promuovere, in prima persona, visioni alternative e strumenti di partecipazione e innovazione.
Non solo rispetto al servizio idrico, ma all’intera sfera dei beni comuni: dal trasporto pubblico locale alla tutela del territorio, dall’urbanistica alla mobilità, dal decoro urbano alla gestione e valorizzazione dei rifiuti, dai servizi per il lavoro e contro povertà ed emarginazione a quelli educativi, da una sanità martoriata e vittima d’interessi speculativi, fino alla valorizzazione del commercio di prossimità, senza tralasciare le aree dimenticate e periferiche.

La cronica mancanza di prospettive occupazionali, l'incuria per il verde appena fuori dal centro, la sporcizia pervasiva, gli esercizi commerciali che chiudono in varie zone, sono segni di degrado che necessitano di essere presi sul serio.

Una “cultura” che non diventa veicolo di crescita umana e sociale, ma rimane lettera monca dentro i musei diviene solo un esercizio di retorica e lusso per chi se lo può permettere!
La rete dei comitati di Pistoia ci sembra una risposta per mettere al centro temi fondamentali per la vita delle persone e non per il perpetuarsi infinito di un ceto politico inconcludente.

E’ necessario, in questa città più che altrove, allargare lo spazio pubblico della politica.


E’ una sfida appassionante: cogliere, anche in vista della sfida elettorale, ma non solo, un’esigenza di rappresentanza dal basso, fondata su interessi e valori diffusi, unione di esperienze e non di particolarismi, veicolo di buone politiche e buona politica.

Bisogna rigenerare la democrazia, a partire dal locale, valorizzare il merito e le competenze nelle persone che si candidano per l’amministrazione cittadina.

Persone che non si sentano predetestinati, ma portatrici e portatori di spirito di servizio e di un programma di cambiamento.

Per tutto ciò, lo scriviamo non ritualmente in occasione dell’8 marzo, occorre probabilmente superare il tabù di una guida della città da sempre in mani rigorosamente maschili.
Il tempo stringe: bisogna rompere gli indugi e mettersi in cammino.

Partiamo da noi stessi, perché, come diceva il rabbino Hilel verso la fine del I secolo a.C.: "se non lo faccio io, chi lo farà?  se non lo faccio adesso quando lo farò? se lo faccio solo per me stesso, chi sono io?" Insomma, se non ora quando?

Francesco Lauria, Massimiliano Filippelli, Francesca Pellegrini, Serena Visco



Nessun commento:

Posta un commento