giovedì 22 giugno 2017

7.45 del mattino.
Pistoia, quarant’anni dopo: terrorismo, memoria, speranza.
Pubblicato su:


Le 7.45.
Per molti è l’ora in cui, dopo un caffè di fretta, si esce di casa, si portano i bambini all’asilo o a scuola, ci si incammina, a piedi, in bicicletta, in macchina, verso gli uffici, i luoghi di lavoro.
Per tre anni, proprio accompagnando mio figlio all’asilo, in via Cavallerizza, sono passato decine di volta a fianco di Via Borgo Viterbo, a Pistoia, senza mai notare questa strada che si incunea stretta, tra le case.
22 giugno 1977.
7.45 appunto.
Giancarlo Niccolai, consigliere comunale democristiano, impegnato a livello nazionale nei gruppi di impegno politico Dc sui luoghi di lavoro, esce di casa, saluta la moglie e il figlio dodicenne, fa pochi passi. Si appresta a salire sulla bicicletta.
Deve recarsi alla Breda, dove lavora nell’ufficio del personale e in cui, in quota Fim Cisl, è anche componente del Consiglio di Fabbrica.
Vicino a casa sua, oggi, c’è ancora la siepe dietro la quale si nascosero i terroristi di Prima Linea, componenti del gruppo guidato da Marco Donat-Cattin, figlio del leader democristiano Carlo, che aprirono il fuoco su di lui.
“L’intento - ricorda Niccolai - non era solo quello di gambizzarmi, ma di uccidermi. Fu uno dei primi attentati di questo livello in Toscana – continua  Niccolai - i terroristi erano arrivati a bordo di una Mini, che fu poi ritrovata a Firenze, insieme al volantino di rivendicazione”.
In quella mattinata calda, con le finestre aperte, sembra di ascoltare il grido disperato della moglie di Niccolai, subito accorsa: “Oggi è toccato a noi, è toccato a noi!”.
Dove quel noi, certamente, rappresenta il grido intimo e familiare di una coppia di genitori, ma che, metaforicamente, può significare anche Pistoia, una città che viveva di riflesso le grandi manifestazioni e agitazioni di piazza del ’77 che coinvolgevano, in particolare, Bologna e Firenze.
In quel momento siamo davvero quasi all’apice degli attentati terroristici, sia di matrice rossa che di matrice nera, manca meno di un anno al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro.
Pistoia aveva subito solo un altro attentato dalle dinamiche poco chiare: il 6 gennaio 1976 era saltata in aria l’auto del direttore di uno stabilimento tessile, in un’azione rivendicata dal: “Nucleo operai comunisti”.
“Fu una stagione politica e sociale molto complessa – confida Niccolai – si avvertiva già il processo che avrebbe portato alla crisi dell’unità sindacale, lo scontro in fabbrica, anche alla Breda era molto forte, anche se mai degenerò, in alcuno, in fiancheggiamento al terrorismo”.
A livello politico nazionale, molto delicato era l’equilibrio del percorso di convergenze (“parallele”) tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, guidati da due grandissime figure come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Un percorso che, inevitabilmente, lasciava spazio alla sinistra più estrema.
Si avverte l’eco di questo contesto nelle parole livorose del comunicato di Prima Linea, successivo all’attentato a Niccolai, che denunciava l’accordo di Dc e Pci nell’imporre la “pace sociale agli operai”.
I “riformisti” secondo Prima Linea erano: “colpevoli di complicità negli strumenti di controllo e di dominio sulla classe proletaria”. Per l’organizzazione terroristica si passava, con l’attentato a Niccolai, dalla lotta armata alla prospettiva della “guerra di classe di lunga durata”.
Una folle illusione: la parabola terrorista in Italia, purtroppo non nella ferocia, ma nella sua capacità di permeare pezzi di società, era già in una fase discendente. Un declino rafforzato dalla reazione generale all’assassinio di Aldo Moro e a quello, avvenuto nel gennaio del 1979, dell’operaio comunista Guido Rossa.

Niccolai fu ferito gravemente, rimase ricoverato in ospedale per tre mesi.
“Pur con poche forze, ricorda, chiesi di non essere trasferito a Firenze, ma curato presso l’Ospedale del Ceppo”.
“Era in corso, a Pistoia - mi dice con voce insolitamente pacata - la festa dell’Unità, con ospite il dirigente nazionale Aldo Tortorella. La festa fu subito sospesa, Tortorella e Vannino Chiti vennero subito a trovarmi in ospedale.”
Immediatamente, anche alla Breda, fu proclamato lo sciopero unitario dei lavoratori, la società pistoiese tutta si recò di fronte al Ceppo, dove era curato il dirigente democristiano seriamente ferito.
Pochi mesi dopo ci fu una soffiata, i componenti del commando furono arrestati e processati.
“Non ho voluto eccedere nel dare un significato “politico” al perdono che ho maturato nei confronti dei terroristi e che esplicitai anche nel mio rifiuto di costituirmi parte civile nel processo.
Il perdono è un’arma di pace, ma è anche un gesto individuale e familiare, non può non essere accompagnato dalla giustizia e dalla memoria.”
La memoria, quasi un’ossessione per Niccolai.
La sala del Centro Donati, in piazza San Francesco a Pistoia in cui ci incontriamo, ne è permeata, tra manifesti, immagini, fogli dattiloscritti, vecchi computer ormai in disuso.
“E’ importante, fondamentale, proprio oggi che un terrorismo del tutto diverso, è tornato a permeare le nostre vite, che i nostri ragazzi e ragazze conoscano ciò che è accaduto, cosa successe alla società italiana durante il terrorismo politico, quale fu la risposta della società e delle istituzioni.
E’ un tempo chiuso, che non ha legami diretti con l’oggi – continua Niccolai. Pur con mille limiti la classe politica e parlamentare dell’epoca, maggioranza e opposizione, aveva un legame con la cittadinanza, con il “popolo”, che ora è indubbiamente, desolantemente perduto.”
L’arco costituzionale seppe resistere alla tentazione di un’eccessiva e probabilmente illusoria compressione dei diritti e il terrorismo fu sconfitto, soprattutto, dalla risposta della nazione, non dalle leggi speciali.
Quarant’anni dopo l’anniversario dell’attentato a Niccolai, ricorre, curiosamente, quasi nel giorno della sentenza definitiva per la strage di Piazza della Loggia.
Ricostruire una memoria civile e diffusa di quegli anni, è operazione non banale, ma non appare più rinviabile.
Se il terrorismo degli anni settanta è, per fortuna, una pagina chiusa dalla storia, il germe sciagurato dell’odio politico e della violenza è, purtroppo, sempre pronto a germogliare. Rischiamo, un po’ come con Borgo Viterbo, a Pistoia, di non vederlo, o di attraversarlo di fretta, presi dai nostri problemi quotidiani.
E invece, non deve rimanere invisibile il ricordo di quello che è stato, perché c’è molto di quello che oggi noi siamo.
Proprio per questo l’ostinata testimonianza del “fastidioso” Niccolai, come bonariamente lo apostrofò Florio Colomeiciuc: “è un segno di salvezza,” per una città che vuole continuare a credere nella speranza del futuro oltre che rinsaldare e rinnovare le proprie radici antifasciste e democratiche.

Francesco Lauria

Nessun commento:

Posta un commento