domenica 24 settembre 2017


OLTRE L'OBBEDIENZA E LA MERITOCRAZIA.
 A margine di un primo di giorno di scuola speciale e di un Vangelo scomodo, tra Ermal Meta, Don Milani e Matteo.

"Per disobbedire bisogna conoscere, bisogna sapere, bisogna studiare.
Solo attraverso la cultura si può imparare a dire dei sì, magari dicendo di no".
"Attraverso il processo di studio e di conoscenza, impari a conoscere te stesso.
C'è sempre spazio dentro di noi, per tutto quello che c'è stato e quello che c'è.
La cultura è crearsi dei varchi nella vita. Come tante piccole finestre, più cose sai, più finestre hai attraverso cui guardare il mondo."
 
E' bellissima la versione orchestrale di Vietato Morire, suonata di fronte ai "novelli studenti", così come profonde sono le riflessioni offerte ai bambini, ai ragazzi, agli insegnanti da Ermal Meta in Puglia, sua prima terra adottiva.
Un modo bellissimo di iniziare il primo giorno di scuola.


Quando ho ascoltato, per la prima volta, Vietato Morire", pur con la parziale contraddizione che un bel libro di Piergiorgio Reggio sintetizza con lo: "Schiaffo di Don Milani", ho pensato a due testi: ovviamente: "Lettera a una professoressa", ma anche: "L'obbedienza non è più una virtù".
Anche l'immagine di Ermal Meta, a scuola, un po' secchione, che però fa copiare i compagni si accompagna bene al Vangelo di oggi (Matteo) e al commento che, sempre riecheggiando Don Milani e con una non comoda riflessione sulla "meritocrazia" ci regala Don Umberto Cocconi.

Posto qui sotto, con il testo che viene commentato da Don Umberto.

Gesù disse ai suoi discepoli «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna … Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Vangelo di Matteo).

L’odierna parabola di Gesù è un invito a fuggire la meritocrazia, a non vivere la vita con competizione, nella concorrenza ossia cercando di primeggiare.

Il padrone della vigna al momento della paga inaspettatamente azzera il confronto tra tutti gli operai venuti a lavorare e riconosce a tutti il medesimo compenso. Ciò che per il padrone conta è che l’operario abbia accettato l’invito a lavorare nella vigna. Quelli della prima ora non hanno compreso il privilegio, il dono che hanno ricevuto e ora non accettano di perdere la loro posizione: cercano e vogliono infatti mantenere la distanza da quelli che non ritengono meritevoli di un tale compenso.
Loro sì che hanno lavorato e faticato sin dal mattino presto sotto il sole, gli altri invece non hanno fatto niente e quindi non meritano nulla. Ciò che li infastidisce è il fatto che il padrone li abbia trattati come tutti gli altri. Quelli dell’ultima ora sono stati resi uguali a quelli della prima ora, e questo è ai loro occhi uno scandalo, un’ingiustizia. Non li indispone il fatto di non aver ricevuto più degli altri, quanto piuttosto che gli operai dell’ultima ora siano stati equiparati a loro, operai della prima ora.
Gli uomini giusti pensano che Dio debba premiare chi lo merita, ma in realtà una simile teologia non farebbe altro che imprigionare anche Dio dentro la logica meritocratica. L’origine della religione meritocratica è molto antica e ancora oggi, in una società secolarizzata, come la nostra il merito è la principale ideologia. Possiamo infatti constatare come merito e meritocrazia siano parole all’ordine del giorno del dibattito politico e sociale contemporaneo, e come attorno ad esse circoli un’aura di sacralità condivisa dai più disparati orientamenti politici. Onori, ricchezze, riconoscimenti e cariche vengono spesso attribuiti a coloro che li meritano.
Perché - qui sta il punto - chi parla di merito parla di colpa, e chi parla di premio parla di castigo.
Se a parole la meritocrazia promette di esaltare i migliori, nei fatti esiste solo per sanzionare i peggiori - individuati di volta in volta secondo il capriccio e gli interessi del dominus. Secondo queste logiche coloro che sono disoccupati e “nessuno vuole” sono coloro che sono considerati demeritevoli, passabili di condanna, emarginati e colpevoli. Se nessuno li vuole a lavorare nella vigna vuol dire che non sono dei bravi operai!
Nella scuola di oggi chi mette in discussione il suo impianto meritocratico? Vengono in mente le parole di don Milani nella sua famosa “Lettera a una professoressa”: «Se ognuno di voi (maestri e professori di scuola) sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni (il figlio dei poveri che va male a scuola). Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messo certo eguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie.
Vi svegliereste la notte col pensiero fisso su lui a cercare un modo nuovo di far scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo a casa se non torna». Sulla base dei meriti e dei voti scolastici non abbiamo forse costruito tutto un sistema sociale ed economico gerarchico e castale? Dove nei primi posti stanno coloro che rispondono meglio a quei meriti e negli ultimi quelli che a scuola ottenevano performance peggiori?
«Se oggi volessimo spezzare la spirale di ineguaglianza e di esclusione dovremmo dar vita a politiche educative anti-meritocratiche» (Luigino Bruni).
 
Decidere del merito presuppone che «possiamo giudicare se gli individui hanno sfruttato le loro possibilità come avrebbero dovuto, e quanta forza di volontà o di abnegazione sia loro costato; presuppone anche che sappiamo distinguere tra quanta parte del loro successo sia dovuta a circostanze che dipendevano da loro e quanta invece sia da esse indipendente» (Friedrich Hayek).
Ieri come oggi le meritocrazie hanno un solo grande nemico: la gratuità, che temono più di ogni cosa perché scardina le gerarchie e libera le persone dalla schiavitù dei meriti e dei demeriti. La misericordia è l’opposto della meritocrazia, non siamo perdonati perché lo meritiamo, ma è proprio la condizione di demerito che commuove le viscere della misericordia divina.  (Don Umberto Cocconi)

Francesco Lauria

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