mercoledì 20 settembre 2017


DOMENICO PAPARELLA: una lezione esemplare di vita, attraverso il lavoro



Il 20 settembre 2017 Domenico Paparella avrebbe compiuto settanta anni.

I collaboratori del Cesos, il Centro Studi Economici Sociali e Sindacali, promosso dalla Cisl, che questo “operaio, sindacalista, intellettuale”, guidò fino alla morte, nell’estate del 2009, ricordano bene la data e le ottime crostate alla frutta che lui stesso cucinava e portava in ufficio ogni anno, in quell’occasione.

Pur con un’umanità non semplice da decifrare ai primi incontri, Paparella credeva davvero nei giovani e su di loro scommetteva e investiva molto. Per noi ricercatori e collaboratori, è stato un maestro, una guida, un testimone che è impossibile dimenticare.

Non lo deve fare nemmeno la Cisl, e ciò è la ragione principale, oltre ai sentimenti, di questo scritto.

Non va dimenticata la passione per le relazioni industriali, nel senso ampio del termine, il saper collegare l’esperienza diretta di attore delle relazioni di lavoro e una rielaborazione scientifica mai separata dalle dinamiche concrete.

Paparella era nato nel 1947 in Basilicata, da famiglia poverissima che, dopo varie vicissitudini, si era trasferita a Genova.

Ed a Genova, quindicenne, entrò all’Ansaldo, a sedici anni iniziò l’impegno sindacale e si formò con l’ingresso nel’66 in un comitato paritetico aziendale.

Nel ’71, fu chiamato da Carniti a Roma, a occuparsi dell’Ufficio sindacale dei metalmeccanici, fu componente della Segreteria n.le dell’FLM e segretario organizzativo nazionale (e “ricostruttore”) della Fim-Cisl.

Paparella era stato segretario nazionale della Fim-Cisl tra il 1977 e il 1986, anni cruciali per metalmeccanici che condussero, nel 1984, alla rottura della FLM unitaria.

Dopo aver ricoperto cariche molto importanti nel sindacato aveva saputo costruire un solido percorso di ricerca, con periodi di approfondimento all’estero.

Andrebbero riletti i suoi articoli (in particolare sull’Olivetti) nella rivista “I Consigli” che contengono ancora, dopo quarant’anni, elementi di grande interesse.

Si deve anche a lui l’apertura, nel 1979, del celebre “Romitorio” per la formazione, ad Amelia.

Passato in confederazione fece parte a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del Tuac, organismo sindacale dell’Ocse e divenne, nel 1989, Segretario del Cesos.

In uno dei suoi ultimi saggi, a introduzione del libro curato con il Presidente del Cesos Guido Baglioni: “Il futuro del sindacato”, scriveva: “La valorizzazione delle persone deve essere collocata pur sempre nel riconoscimento di appartenenze e scelte sociali più ampie. Per il sindacato la sfida è dare il senso all’agire dell’individuo, dargli il crisma di legittimità sociale. Per evitare la “miopia sociale” il sindacato è chiamato a produrre risorse etiche e morali a cui gli individui possano fare ricorso. L’individualizzazione può essere regolata attraverso un mix efficace di azioni di mercato, dalla mano pubblica e da istituzioni solidaristiche e trovare fondamento e legittimità in una regolazione collettiva. Il sindacato può assumere un ruolo di ricomposizione sociale ed essere il luogo di riconoscimento delle individualità in una logica solidaristica e legittimante. Deve riconsiderare i confini della sua rappresentanza per includere le figure sociali e lavorative marginali e discontinue e le nuove forme di lavoro autonomo per le quali si ripropone il primato dell’appartenenza alla professione. La crescita della dimensione individuale pone perciò al sindacato, e alla Cisl in particolare, la necessità di irrobustire la sua natura associativa”.

Nel parlare di accerchiamento sociale Paparella ricordava il tema di una dimensione contrattuale che superasse i confini nazionali e irrobustisse la tutela del lavoro nella globalizzazione dei mercati e della produzione. Aveva molto investito sul tema delle relazioni industriali europee attraverso l’intensa progettazione transnazionale del Cesos e la collaborazione strutturata con la Fondazione di Dublino.

Un anno prima di morire aveva terminato anche una riflessione molto approfondita sull’evoluzione del modello organizzativo, sul “divenire” della Cisl.

Un testo cui teneva molto e che, si lamentava, non era stato sufficientemente preso in considerazione. In esso si affrontavano i fondamenti dell’identità cislina, a partire dalla rottura della CGIL unitaria e dall’affermazione della nozione di un sindacato fondato sull’autogoverno delle categorie. Una concezione che si confrontò con l’applicazione pratica dell’azione sindacale e contrattuale in contesti molto diversi: dai settori industriali, al lavoro pubblico, dal settore agricolo, ai servizi. Affrontava la peculiarità del sindacato industriale nella confederazione cislina e l’evoluzione della struttura sindacale territoriale, oltre che la crescente importanza della dimensione internazionale. Concludeva con una serie di proposte e una considerazione di fondo: l’impianto regolativo che il sindacato aveva elaborato negli anni di massima affermazione dell’industria fordista riguardava ormai meno della metà dei lavoratori.

