mercoledì 31 maggio 2017

"IO NON SONO CHE UN UOMO". VICOFARO E LA POLITICA CHE RIFIUTA DI "SPEZZARE IL PANE INSIEME".
Pubblicato su Report Pistoia
"La politica è la forma più alta di carità" è questo il messaggio che la comunità parrocchiale di Vicofaro, echeggiando Paolo VI° ha voluto usare per invitare i candidati e le candidate a sindaco alle prossime elezioni amministrative. Il confronto si svilupperà sui temi che interrogano il territorio, quali: - IMMIGRAZIONE - POVERTA' - AMBIENTE - LEGALITA' - CITTADINANZA.
L'incontro si è svolto il 1 giugno dalle ore 17.45 in poi per conckudersi intorno alle 20 circa con una frugale apericena preparata dai migranti ospitati dalla comunità presso il Giardino della Pace nel complesso dei locali della Chiesa in via di Santa Maria Maggiore 71.
Mi ha colpito molto che il candidato di Casa Pound Lorenzo Berti abbia deciso di declinare l'invito con queste motivazioni: "che non si tratti di un dibattito neutro ma bensì di un incontro pubblicitario lo dimostra il fatto che si terrà nei locali dell’associazione “con al termine un apericena preparato dai migranti ospiti della comunità”.
Si rifiuta quindi di condividere un incontro, con persone, di spezzare il pane con loro.
Non sempre sono stato daccordo con Don Biancalani, anzi, complici i social network, qualche volta abbiamo avuto polemiche anche sopra le righe.
Di fronte però a questa "negazione di umanità" da parte del candidato di Casa Pound mi chiedo se Don Biancalani non avesse forse avuto ragione in passato rispetto ad alcune uscite che anche io avevo, superficialmente, etichettato come forzature.
Il 1 giugno è, per me una data particolare, essendo l'anniversario del mio matrimonio.
Quasi per caso ho ritrovato un testo che era inserito nel libretto che io e mia moglie Serena distribuimmo agli invitati due anni fa, durante la celebrazione svoltasi non casualmente, a Fiesole, presso la Badia Fiesolana.
Dedico, con il massimo rispetto questo testo di Ernesto Balducci (Io che non sono che un uomo)  a Lorenzo Berti e a tutti coloro che rifiutano l'incontro con l'altro, con il diverso da sè. 
Nessuno vuole negare le difficoltà e la complessità della questione migratoria, ma negare confronto e incontro è il presupposto per alzare muri sempre più invalicabili che non faranno che frammentare e far appassire la coesione sociale nelle nostre città e nei nostri quartieri.
A partire da quelli più poveri e bisognosi di una "politica" che sappia realmente ascoltare gli ultimi, al di là della provenienza e che sappia delineare realmente percorsi di inclusione e di riscatto.
Francesco Lauria
Io non sono che un uomo
"Non sono che un uomo": ecco un'espressione neotestamentaria in cui la mia fede meglio si esprime. E’ vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti, ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all'uomo di essere fratello all'uomo e specialmente all'uomo più diverso, più disprezzato.
Egli disse: quando sarò sollevato da terra attirerò tutti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò nell'agonia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le determinazioni. Non era più, allora, né di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era universale, com'è universale il nulla della morte, e com'è universale la qualità che in quell'annullarsi divampò: l'amore per gli altri fino all’annientamento di sé.
E in questo annientamento per amore la definizione di Gesù, uomo planetario. Prima di morire gli avevano gridato: "Se sei figlio di Dio, salva te stesso". Ma non poté salvarsi perché aveva deposto fin dal nascere la cintura di salvataggio. Fu così che discese agli inferi. Perfino il suo Dio l'aveva abbandonato nel momento in cui, scivolato nell'oceano della morte, divenne per sempre il fratello di tutti i disperati. La sua universalità va riposta qui, in questo suo libero insediarsi, per amore degli uomini, nel cuore della totale negatività. (…)
“Tempo fa un mio fratello di fede, anzi un vescovo, ha detto che prendere la croce e seguire Gesù vuol dire scegliere il disarmo unilaterale.  Paradosso profondo, in cui mi ritrovo. Ma i paradossi che dovremo dire sono innumerevoli. Gesù rivelò cose che solo a noi è dato capire, perché solo oggi la misura dell'iniquità ha raggiunto il colmo. Quando sento ripetere che il messaggio di Gesù è universale perché egli è il Logos nel quale, dal quale e per il quale tutte le cose sono state create, una specie di immenso sbadiglio mi sale dal profondo, come dinanzi ad una verità resa vacua dall'abuso. Ma quando rifletto in silenzio sui gesti concreti con cui egli, mettendosi contro gli uomini della religione e del potere, andò incontro ai poveri, ai miti, agli afflitti, ai perseguitati è come se scorgessi nel buio un sentiero di luce, il sentiero che ancora oggi discende alla profondità degli inferi dove il senso e il non senso, la vita e la morte, l'amore e l'odio si confrontano. Qui tutte le identità perdono di senso per lasciar posto all'unica che ciascuno è in grado di dare a se stesso, al di fuori di ogni eredità, semplicemente con l'assumersi o col rigettare le responsabilità del futuro del mondo.
Se noi lasciamo che il futuro venga da sé, come sempre è venuto, e non ci riconosciamo altri doveri che quelli che avevano i nostri padri, nessun futuro ci sarà concesso. Il nostro segreto patto con la morte, a dispetto delle nostre liturgie civili e religiose, avrà il suo svolgimento definitivo. Se invece noi decidiamo, spogliandoci di ogni costume di violenza, anche di quello divenuto struttura della mente, di morire al nostro passato e di andarci incontro l'un l'altro con le mani colme delle diverse eredità, per stringere tra noi un patto che bandisca ogni arma e stabilisca i modi della comunione creaturale, allora capiremo il senso del frammento che ora ci chiude nei suoi confini. È questa la mia professione di fede, sotto le forme della speranza. (…). Io non sono che un uomo.
Padre Ernesto Balducci     (da L’uomo planetario, 1985)

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