Temi declinati in innumerevoli iniziative, spesso portate avanti a livello territoriale, si pensi a Rubens: progetto di sistema per programmazione, monitoraggio, valutazione e gestione dei servizi di orientamento, impiego, incrocio domanda offerta, supporto a disoccupati e fasce deboli, in uso presso i Centri per l’impiego liguri.

Scriveva: “L’organizzazione deve prefigurare alcune linee guida evolutive degli assetti organizzativi sulla quale interrogarsi ed agire:

a) la ricomposizione della rappresentanza e della tutela contrattuale del lavoro standard e non standard è possibile in ambito territoriale in una logica intercategoriale. (…)

b) la devoluzione di poteri fa assumere agli attori istituzionali periferici un ruolo centrale nella determinazione della qualità della vita dei cittadini. La confederalità, espressa dalle strutture orizzontali e la loro capacità di creare “coalizioni sociali” per l’attuazione di efficaci politiche di welfare, costituisce un patrimonio di esperienze da sviluppare in un’ottica di accentuata specializzazione del loro ruolo;

c) l’assetto plurisettoriale delle categorie deve corrispondere alle esigenze di governo dei processi di sviluppo e di regolazione pattizia delle condizioni di impiego per filiere economiche ampie per le quali la capacità di intervento nelle politiche di sviluppo ai livelli nazionale ed europeo è strettamente connessa all’organizzazione della rappresentanza, all’assetto della contrattazione collettiva ed alle pratiche partecipative realizzate nelle imprese e nei territori;

d) la centrale confederale deve sempre più, spogliandosi dei compiti impropri di supplenza, affermare la sua funzione di sintesi politica e culturale dell’organizzazione, di struttura in grado di produrre cultura ed identità, di assicurare la rappresentanza di tutto il mondo del lavoro e di partecipare alla governance generale del sistema Italia nella dimensione europea. (…)

Collegava, quindi, la partecipazione dei lavoratori allo sviluppo della bilateralità e alla riforma della contrattazione.

Su Conquiste del Lavoro nel 2007 affermava: “la riforma degli assetti contrattuali non può più essere considerata una pratica amministrativa: si tratta di una vera e propria vertenza cui è necessario dare impulso mediante la mobilitazione dei lavoratori. (…) Il decentramento della contrattazione costituisce un elemento strategico per il rilancio della produttività e di una politica di alti salariali. L’assenza di contrattazione collettiva ha avuto rilevanti implicazioni sulla capacità d’intervento collettivo sull’organizzazione del lavoro, sulla mobilità professionale, sui criteri di valutazione e di remunerazione, sull’accesso alla formazione continua.”

Concludeva con l’autonomia dalla politica: “la riforma degli assetti contrattuali costituisce un’occasione per spostare decisamente il baricentro della strategia del sindacato italiano, e della Cisl in particolare, dal “cielo” della politica all’attenzione alle condizioni materiali di lavoro e alla sua remunerazione che costituiscono, a ben vedere, fin dalla sua fondazione, la sua stessa ragion d’essere”.

Per anni aveva collaborato con la Società Biblica Italiana: è stato, come ha sottolineato Guido Baglioni: “un credente che ha vissuto la sua vita fino in fondo”.

Domenico Paparella terminò la sua esistenza terrena, dopo aver affrontato con fede e determinazione una straziante malattia legata al suo lavoro di tanti anni prima, quando maneggiava l’amianto. Un frammento infinitesimale, ha scritto Raffaele Morese che: “una mattina, saldando nella sua fabbrica (l’Ansaldo di Campi, a Genova, che ora non c’è più) deve essergli entrato nei polmoni – dopo quasi quarant’anni, si era svegliato”.

Ricordarlo oggi, a quasi dieci anni dalla scomparsa, significa non rinunciare a raccogliere il suo esempio per chi cerca di attraversare nuovi sentieri con lo stesso obiettivo: “umanizzare, stabilizzare, professionalizzare, democratizzare, equilibrare” le relazioni di lavoro.

Senza paura di percorrere strade innovative, mettere in discussione paradigmi consolidati, con la consapevolezza dell’importanza di studio e sperimentazione.

Buon compleanno Domenico.

Portiamo, in noi e nella Cisl, il ricordo incancellabile di chi, in fabbrica, in uno dei sindacati più grandi d’Europa (la FLM), nei centri di ricerca, nelle lotte con gli ultimi, (come dimenticare le mobilitazioni emancipatorie con i ragazzi non vedenti a Genova?), e, infine, nel coraggio di affrontare una malattia infima e dolorosa, ha offerto una testimonianza indimenticabile di vita e di lavoro.  Ti portiamo nel cuore e cerchiamo, imperfettamente, di trasferire ciò che hai insegnato nel nostro impegno quotidiano.

Francesco Lauria, Manuela Mansueti, Anna Rosa Munno, Flavia Pace, Luana Petrillo, Vilma Rinolfi, Alberto Gherardini

Pubblicato su Conquiste del Lavoro del 20 settembre 2017.

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